dì
14 agosto 2017
Agenzia
Habeshia
Il
blocco per le navi delle Ong a 97 miglia dalle coste africane,
ordinato dal Governo di Tripoli con il nulla osta ed anzi il plauso
dell’Italia e dell’Unione Europea, chiude il cerchio di quella
che appare quasi una guerra contro i migranti nel Mediterraneo. La
situazione dei soccorsi ai battelli carichi di profughi che chiedono
asilo e rifugio in Europa, viene riportata a quella creatasi
all’indomani dell’abolizione del progetto Mare Nostrum quando,
dovendo partire le navi da centinaia di chilometri di distanza per
rispondere alle richieste di aiuto, ci fu immediatamente una
moltiplicazione delle vittime e delle sofferenze. Non a caso, prima
Medici Senza Frontiere e poi anche Save the Children e Sea Eye, hanno
deciso di sospendere le operazioni di salvataggio in mare: troppo
lunga la distanza da percorrere per fronteggiare con efficacia
emergenze nelle quali anche un solo minuto di ritardo può risultare
decisivo e, soprattutto, troppo rischioso – per sé ma ancora di
più per i migranti – sfidare le minacce della Guardia Costiera
libica, la quale non esita a sparare contro le unità dei
soccorritori, come dimostra tutta una serie di episodi, incluso
quello denunciato proprio in questi giorni dalla Ong spagnola
Proactiva Open Arms.
La
decisione di dare “mano libera” alla Libia purché, attuando veri
e propri respingimenti di massa, si addossi il lavoro sporco di
fermare profughi e migranti prima ancora che possano imbarcarsi o a
poche miglia dalla riva, è il capitolo conclusivo della politica
che, iniziata con il Processo di Rabat (2006) e proseguita con il
Processo di Khartoum (novembre 2014), con gli accordi di Malta
(novembre 2015) e il patto con la Turchia (marzo 2016), mira a
esternalizzare fino al Sahara le frontiere della Fortezza Europa,
confinando al di là di quella barriera migliaia di disperati in
cerca solo di salvezza da guerre, persecuzioni, fame, carestia, e
intrappolando nel caos della Libia quelli che riescono ad entrare o
sono intercettati in mare e riportati di forza in Africa. Tutto ciò
a prescindere dalla libertà, dalla volontà e dalle storie
individuali dei migranti, calpestandone i diritti sanciti dalle norme
internazionali e dalla Convenzione di Ginevra e senza tener conto
della sorte che li aspetta, in Libia, nei centri di detenzione
governativi, nelle prigioni-lager dei trafficanti, lungo la faticosa
marcia dal deserto alla costa del Mediterraneo. Una sorte orrenda,
come denunciano da anni, in decine di rapporti, la missione Onu in
Libia, l’Unhcr, l’Oim, l’Oxfam, Ong come Amnesty, Human Rigts
Watch, Medici Senza Frontiere, Medici per i Diritti Umani, numerose
associazioni umanitarie, diplomatici, giornalisti, volontari.
Rapporti che parlano di uccisioni, riduzione in schiavitù, stupri
sistematici, lavoro forzato, maltrattamenti e violenze di ogni genere
come diffusa pratica quotidiana. Non a caso il procuratore Fatu
Bensouda ha annunciato sin dal maggio scorso, di fronte al Consiglio
di Sicurezza delle Nazioni Unite, che la Corte Penale Internazionale
ha aperto un’inchiesta su quanto sta accadendo ai migranti in Libia
nei cosiddetti “centri di accoglienza” e su certi episodi che
riguardano la stessa Guardia Costiera, avanzando l’ipotesi anche di
“crimini contro l’umanità”.
Chiunque
sia artefice di questa politica di respingimento e chiusura totale e
chiunque la sostenga – sorvolando, tra l’altro, sul fatto che la
Libia si è sempre rifiutata di firmare la Convenzione di Ginevra sui
diritti dei rifugiati – si rende complice di tutti questi orrori e
prima o poi sarà chiamato a risponderne. Domani sicuramente di
fronte alla Storia ma oggi, c’è da credere, anche di fronte a una
corte di giustizia. Non mancano, infatti, diversi ricorsi a varie
corti europee promossi da giuristi, associazioni, Ong, mentre anche
il Tribunale Permanente dei Popoli, nella sessione convocata a
Barcellona il 7 luglio, ha posto al centro della sua istruttoria il
rapporto di causa-effetto tra le politiche europee sull’immigrazione
e la strage in atto.
Alla
luce di tutto questo, l’agenzia Habeshia fa appello alla comunità
internazionale e alla società civile dell’intera Europa perché
contestino le scelte effettuate dalle istituzioni politiche
dell’Unione e dei singoli Stati e le inducano a un radicale
ripensamento, revocando tutti i provvedimenti di blocco, istituendo
canali legali di immigrazione e riformando il sistema di accoglienza,
oggi diverso da Paese a Paese, per arrivare a un programma unico con
quote obbligatorie, condiviso, accettato e applicato da tutti gli
Stati Ue.
A
tutti i media e ai singoli giornalisti, in particolare, l’Agenzia
Habeshia fa appello perché raccontino giorno per giorno le morti e
gli orrori che avvengono nell’inferno ai quali i migranti sono
condannati, in Libia e negli altri paesi di transito o di prima
sosta, dalla politica della Fortezza Europa, preoccupata solo di
blindare sempre di più i propri confini, senza offrire alcuna
alternativa di salvezza ai disperati che bussano alle sue porte.
Serve come non mai, oggi, una informazione precisa, dettagliata,
puntuale, continua perché nessuno possa dire: “Non sapevo…”.
don
Mussie Zerai
Presidente
dell'A.H.C.S
Nessun commento:
Posta un commento