http://www.ivg.it/2016/10/scempio-ambientale-borgio-verezzi-discarica-abusiva-via-valle/
lunedì 31 ottobre 2016
domenica 30 ottobre 2016
fermare il massacro dell'acqua pubblica
Il Manifesto, Sabato 29 Ottobre 2016
*Il governo chiude l’acqua pubblica*
Nel disegno di legge sul servizio idrico, si assiste all’assoluta
soppressione del modello dell’azienda speciale, l’unico modello di
gestione dei servizi autenticamente pubblico, ancora vigente nel nostro
ordinamento
di Alberto Lucarelli
La Camera dei deputati nell’aprile del 2016, in prima lettura, ha
privatizzato il servizio idrico integrato. Tale voto si pone in assoluto
contrasto con la legge di iniziativa popolare che voleva la gestione
dell’acqua attraverso enti di diritto pubblico.
Proviamo adesso a fare una simulazione, immaginando già di stare in un
modello costituzionale che attribuisce soltanto ad una camera il potere
legislativo, con un Senato, composto da 95 personaggi in cerca di
autore, impreziositi da 5 legionari del presidente della Repubblica.
Cosa succederebbe in ordine alla gestione dell’acqua? Non ci sarebbe più
la possibilità di impedire che il referendum sull’acqua bene comune
venga calpestato e con esso la volontà di 27 milioni di cittadini che
nel giugno del 2011 votarono contro la svendita dei servizi pubblici
essenziali.
Ecco, se malauguratamente dovesse vincere il Sì, quali sarebbero i primi
ed immediati effetti nefasti della riforma costituzionale: annullare
luoghi di rappresentanza, di discussione, di conflitto. Il bicameralismo
perfetto, che in passato, proprio attraverso la tanto deprecata
“navetta”, era riuscito a recuperare “sbandate” o “atti di forza” di una
delle due camere, non potrà più svolgere quest’azione di ripensamento e
di pressione contro indirizzi politici dominanti.
Riavvolgiamo il nastro e vediamo in che contesto si andrebbe ad inserire
una non auspicabile riforma costituzionale. Come è noto, sono in corso
di approvazione la legge per la gestione del servizio idrico integrato
ed il decreto delegato Madia sui servizi pubblici locali di interesse
economico generale.
In questo scenario, il 10 agosto u.s. è stato approvato dal Consiglio
dei ministri il cd. decreto Madia 1, meglio conosciuto come Testo unico
in materia di società a partecipazione pubblica, concepito con
l’obiettivo dichiarato di privatizzare le società partecipate, anche
quelle che erogano servizi essenziali (il c.d taglia partecipate).
Il fil rouge di tali normative è di calpestare gli esiti del referendum
del 2011, di privatizzare e commercializzare i servizi pubblici locali;
di sotterrare definitivamente il concetto di impresa pubblica, in
evidente contrasto con la parte economica della nostra Costituzione.
Addirittura si indica il ricorso al mercato come criterio di preferenza
per l’attribuzione di risorse pubbliche. Ad appena cinque anni dal
referendum abrogativo, mentre alcune amministrazioni, quale Napoli, tra
mille difficoltà, attuano la volontà referendaria (costituzione di Abc
Napoli), Governo e Parlamento stanno costruendo un sistema normativo che
ripropone in maniera ancora più virulenta il progetto Berlusconi-Ronchi
del 2008.
Il progetto di riforma Madia 2 sui servizi di interesse economico
generale esclude che i servizi a rete, quale è l’acqua, possano essere
affidati a soggetti di diritto pubblico, come l’azienda speciale.
Siamo in presenza di un progetto normativo che si contrappone anche alla
Corte costituzionale che nel 2012, evocando il rispetto della sovranità
popolare e degli esiti referendari, aveva enunciato il vincolo
referendario, stabilendo che il legislatore dovesse rispettare quanto
espresso dai cittadini.
Nel disegno di legge sul servizio idrico, si assiste all’assoluta
soppressione del modello dell’azienda speciale, l’unico modello di
gestione dei servizi autenticamente pubblico, ancora vigente nel nostro
ordinamento. Ovvero, si nega ai comuni, alle autorità d’ambito, anche in
contrasto con il diritto europeo, la possibilità di poter scegliere un
modello alternativo al mercato.
Il progetto è quello di privatizzare le grandi società pubbliche ex
municipalizzate presenti nel nostro Paese (Iren, A2A, Acea, Hera) e
porre il territorio italiano sotto il loro dominio e a loro volta della
finanza, anche tossica , che le sostiene, da quando si ventilarono i
falsi paradisi delle privatizzazioni.
Ma impedire che soggetti di diritto pubblico, quali le aziende speciali,
possano gestire servizi pubblici essenziali, è un’operazione non
conforme e non compatibile con la Costituzione. Rappresenta un
tradimento della volontà popolare e dell’inequivoco risultato politico
espresso, che aveva fortemente voluto, tra l’altro, l’abrogazione della
clausola della remunerazione del capitale investito, proprio quella che
spinge capitali e finanza a gestire l’acqua, a prescindere dalla qualità
del servizio, della tutela delle risorse naturali, degli investimenti
nelle infrastrutture.
Ma sono violati anche principi di diritto europeo, quali la
sussidiarietà verticale e la libertà di definizione, impedendo ai comuni
di scegliersi il modello di gestione più adeguato ed opportuno al
proprio territorio ed alla propria realtà socio-economica, così come
previsto, tra l’altro, dall’art. 106 del Trattato.
Un disegno politico talmente aggressivo da essere incoerente con il
principio di neutralità del diritto dell’Unione europea rispetto al
regime della proprietà ed ai modelli di gestione, che attribuisce ai
comuni il potere fornire ed organizzare i propri servizi d’interesse
economico generale e di attivare un “reale” regime pubblicistico in
deroga alla regola della concorrenza.
Il ministro Madia ha detto che l’acqua non c’entra con il decreto e
comunque il governo non intende privatizzarla. Bene, allora si
suggerisce di procedere in tal senso:
1) presenti come emendamento del governo nel dibattito al Senato,
relativo al disegno di legge sull’acqua, un emendamento all’art. 7 che
preveda espressamente la modalità di gestione del servizio attraverso un
ente di diritto pubblico;
2) stralci dallo schema di Decreto Madia 2 la gestione delle risorse
idriche, come tra l’altro ha vivamente suggerito di fare la commissione
affari costituzionali della Camera in sede consultiva.
