domenica 27 settembre 2015

finalmente il salone del libro si accorge del problema dei diritti umani in Arabia Saudita

“No alla decapitazione dell’attivista”. Il Salone del Libro esclude l’Arabia

Non sarà più il Paese ospite nel 2016. Fassino: inaccettabile. Ali al-Nimr, a 17 anni, aveva manifestato contro la monarchia
ANSA
L’attivista Ali al-Nimr è stato arrestato nel 2012

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27/09/2015
L’Arabia Saudita non sarà più il Paese ospite del prossimo Salone del Libro di Torino. A deciderlo, anticipando le conclusioni del consiglio d’amministrazione della Fondazione previsto il 6 ottobre, all’unisono, il sindaco Fassino e il presidente della Regione Piemonte Chiamparino. 

A chiedere loro di prendere una rapida posizione in merito, prima un tweet lanciato dal consigliere dell’Associazione Adelaide Aglietta Silvio Viale: #NoArabiaSaudita ospite d’onore #SaloneDelLibro poi una mozione in Comune e infine un appello dei Radicali all’assemblea regionale. Centoquaranta caratteri per contestare quell’Arabia Saudita «che ha deciso la vergognosa condanna a morte di Ali al-Nimr con decapitazione e crocifissione per aver partecipato da minorenne a una manifestazione contro il regime». 

Qualche ora dopo, il sindaco Fassino ha risposto all’appello con poche, ferme righe: «Si risparmi la vita di Al Nimr. Nessuna ragione di Stato, politica o religiosa giustifica che si condanni un giovane alla decapitazione e alla crocifissione». Poi la conclusione: «È evidente che una condanna a morte negherebbe in radice quelle ragioni di dialogo che erano alla base dell’invito all’Arabia Saudita quale Paese ospite dell’edizione 2016 del Salone del Libro». Poi è arrivata la dichiarazione del governatore Chiamparino: «Riteniamo che sia necessario riconsiderare tale invito, data l’importanza, soprattutto in questo momento storico, di trasmettere messaggi univoci e coerenti in tema di rispetto dei diritti universali della persona». 

Riad irritata  
La decisione di ospitare un Paese destinato a dividere l’opinione pubblica, va detto, non è stata assunta dall’attuale presidente Giovanna Milella, ma dal suo predecessore Rolando Picchioni nel 2014 anche perché trattative di questo tipo durano minimo un anno. E già a maggio di quest’anno la presidente Milella, a poche ore dalla sua nomina, criticò la scelta: «Dobbiamo ripensarci su». «L’Arabia che divide» diventò così all’inizio dell’estate un caso politico-diplomatico. Sembrava un po’ un film già visto nel 2008, quando l’ospite scelto dal Salone era Israele, nei 60 anni dello Stato ebraico: anche lì la questione scatenò un’accesa discussione fra scrittori, intellettuali e politici. E nei cortei si arrivò a incendiare la bandiera israeliana.  

L’Arabia Saudita fin dall’inizio non ha gradito certe critiche. L’ambasciatore saudita a Roma, Rayed Khalid A. Krimly scrisse che «La partecipazione a un evento culturale non può essere viziata da un’interpretazione eurocentrica, univoca e xenofoba». Per concludere: «Desta stupore constatare che quanti si ergono a promotori del liberalismo e del pluralismo stiano manifestando ostilità alla partecipazione di rappresentanti di altre culture in un evento di cultura internazionale». E non si era ancora arrivati alla bocciatura definitiva.  

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