Stare in bilico più che in equilibrio. Anche a Torino alla ricerca del “segno femminile”by eredibibliotecadonne |
di Betti Briano
La parola equilibrio mi evoca di questi tempi tutt’altra idea che quella di pace, di quiete intesa come assenza di conflitto, della stabilità come prodotto dell’incontro di forze pari che si annullano; mi fa pensare piuttosto ad una temporanea stasi nella lotta per l’esistenza, al momento in cui è andato a buon fine un passo per salire la china ma sai che basta un nonnulla per precipitare nell’abisso. Sentimento che peraltro ho trovato emblematicamente espresso nelle opere portate alla mostra ‘Nuovi Equi.libri’ tenutasi allaBiblioteca Nazionale Universitaria di Torino dal 1 al 17 Settembre da Rosanna La Spesa, che ho avuto il piacere di accompagnare per l’allestimento e l’inaugurazione: nella mano appesa al canyon di terracotta che rappresenta la oscura fatica di quanti lottano per stare semplicemente in vita come nella farfalla intrappolata a simbolizzare il delicato e pur vitale anelito di libertà delle creature che popolano la terra o nelle trame di vetro in bilico sul tunnel da cui traspare la fragilità e la precarietà dell’ordito del nostro tessuto esistenziale.
Il tema della mostra era riassunto nella celebre nota di Henri Matisse del 1908 ‘ Sogno un’arte di equilibrio, tranquillità, senza soggetti inquietanti e preoccupanti. Un’arte che sia per ogni lavoratore intellettuale….un lenitivo, un calmante cerebrale, qualcosa di analogo ad una buona poltrona dove riposarsi dalle fatiche fisiche’; la scomposizione lessicale del titolo ( equi.libri) alludeva inoltre ad una sorta di atarassia da conquistare grazie al sapere e alla cultura.
Delle opere esposte forse soltanto l’Erbario cinquecentesco di Leonhard Fuchs pareva incarnare l’ideale artistico di Matisse e quello ‘neo-epicureo degli ideatori della mostra; in quelle recenti risultava evidente invece l’in-quietudine, il senso dell’effimero e della temporaneità dell’equilibrio raggiunto, il dinamismo vitale e al contempo mortifero delle vicende umane come dei fatti naturali. Gli attaccapanni da stireria appesi alla rete metallica nell’installazione dal titolo ‘Soffio Vitale’di Manuela Crosio, evocavano il miraggio della libertà di chi come la stiratrice è intrappolata/o nella ripetitività dei gesti e la cultura, rappresentata da una montagna di spazzatura cartacea ai piedi della rete, più che nutrimento appariva cascame inutilmente consumato. L’equilibrio proposto da Antonia Pia Bianchimani nella sua ‘Danza Cosmica’ quale metafora del vuoto inteso come culla di creazione e insieme annichilimento di tutte le cose si presentava invece come la ‘fotografia’ dell’attimo che segue all’esplosione in cui gli oggetti scagliati in aria appaiono sospesi prima di precipitare al suolo. Anche l’armonia primigenia del seme raffigurato daMarina Conte nei due quadri ‘In primis’ ed ‘Arché’, forse al di là dell’intento dell’artista, esprimeva lo stato embrionale dell’esplosione vitale che seguirà anziché l’autosufficienza della quiete. Nella serie ‘L’equilibrio del silenzio’ di Simona Fiandri l’assenza di suono più che alla quiete ristoratrice prelude all’irrompere della presenza e alla presa di parola mentre, ne ‘L’equilibrio blu’ di Elena Andreatta il vortice di colore richiamava la turbolenza del mare anziché la serenità della volta celeste. I due suggestivi dipinti di Marina Carboni, ‘Arrivando’ e ‘Aspettando’, parevano ben lontani dal comunicare il senso di un nuovo equilibrio sociale scaturente dall’accoglienza del diverso, gli sguardi atterriti e spaesati dei profughi inducevano a pensare piuttosto al dis-equilibrio dello sradicamento. Anche nei lavori degli altri/e artisti/e, soprattutto delle donne, i nuovi equilibri risultavano interpretati nella dimensione psichica o nella relazione con l’ambiente e la natura con allusioni anche inquietanti a limiti e precarietà e inconsistenza dei riferimenti a stati di pace reali o ipotetici. Il tema della cultura quale fonte di equilibrio risultava assente in quasi tutte le opere; solo nella sequenza di Annalisa Di Meo dal nome ‘Racconti lineari con improvviso sviluppo nella trama’ compariva l’iconografia della pagina a significare però non la cultura sedimentata ma il filo del racconto che si iscrive nel libro della vita.
La presenza maggioritaria delle artiste mi ha fatto pensare alla non casualità della ricorrenza di una visione instabile dell’equilibrio, all’assenza del senso di pienezza e appagamento intellettuale auspicato da Matisse come anche dell’armonia tra corpo e mente da guadagnare attraverso la fruizione del prodotto artistico e la pratica culturale. Persino dal suono cristallino delle campane tibetane di Isabella Cambiganu, la performer chiamata a testimoniare l’efficacia della sua proposta new age ai fini della ricomposizione dell’equilibrio corpo-mente, ho ricavato la stessa ansia ed inquietudine che mi aveva suscitato la visione delle opere. Pensando allora a quanto nella mia personale esperienza la parola scritta sia stata determinante nel processo di presa di coscienza e nella lotta per un’esistenza libera in quanto donna ho realizzato che il rapporto con esse si è rivelato produttivo di crescita e di libertà solo quando vi è stato spiazzamento e sorpresa, nel momento in cui nuove scoperte hanno fatto crollare certezze, a volte anche aperto conflitti, mai quando nella scrittura ho ritrovato rassicurazione e conferma a mie opinioni e convinzioni. Non differente ritengo sia il percorso di una donna che intenda dar corso ad una visione libera del mondo attraverso l’arte; difficilmente nel creare ella potrà evitare di mettere in scena gli inciampi, le verità nascoste, l’indicibile e i grandi interrogativi dell’esperienza femminile e di produrre quindi in chi guarda effetti di spostamento del proprio asse di equilibrio e di prospettiva dello sguardo. Gli uomini, avendo costruito il mondo a propria misura, possono forse ricercare nell’arte il completamento della propria vita, la perfezione del loro stato come anche l’evasione dalla quotidianità; le donne per perseguire progetti di libertà devono inevitabilmente trovare la propria misura del mondo ed hanno pertanto necessità di in-ventare, ri-guardare e ri-creare l’esistente e attraverso l’arte non possono che frantumare equilibri , rompere consuetudini e vanificare certezze. Ho concluso che è stato proprio il segno femminile della mostra di Torino a vanificare il vagheggiamento maschile ed aristocratico di Matisse di un’arte che rassicuri e ristori menti elette dalle fatiche intellettuali.
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