Nel caso il quadro normativo rimanesse immutato, i comuni potrebbero
scegliere l’acqua pubblica fondando la propria azione amministrativa
direttamente sul diritto europeo il che non escluderebbe anche ricorsi
dinanzi alla Corte costituzionale, che potrebbero attivare anche il
comitato referendario per l’acqua bene comune del 2011, sollevando
conflitto di attribuzioni contro gli atti posti in essere da parlamento
e governo.
sabato 29 ottobre 2016
aiuto
Il comune di Savona vuole chiudere il museo archeologico che lo scorso anno è stato visitato da oltre 8000 persone ipotizzando il problema delle spese e ponendo tre persone in mezzo ad una strada.Il museo è oggi gestito dalla sezione Sabazia dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri che da decenni insieme gestisce pure gli scavi archeologici nella fortezza del Priamar dove il museo è ubicato.Vi chiedo di copiare ,incollare e scrivere a staff.sindaco@comune.savona.it
ciao Danilo Bruno info 3292239928
ciao Danilo Bruno info 3292239928
Gentile Sindaca,
leggo con stupore e sconcerto della Sua decisione di chiudere il Museo Archeologico sul Priamar, presidio di alto valore culturale per la città, anello fondamentale di raccordo con la ricerca universitaria, essendo collegato a scavi archeologici, attività di studio e laboratori didattici, che hanno dato e continuano a dare lustro a Savona.
Gli effetti di questa decisione sarebbero umilianti per la nostra città.
Cordiali saluti
Danilo Bruno
sul CETA
adini e dei produttori responsabili
Pubblicato da Stop Ttip Italia
Salta il vertice Europa-Canada e la Campagna stop TTIP Italia pubblica il nuovo rapporto “Butta quella pasta“: perché il CETA va fermato anche se il Belgio ci ripensa. Per questo Stop TTIP Italia conferma le iniziative del 5 novembre: “non illudiamoci e non abbassiamo la guardia”
“Il Belgio non è nella posizione di firmare il CETA”. Con queste lapidarie parole il primo ministro belga Charles Michel chiude la partita sull’Accordo di liberalizzazione commerciale con il Canada. “La Vallonia, il Governo di Bruxelles capitale e la comunità francese hanno detto No”.
Dopo l’afflosciamento del negoziato sul TTIP, la Commissione Europea ha provato a forzare sull’approvazione del CETA tentando di trasformare un accordo evidentemente misto, che richiede la ratifica dei Parlamenti nazionali, in uno EU only e a modificare alcuni dei capitoli più problematici, come l’arbitrato sugli investimenti, con uno specchietto per le allodole come l’imitazione di una vera corte internazionale (ICS). Oggi, perà, il campione socialdemocratico di CETA e TTIP, Bernard Lange, è costretto a ammettere su Twitter che “il CETA ha fallito . L’Unione europea non è più capace di creare un compromesso sociale, ha bisogno di un profondo riorientamento verso le aspettative dei cittadini”: Ben svegliato! Non era meglio ascoltare le nostre preoccupazioni per tempo, quando sono state scritte nero su bianco negli emendamenti alla Risoluzione sul TTIP che avevamo fatto presentare al Parlamento Europeo l’8 luglio 2015 e che sono state prontamente bocciate da Popolari e Socialdemocratici?
“Lo stop del percorso di approvazione del CETA mostra quanto siano l’inadeguatezza e l’insostenibilità delle politiche sostenute dalla Commissione Europea a creare le condizioni per i propri fallimenti” sottolinea Monica Di Sisto, di Fairwatch e portavoce della Campagna Stop TTIP Italia. “La posizione della Vallonia, tutt’altro che nazionalistica e autarchica, ha ribadito come per alcuni capitoli estremamente delicati e rischiosi come quello dell’arbitrato per le imprese, dello sviluppo sostenibile, l’innalzamento degli standard di qualità, non ci siano le tutele necessarie. Quello che è emerso con il caso della regione belga è ciò che le campagne Stop TTIP/CETA hanno ribadito per oltre due anni, ma che la Commissione Europea ha pensato bene di ignorare. Rimaniamo comunque con gli occhi aperti, è necessario che il Consiglio Europeo si esprima in modo incontrovertibile sulla situazione. Per questo chiediamo che sospendano ufficialmente l’approvazione del CETA e il negoziato TTIP, cambiando radicalmente rotta“.
Dopo l’afflosciamento del negoziato sul TTIP, la Commissione Europea ha provato a forzare sull’approvazione del CETA tentando di trasformare un accordo evidentemente misto, che richiede la ratifica dei Parlamenti nazionali, in uno EU only e a modificare alcuni dei capitoli più problematici, come l’arbitrato sugli investimenti, con uno specchietto per le allodole come l’imitazione di una vera corte internazionale (ICS). Oggi, perà, il campione socialdemocratico di CETA e TTIP, Bernard Lange, è costretto a ammettere su Twitter che “il CETA ha fallito . L’Unione europea non è più capace di creare un compromesso sociale, ha bisogno di un profondo riorientamento verso le aspettative dei cittadini”: Ben svegliato! Non era meglio ascoltare le nostre preoccupazioni per tempo, quando sono state scritte nero su bianco negli emendamenti alla Risoluzione sul TTIP che avevamo fatto presentare al Parlamento Europeo l’8 luglio 2015 e che sono state prontamente bocciate da Popolari e Socialdemocratici?
“Lo stop del percorso di approvazione del CETA mostra quanto siano l’inadeguatezza e l’insostenibilità delle politiche sostenute dalla Commissione Europea a creare le condizioni per i propri fallimenti” sottolinea Monica Di Sisto, di Fairwatch e portavoce della Campagna Stop TTIP Italia. “La posizione della Vallonia, tutt’altro che nazionalistica e autarchica, ha ribadito come per alcuni capitoli estremamente delicati e rischiosi come quello dell’arbitrato per le imprese, dello sviluppo sostenibile, l’innalzamento degli standard di qualità, non ci siano le tutele necessarie. Quello che è emerso con il caso della regione belga è ciò che le campagne Stop TTIP/CETA hanno ribadito per oltre due anni, ma che la Commissione Europea ha pensato bene di ignorare. Rimaniamo comunque con gli occhi aperti, è necessario che il Consiglio Europeo si esprima in modo incontrovertibile sulla situazione. Per questo chiediamo che sospendano ufficialmente l’approvazione del CETA e il negoziato TTIP, cambiando radicalmente rotta“.
Per dimostrare con i fatti che il no al CETA non è figlio del nazionalismo e della miopia politica, come pure alcuni da parte socialdemocratica e centrista sembrano voler sostenere, la Campagna Stop TTIP Italia pubblica il nuovo e scottante rapporto “Butta quella pasta! Perché il CETA va fermato subito dove si affrontano con numeri e dati in 14 pagine l’impatto rovinoso che il maggior ingresso di grano e di pasta canadesi avrebbero sui produttori italiani, sulla protezione delle nostre paste e dolci di eccellenza e sulla tutela della nostra salute che verrebbe minacciata da prodotti con più pesticidi, tossine e ogm. Il link al documento butta-quella-pasta-def
“Il disastro nella politica commerciale europea è figlia di un approccio eccessivamente orientato alla tutela dei privilegi di pochi” sottolinea Elena Mazzoni, di Transform tra i coordinatori della Campagna Stop TTIP Italia. “Nonostante una netta opposizione al meccanismo dell’arbitrato che si è dimostrata non solo nelle piazze ma anche con il 97% di contrarietà su oltre 140mila opinioni inviate all’UE in occasione di una consultazione popolare, la Commissione è andata avanti lo stesso, proponendo una riforma assolutamente parziale e insoddisfacente. Il caso TTIP e CETA dovrebbero essere un campanello di allarme sul fatto che bisogna necessariamente cambiare rotta”.
“Come Campagna Stop TTIP Italia abbiamo comunque scelto di non abbassare la guardia” aggiunge Marco Bersani, di Attac e tra i coordinatori della Campagna Stop TTIP Italia. “Il TTIP e il CETA non sono stati ancora definitivamente messi in un cassetto e per questo il 5 novembre organizzeremo eventi in diverse città italiane, per ribadire la nostra contrarietà a una politica di liberalizzazione commerciale non più accettabile. Abbiamo contribuito a bloccare il CETA e il TTIP” conclude Bersani, “ma ci sono altre sfide come il TiSA, l’accordo di liberalizzazione sui servizi, e altri accordi come quello con la Tunisia e con il Mercosur che meritano altrettanta attenzione e mobilitazione”.
“Come Campagna Stop TTIP Italia abbiamo comunque scelto di non abbassare la guardia” aggiunge Marco Bersani, di Attac e tra i coordinatori della Campagna Stop TTIP Italia. “Il TTIP e il CETA non sono stati ancora definitivamente messi in un cassetto e per questo il 5 novembre organizzeremo eventi in diverse città italiane, per ribadire la nostra contrarietà a una politica di liberalizzazione commerciale non più accettabile. Abbiamo contribuito a bloccare il CETA e il TTIP” conclude Bersani, “ma ci sono altre sfide come il TiSA, l’accordo di liberalizzazione sui servizi, e altri accordi come quello con la Tunisia e con il Mercosur che meritano altrettanta attenzione e mobilitazione”.
ragionare si movimenti popolari
Se è un compito di enorme portata quello di trasformare un pianeta ferito e inospitale in una casa accogliente in cui non vi sia più «nessun contadino senza terra, nessuna famiglia senza casa, nessun lavoratore senza impiego», i movimenti popolari di tutto il mondo sanno almeno, e non da oggi, di poter contare sul chiaro e deciso sostegno di papa Francesco.
Ed è proprio con lui, il loro più potente alleato, che potranno nuovamente riunirsi il prossimo 5 novembre - evento culminante del Terzo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari (EMMP) -, a due anni dal primo storico incontro in Vaticano (nell'ottobre del 2014), quando più di 100 delegati – appartenenti a quella ricca galassia di forme di auto-organizzazione riconducibili in vario modo alla categoria dell'economia informale - erano stati invitati a Roma per iniziativa del papa stesso, il quale, «coerente con la sua opzione per i poveri», aveva voluto, secondo le parole di Frei Betto, «sentire coloro che li rappresentano».
Vale a dire - come ha spiegato mons. Silvano Tomasi, del Pontificio Consiglio Gustizia e Pace, durante la conferenza stampa di presentazione del III EMMP svoltasi oggi presso la Sala Stampa della Santa Sede - riportare al centro quanti sono da sempre relegati in periferia, invitandoli, una volta tanto, non solo ad ascoltare, ma soprattutto a parlare e a confrontarsi, indipendentemente da ogni appartenenza confessionale, e ancor di più ad auto-organizzarsi, unendo le loro forze per combattere le cause dell'esclusione e iniziare a edificare quell'altro mondo ritenuto possibile eppure sempre drammaticamente lontano.
È proprio questa, del resto – come ha evidenziato durante la conferenza stampa il membro del Comitato organizzativo dell'incontro Juan Grabois – l'«idea soggiacente al concetto di movimento popolare»: i poveri, secondo quanto sottolineato dallo stesso papa Francesco durante l'incontro del 2014, «non si limitano a subire l'ingiustizia, ma si organizzano e lottano contro di essa».
Cosicché ciò che ha fatto papa Francesco, ha proseguito Grabois, è stato «porre sotto gli occhi del mondo una realtà coperta dal silenzio: esiste un'enorme quantità di organizzazioni, grandi e piccole, che sono costituite, organizzate e guidate dagli esclusi, i quali non si rassegnano alla miseria che è stata loro imposta e resistono in un'ottica di solidarietà all'attuale paradigma tecnocratico».
Convocato dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e da esponenti dei movimenti stessi (un comitato organizzativo composto da Joao Pedro Stédile del Movimento dei Senza Terra-Via Campesina, da Juan Grabois della Confederazione dei Lavoratori dell’Economia Popolare dell'Argentina, dalla spagnola Xaro Castelló del Movimento Mondiale dei Lavoratori Cristiani e dall'indiano Jockin Arputham di Slum Dwellers International), il primo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari era stato pensato come un punto di partenza nel processo di costruzione di una sorta di coordinamento delle organizzazioni popolari, con il sostegno della Chiesa.
E si era proposto di individuare le cause strutturali dell'esclusione e i modi per combatterle, partendo da tre grandi tematiche: Terra, Casa, Lavoro.
Un processo che ha poi fatto tappa nel 2015 a Santa Cruz de la Sierra, dove, durante il viaggio del papa in Bolivia, 1.500 rappresentanti di organizzazioni provenienti da 40 Paesi hanno nuovamente avuto la possibilità di incontrarsi con lui, impegnandosi ad approfondire gli stessi tre grandi temi del precedente incontro.
E che ora fa ritorno in Vaticano, dove, dal 2 al 5 novembre, si svolgerà il terzo incontro, con l'obiettivo di aggiungere un nuovo tassello al cammino di costruzione di un rinnovato protagonismo degli esclusi nella lotta per la Terra, la Casa, il Lavoro; di promozione di un dialogo fra le organizzazioni e i movimenti popolari a livello internazionale e locale; di lotta a favore dei cambiamenti strutturali proposti da papa Francesco nella Evangelii gaudium e nella Laudato si’, di rafforzamento della cooperazione tra la Chiesa (a livello mondiale, nazionale, regionale) e le organizzazioni popolari, al di fuori di ogni approccio assistenzialista e paternalista.
In riferimento alla metologia tradizionale latinoamericana del vedere, giudicare e agire, ha affermato Juan Grabois, «si potrebbe dire che il primo incontro è servito a conoscere le nostre realtà (vedere)», a capire, cioè, che le lotte per la Terra, la Casa, il Lavoro sono le stesse in tutto il mondo; il secondo è stato dedicato al «discernimento collettivo» su «cosa sta avvenendo (giudicare)», su una realtà costituita da «situazioni di ingiustizia strutturale legate da un “filo invisibile” che è possibile spezzare solo attraverso un programma di radicale trasformazione» (sintetizzato nella Carta di Santa Cruz de la Sierra, sottoscritta da oltre 500 organizzazioni di tutto il mondo); e, infine, questo terzo dovrà concentrarsi sulle «concrete proposte di cambiamento (agire)».
Tenendo ferme le ormai note parole chiave - «la lotta per le 3 “T” (Tierra, Techo, Trabajo) continua a essere il cuore dei nostri incontri», ha sottolineato Grabois - la riflessione si centrerà stavolta in particolare su tre grandi temi: territorio e beni naturali, nell'ottica di quell'Ecologia intregrale su cui si è soffermato papa Francesco nella Laudato si'; popoli e democrazia (cioè la natura delle istituzioni democratiche e «la loro incapacità di limitare il potere arbitrario dei poteri forti»); rifugiati e sfollati (un dramma, questo, per il quale il papa, ha evidenziato Grabois, ha sempre mostrato una particolare preoccupazione e in cui «le contraddizioni del sistema si esprimono in maniera particolarmente brutale»).
E, rispetto all'incontro del 2014, vi sarà un'importante novità: l'evento conclusivo del 5 novembre, quello che culminerà con il discorso di papa Francesco, sarà esteso a un grande ventaglio di movimenti italiani, i quali, per volontà esplicita del papa, che ha messo per questo a disposizione l'aula Paolo VI (con una capienza di 7.000 persone), potranno così dialogare e confrontarsi con i circa 200 delegati dei movimenti popolari internazionali, più diversi altri invitati all'Incontro, dall'ex-presidente uruguaiano José Mujica a don Luigi Ciotti. Un'opportunità, per le organizzazioni italiane, afflitte da un calo generalizzato di partecipazione e da una frammentazione sempre più evidente e drammatica, per iniziare a riallacciare un dialogo di cui in tanti lamentano la mancanza, in vista del possibile avvio di una nuova stagione di lotte a livello italiano e internazionale.
Claudia Fanti - Adista
Ed è proprio con lui, il loro più potente alleato, che potranno nuovamente riunirsi il prossimo 5 novembre - evento culminante del Terzo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari (EMMP) -, a due anni dal primo storico incontro in Vaticano (nell'ottobre del 2014), quando più di 100 delegati – appartenenti a quella ricca galassia di forme di auto-organizzazione riconducibili in vario modo alla categoria dell'economia informale - erano stati invitati a Roma per iniziativa del papa stesso, il quale, «coerente con la sua opzione per i poveri», aveva voluto, secondo le parole di Frei Betto, «sentire coloro che li rappresentano».
Vale a dire - come ha spiegato mons. Silvano Tomasi, del Pontificio Consiglio Gustizia e Pace, durante la conferenza stampa di presentazione del III EMMP svoltasi oggi presso la Sala Stampa della Santa Sede - riportare al centro quanti sono da sempre relegati in periferia, invitandoli, una volta tanto, non solo ad ascoltare, ma soprattutto a parlare e a confrontarsi, indipendentemente da ogni appartenenza confessionale, e ancor di più ad auto-organizzarsi, unendo le loro forze per combattere le cause dell'esclusione e iniziare a edificare quell'altro mondo ritenuto possibile eppure sempre drammaticamente lontano.
È proprio questa, del resto – come ha evidenziato durante la conferenza stampa il membro del Comitato organizzativo dell'incontro Juan Grabois – l'«idea soggiacente al concetto di movimento popolare»: i poveri, secondo quanto sottolineato dallo stesso papa Francesco durante l'incontro del 2014, «non si limitano a subire l'ingiustizia, ma si organizzano e lottano contro di essa».
Cosicché ciò che ha fatto papa Francesco, ha proseguito Grabois, è stato «porre sotto gli occhi del mondo una realtà coperta dal silenzio: esiste un'enorme quantità di organizzazioni, grandi e piccole, che sono costituite, organizzate e guidate dagli esclusi, i quali non si rassegnano alla miseria che è stata loro imposta e resistono in un'ottica di solidarietà all'attuale paradigma tecnocratico».
Convocato dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e da esponenti dei movimenti stessi (un comitato organizzativo composto da Joao Pedro Stédile del Movimento dei Senza Terra-Via Campesina, da Juan Grabois della Confederazione dei Lavoratori dell’Economia Popolare dell'Argentina, dalla spagnola Xaro Castelló del Movimento Mondiale dei Lavoratori Cristiani e dall'indiano Jockin Arputham di Slum Dwellers International), il primo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari era stato pensato come un punto di partenza nel processo di costruzione di una sorta di coordinamento delle organizzazioni popolari, con il sostegno della Chiesa.
E si era proposto di individuare le cause strutturali dell'esclusione e i modi per combatterle, partendo da tre grandi tematiche: Terra, Casa, Lavoro.
Un processo che ha poi fatto tappa nel 2015 a Santa Cruz de la Sierra, dove, durante il viaggio del papa in Bolivia, 1.500 rappresentanti di organizzazioni provenienti da 40 Paesi hanno nuovamente avuto la possibilità di incontrarsi con lui, impegnandosi ad approfondire gli stessi tre grandi temi del precedente incontro.
E che ora fa ritorno in Vaticano, dove, dal 2 al 5 novembre, si svolgerà il terzo incontro, con l'obiettivo di aggiungere un nuovo tassello al cammino di costruzione di un rinnovato protagonismo degli esclusi nella lotta per la Terra, la Casa, il Lavoro; di promozione di un dialogo fra le organizzazioni e i movimenti popolari a livello internazionale e locale; di lotta a favore dei cambiamenti strutturali proposti da papa Francesco nella Evangelii gaudium e nella Laudato si’, di rafforzamento della cooperazione tra la Chiesa (a livello mondiale, nazionale, regionale) e le organizzazioni popolari, al di fuori di ogni approccio assistenzialista e paternalista.
In riferimento alla metologia tradizionale latinoamericana del vedere, giudicare e agire, ha affermato Juan Grabois, «si potrebbe dire che il primo incontro è servito a conoscere le nostre realtà (vedere)», a capire, cioè, che le lotte per la Terra, la Casa, il Lavoro sono le stesse in tutto il mondo; il secondo è stato dedicato al «discernimento collettivo» su «cosa sta avvenendo (giudicare)», su una realtà costituita da «situazioni di ingiustizia strutturale legate da un “filo invisibile” che è possibile spezzare solo attraverso un programma di radicale trasformazione» (sintetizzato nella Carta di Santa Cruz de la Sierra, sottoscritta da oltre 500 organizzazioni di tutto il mondo); e, infine, questo terzo dovrà concentrarsi sulle «concrete proposte di cambiamento (agire)».
Tenendo ferme le ormai note parole chiave - «la lotta per le 3 “T” (Tierra, Techo, Trabajo) continua a essere il cuore dei nostri incontri», ha sottolineato Grabois - la riflessione si centrerà stavolta in particolare su tre grandi temi: territorio e beni naturali, nell'ottica di quell'Ecologia intregrale su cui si è soffermato papa Francesco nella Laudato si'; popoli e democrazia (cioè la natura delle istituzioni democratiche e «la loro incapacità di limitare il potere arbitrario dei poteri forti»); rifugiati e sfollati (un dramma, questo, per il quale il papa, ha evidenziato Grabois, ha sempre mostrato una particolare preoccupazione e in cui «le contraddizioni del sistema si esprimono in maniera particolarmente brutale»).
E, rispetto all'incontro del 2014, vi sarà un'importante novità: l'evento conclusivo del 5 novembre, quello che culminerà con il discorso di papa Francesco, sarà esteso a un grande ventaglio di movimenti italiani, i quali, per volontà esplicita del papa, che ha messo per questo a disposizione l'aula Paolo VI (con una capienza di 7.000 persone), potranno così dialogare e confrontarsi con i circa 200 delegati dei movimenti popolari internazionali, più diversi altri invitati all'Incontro, dall'ex-presidente uruguaiano José Mujica a don Luigi Ciotti. Un'opportunità, per le organizzazioni italiane, afflitte da un calo generalizzato di partecipazione e da una frammentazione sempre più evidente e drammatica, per iniziare a riallacciare un dialogo di cui in tanti lamentano la mancanza, in vista del possibile avvio di una nuova stagione di lotte a livello italiano e internazionale.
Claudia Fanti - Adista
Nessuno tocchi Caino
ontenuti del numero:
1. LA STORIA DELLA SETTIMANA : INVITO ALLA PROIEZIONE DEL DOCUFILM “SPES CONTRA SPEM” NEL CARCERE DI REBIBBIA
2. NEWS FLASH: KENIA: PRESIDENTE KENYATTA SVUOTA IL BRACCIO DELLA MORTE
3. NEWS FLASH: USA: NEL 2016 NUMERO PIÙ BASSO DI ESECUZIONI DEGLI ULTIMI 25 ANNI
4. NEWS FLASH: VIRGINIA (USA): SHERMAN BROWN CHIEDE ALLA CORTE SUPREMA DI ESSERE RICONOSCIUTO INNOCENTE
5. NEWS FLASH: CINA: GIURISTI CONTRARI ALL’ESECUZIONE IMMEDIATA
6. I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :
INVITO ALLA PROIEZIONE DEL DOCUFILM “SPES CONTRA SPEM” NEL CARCERE DI REBIBBIA
Il 4 novembre, alle ore 16, Nessuno tocchi Caino presenta il docu-film ‘Spes contra spem – Liberi dentro’ di Ambrogio Crespi nel Teatro del Carcere di Rebibbia, Via Raffaele Majetti 75.
Saranno presenti il Sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore, il Capo di Gabinetto del Ministero della Giustizia Giovanni Melillo, il Capo di Gabinetto del Ministero dei Beni Culturali Giampaolo D’Andrea e la Vice dello stesso Ministero Tiziana Coccoluto, il Capo del DAP Santi Consolo, il direttore del carcere Mauro Mariani, Rita Bernardini, Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti, rispettivamente Presidente d’Onore, Segretario e Tesoriere di Nessuno tocchi Caino, e il regista Ambrogio Crespi.
Il titolo del Docu-film è tratto dal motto “Spes contra spem” contenuto nel passaggio della Lettera di San Paolo ai Romani sull’incrollabile fede di Abramo che “ebbe fede sperando contro ogni speranza”.
È il frutto del dialogo e della riflessione comune di detenuti e operatori penitenziari della Casa di Reclusione di Opera.
Il docu-film si compone di immagini e interviste con detenuti condannati all’ergastolo, il direttore del carcere e agenti di polizia penitenziaria e il capo del DAP Santi Consolo.
Dal documento emerge con chiarezza non solo un cambiamento interiore dei detenuti – nel loro modo di pensare, di sentire e di agire – ma anche la rottura esplicita con logiche e comportamenti del passato e una maggiore fiducia nelle istituzioni.
Dalle testimonianze emerge anche che l’istituzione-carcere può rendere possibile il cambiamento e la ri-conversione di persone detenute in persone autenticamente libere.
Il Docu-film è prodotto da Nessuno tocchi Caino e Indexway.
Per l’ingresso al carcere è necessario comunicare entro il 31 ottobre all’email e.zamparutti@radicali.it i seguenti dati:
nome e cognome;
luogo e data di nascita;
luogo di residenza con recapito telefonico (anche solo cellulare);
tipo e numero del documento di identità.
Per i necessari controlli, si raccomanda di essere all’ingresso del carcere un’ora prima dell’inizio del film (quindi, alle ore 15);
In carcere non possono entrare telefoni cellulari, macchine fotografiche e altri dispositivi elettronici.
Per saperne di piu' :
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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH
KENIA: PRESIDENTE KENYATTA SVUOTA IL BRACCIO DELLA MORTE
24 ottobre 2016: il presidente keniota Uhuru Kenyatta ha firmato i documenti per la commutazione in ergastolo di tutte le condanne a morte.
Sono 2.747 i prigionieri del braccio della morte a beneficiare del provvedimento, di cui 2.655 uomini e 92 donne.
Le ultime commutazioni di condanne a morte in ergastolo risalivano al 2009, decise dall’allora presidente Mwai Kibaki.
Usando il Potere di Grazia previsto dall’articolo 133 della Costituzione, Kenyatta ha inoltre deciso la liberazione di 102 condannati a lunghe pene detentive, dopo un esame accurato da parte del Comitato Consultivo sul Potere di Grazia.
All’atto della firma erano presenti l’Attorney General Githu Muigai, il Segretario agli Interni Joseph Nkaissery, il Segretario del Comitato Consultivo sul Potere di Grazia Michael Kagika, il Commissario Generale delle Carceri Isaiah Osugo, e il Capo di Stato Maggiore e Capo del Pubblico Servizio Joseph Kinyua.
(Fonti: nairobinews.nation.co.ke, 24/10/2016)
Per saperne di piu' :
USA: NEL 2016 NUMERO PIÙ BASSO DI ESECUZIONI DEGLI ULTIMI 25 ANNI
24 ottobre 2016: Quest’anno gli Usa compiranno il numero più basso delle esecuzioni degli ultimi 25 anni. Lo ha calcolato Pew Research Center, una società di studi demoscopici che ogni anno pubblica anche dati percentuali sul gradimento della pena di morte.
Fino ad ore ne sono state compiute 17, ne sono previste altre 3, ed anche se venissero compiute tutte, 20 esecuzioni sarebbe il numero più basso dal 1991, quando furono 14.
Dal 1992 in poi le esecuzioni sono state almeno 28 l’anno. Le 17 esecuzioni sono state compiute in soli 5 stati: Alabama, Florida, Georgia, Missouri e Texas. Anche questo è un record negativo: l’ultima volta che a compiere esecuzioni furono solo 5 stati risale al 1983.
Come paragone Pew indica che nel 1999 le esecuzioni furono 98 in 20 diversi stati. Il calo nel numero complessivo di esecuzioni ha diverse spiegazioni. Ad esempio il calo del Texas, che è lo stato che da solo ha compiuto poco meno del 38% di tutte le esecuzioni Usa dal 1977 ad oggi. Quest’anno ha compiuto 7 esecuzioni, potrebbe compierne una ottava, ma anche così è un numero insolitamente basso per lo stato meridionale, il più basso da 20 anni. Nel 2013, ad esempio, le esecuzioni furono 16, 24 nel 2009, 26 nel 2007 e 40 nel 2000.
(Fonti: hdnews.net, 24/10/2016)
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VIRGINIA (USA): SHERMAN BROWN CHIEDE ALLA CORTE SUPREMA DI ESSERE RICONOSCIUTO INNOCENTE
19 ottobre 2016: Sherman Brown, 69 anni, nero, ha presentato una istanza alla Corte Suprema di Stato della Virginia perché venga riconosciuta la sua innocenza alla luce di nuovi test del Dna che lo scagionerebbero completamente.
Brown venne condannato a morte nel 1970 con l’accusa di aver ucciso, il 1° ottobre 1969, durante una rapina in appartamento, un bambino di 4 anni.
La madre del bambino, una donna bianca, raccontò di essere stata colpita con un pugno da un uomo di colore che aveva suonato alla sua porta, e di non ricordare più niente.
L’ipotesi di accusa era che la donna fosse stata violentata.
Nel 2015 il team legale dell’Innocence Project dell’Università della Virginia, riesaminando le prove, ha trovato il tampone vaginale fatto alla donna. Il dna non appartiene né a Brown, né (al 98%) al marito della donna, lasciando quindi credere che il dna possa essere quello dell’effettivo aggressore della donna e quindi della persona che avrebbe dovuto essere processato anche per l’omicidio del bambino.
All’epoca contro Brown furono usati i cosiddetti concetti di “compatibilità”, ossia il fatto che da alcuni reperti fisiologici trovati sulla scena del crimine si fosse risaliti ad un gruppo sanguigno, “compatibile” con quello di Brown.
Come è noto i gruppi sanguigni, anche considerando i sottogruppi, sono un numero limitato, e quindi ad ogni gruppo appartengono molti milioni di persone. Questo tipo di prova scientifica, che all’epoca sembrava molto avanzata, oggi, se non corroborata da altri elementi, non viene più considerata valida. Brown ebbe la condanna a morte commutata in ergastolo a seguito della nota sentenza Furman v. Georgia che nel 1972 dichiarò incostituzionale la pena di morte.
Brown è tuttora detenuto.
(Fonti: The Innocence Project, 19/10/2016)
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CINA: GIURISTI CONTRARI ALL’ESECUZIONE IMMEDIATA
21 ottobre 2016: diversi giuristi cinesi hanno espresso contrarietà all’esecuzione immediata di un imputato che era stato condannato a morte per aver ucciso un capo villaggio, dopo la demolizione della sua casa, avvenuta 20 giorni prima del suo matrimonio.
La Corte Suprema del Popolo aveva approvato la condanna a morte di Jia Jinglong, un abitante di Shijiazhuang, capoluogo della provincia settentrionale di Hebei, nel mese di agosto e la sentenza è stata consegnata all'avvocato di Jia, Wei Rujiu, il 18 ottobre.
Secondo una copia del verdetto della Corte Suprema inviata al Global Times il 20 ottobre, Jia avrebbe acquistato e modificato tre pistole sparachiodi dopo la demolizione della sua casa, durante la campagna di ricostruzione del paese nel 2013, e le avrebbe usate per uccidere He Jianhua, il capo del villaggio, nel febbraio 2015, al fine di vendicarsi.
Le modalità del delitto furono estremamente crudeli e causarono un grave impatto sociale, è scritto nella sentenza, aggiungendo che la condanna era appropriata e accurata.
Tuttavia, Wei ha detto al Global Times che la casa di Jia fu rimossa con l’inganno, il che è illegale, portando direttamente l'uomo "che aveva vissuto una vita tranquilla" a commettere l’omicidio.
L'ordine di esecuzione immediata ha suscitato nel Paese dibattiti in campo legale, con alcuni docenti secondo cui la pena è troppo dura.
"A parte i motivi personali, l'uccisione è stata anche un fallimento istituzionale. Qualsiasi persona normale potrebbe ricorrere agli stessi mezzi di Jia trovandosi di fronte ad un trattamento ingiusto", ha detto Zhang Qianfan, professore di diritto all'Università di Pechino.
La Cina controlla rigorosamente la pena di morte e la impiega con prudenza, secondo un libro bianco uscito a settembre, ha riportato la Xinhua.
Il libro bianco, intitolato Nuovi Progressi nella Tutela Giurisdizionale dei Diritti Umani in Cina, ha affermato che la posizione della Cina sulla pena di morte è quella di garantire che essa si applichi solo a un piccolo numero di autori di crimini di estrema gravità.
(Fonti: Global Times, 21/10/2016)
1. LA STORIA DELLA SETTIMANA : INVITO ALLA PROIEZIONE DEL DOCUFILM “SPES CONTRA SPEM” NEL CARCERE DI REBIBBIA
2. NEWS FLASH: KENIA: PRESIDENTE KENYATTA SVUOTA IL BRACCIO DELLA MORTE
3. NEWS FLASH: USA: NEL 2016 NUMERO PIÙ BASSO DI ESECUZIONI DEGLI ULTIMI 25 ANNI
4. NEWS FLASH: VIRGINIA (USA): SHERMAN BROWN CHIEDE ALLA CORTE SUPREMA DI ESSERE RICONOSCIUTO INNOCENTE
5. NEWS FLASH: CINA: GIURISTI CONTRARI ALL’ESECUZIONE IMMEDIATA
6. I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :
INVITO ALLA PROIEZIONE DEL DOCUFILM “SPES CONTRA SPEM” NEL CARCERE DI REBIBBIA
Il 4 novembre, alle ore 16, Nessuno tocchi Caino presenta il docu-film ‘Spes contra spem – Liberi dentro’ di Ambrogio Crespi nel Teatro del Carcere di Rebibbia, Via Raffaele Majetti 75.
Saranno presenti il Sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore, il Capo di Gabinetto del Ministero della Giustizia Giovanni Melillo, il Capo di Gabinetto del Ministero dei Beni Culturali Giampaolo D’Andrea e la Vice dello stesso Ministero Tiziana Coccoluto, il Capo del DAP Santi Consolo, il direttore del carcere Mauro Mariani, Rita Bernardini, Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti, rispettivamente Presidente d’Onore, Segretario e Tesoriere di Nessuno tocchi Caino, e il regista Ambrogio Crespi.
Il titolo del Docu-film è tratto dal motto “Spes contra spem” contenuto nel passaggio della Lettera di San Paolo ai Romani sull’incrollabile fede di Abramo che “ebbe fede sperando contro ogni speranza”.
È il frutto del dialogo e della riflessione comune di detenuti e operatori penitenziari della Casa di Reclusione di Opera.
Il docu-film si compone di immagini e interviste con detenuti condannati all’ergastolo, il direttore del carcere e agenti di polizia penitenziaria e il capo del DAP Santi Consolo.
Dal documento emerge con chiarezza non solo un cambiamento interiore dei detenuti – nel loro modo di pensare, di sentire e di agire – ma anche la rottura esplicita con logiche e comportamenti del passato e una maggiore fiducia nelle istituzioni.
Dalle testimonianze emerge anche che l’istituzione-carcere può rendere possibile il cambiamento e la ri-conversione di persone detenute in persone autenticamente libere.
Il Docu-film è prodotto da Nessuno tocchi Caino e Indexway.
Per l’ingresso al carcere è necessario comunicare entro il 31 ottobre all’email e.zamparutti@radicali.it i seguenti dati:
nome e cognome;
luogo e data di nascita;
luogo di residenza con recapito telefonico (anche solo cellulare);
tipo e numero del documento di identità.
Per i necessari controlli, si raccomanda di essere all’ingresso del carcere un’ora prima dell’inizio del film (quindi, alle ore 15);
In carcere non possono entrare telefoni cellulari, macchine fotografiche e altri dispositivi elettronici.
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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH
KENIA: PRESIDENTE KENYATTA SVUOTA IL BRACCIO DELLA MORTE
24 ottobre 2016: il presidente keniota Uhuru Kenyatta ha firmato i documenti per la commutazione in ergastolo di tutte le condanne a morte.
Sono 2.747 i prigionieri del braccio della morte a beneficiare del provvedimento, di cui 2.655 uomini e 92 donne.
Le ultime commutazioni di condanne a morte in ergastolo risalivano al 2009, decise dall’allora presidente Mwai Kibaki.
Usando il Potere di Grazia previsto dall’articolo 133 della Costituzione, Kenyatta ha inoltre deciso la liberazione di 102 condannati a lunghe pene detentive, dopo un esame accurato da parte del Comitato Consultivo sul Potere di Grazia.
All’atto della firma erano presenti l’Attorney General Githu Muigai, il Segretario agli Interni Joseph Nkaissery, il Segretario del Comitato Consultivo sul Potere di Grazia Michael Kagika, il Commissario Generale delle Carceri Isaiah Osugo, e il Capo di Stato Maggiore e Capo del Pubblico Servizio Joseph Kinyua.
(Fonti: nairobinews.nation.co.ke, 24/10/2016)
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USA: NEL 2016 NUMERO PIÙ BASSO DI ESECUZIONI DEGLI ULTIMI 25 ANNI
24 ottobre 2016: Quest’anno gli Usa compiranno il numero più basso delle esecuzioni degli ultimi 25 anni. Lo ha calcolato Pew Research Center, una società di studi demoscopici che ogni anno pubblica anche dati percentuali sul gradimento della pena di morte.
Fino ad ore ne sono state compiute 17, ne sono previste altre 3, ed anche se venissero compiute tutte, 20 esecuzioni sarebbe il numero più basso dal 1991, quando furono 14.
Dal 1992 in poi le esecuzioni sono state almeno 28 l’anno. Le 17 esecuzioni sono state compiute in soli 5 stati: Alabama, Florida, Georgia, Missouri e Texas. Anche questo è un record negativo: l’ultima volta che a compiere esecuzioni furono solo 5 stati risale al 1983.
Come paragone Pew indica che nel 1999 le esecuzioni furono 98 in 20 diversi stati. Il calo nel numero complessivo di esecuzioni ha diverse spiegazioni. Ad esempio il calo del Texas, che è lo stato che da solo ha compiuto poco meno del 38% di tutte le esecuzioni Usa dal 1977 ad oggi. Quest’anno ha compiuto 7 esecuzioni, potrebbe compierne una ottava, ma anche così è un numero insolitamente basso per lo stato meridionale, il più basso da 20 anni. Nel 2013, ad esempio, le esecuzioni furono 16, 24 nel 2009, 26 nel 2007 e 40 nel 2000.
(Fonti: hdnews.net, 24/10/2016)
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VIRGINIA (USA): SHERMAN BROWN CHIEDE ALLA CORTE SUPREMA DI ESSERE RICONOSCIUTO INNOCENTE
19 ottobre 2016: Sherman Brown, 69 anni, nero, ha presentato una istanza alla Corte Suprema di Stato della Virginia perché venga riconosciuta la sua innocenza alla luce di nuovi test del Dna che lo scagionerebbero completamente.
Brown venne condannato a morte nel 1970 con l’accusa di aver ucciso, il 1° ottobre 1969, durante una rapina in appartamento, un bambino di 4 anni.
La madre del bambino, una donna bianca, raccontò di essere stata colpita con un pugno da un uomo di colore che aveva suonato alla sua porta, e di non ricordare più niente.
L’ipotesi di accusa era che la donna fosse stata violentata.
Nel 2015 il team legale dell’Innocence Project dell’Università della Virginia, riesaminando le prove, ha trovato il tampone vaginale fatto alla donna. Il dna non appartiene né a Brown, né (al 98%) al marito della donna, lasciando quindi credere che il dna possa essere quello dell’effettivo aggressore della donna e quindi della persona che avrebbe dovuto essere processato anche per l’omicidio del bambino.
All’epoca contro Brown furono usati i cosiddetti concetti di “compatibilità”, ossia il fatto che da alcuni reperti fisiologici trovati sulla scena del crimine si fosse risaliti ad un gruppo sanguigno, “compatibile” con quello di Brown.
Come è noto i gruppi sanguigni, anche considerando i sottogruppi, sono un numero limitato, e quindi ad ogni gruppo appartengono molti milioni di persone. Questo tipo di prova scientifica, che all’epoca sembrava molto avanzata, oggi, se non corroborata da altri elementi, non viene più considerata valida. Brown ebbe la condanna a morte commutata in ergastolo a seguito della nota sentenza Furman v. Georgia che nel 1972 dichiarò incostituzionale la pena di morte.
Brown è tuttora detenuto.
(Fonti: The Innocence Project, 19/10/2016)
Per saperne di piu' :
CINA: GIURISTI CONTRARI ALL’ESECUZIONE IMMEDIATA
21 ottobre 2016: diversi giuristi cinesi hanno espresso contrarietà all’esecuzione immediata di un imputato che era stato condannato a morte per aver ucciso un capo villaggio, dopo la demolizione della sua casa, avvenuta 20 giorni prima del suo matrimonio.
La Corte Suprema del Popolo aveva approvato la condanna a morte di Jia Jinglong, un abitante di Shijiazhuang, capoluogo della provincia settentrionale di Hebei, nel mese di agosto e la sentenza è stata consegnata all'avvocato di Jia, Wei Rujiu, il 18 ottobre.
Secondo una copia del verdetto della Corte Suprema inviata al Global Times il 20 ottobre, Jia avrebbe acquistato e modificato tre pistole sparachiodi dopo la demolizione della sua casa, durante la campagna di ricostruzione del paese nel 2013, e le avrebbe usate per uccidere He Jianhua, il capo del villaggio, nel febbraio 2015, al fine di vendicarsi.
Le modalità del delitto furono estremamente crudeli e causarono un grave impatto sociale, è scritto nella sentenza, aggiungendo che la condanna era appropriata e accurata.
Tuttavia, Wei ha detto al Global Times che la casa di Jia fu rimossa con l’inganno, il che è illegale, portando direttamente l'uomo "che aveva vissuto una vita tranquilla" a commettere l’omicidio.
L'ordine di esecuzione immediata ha suscitato nel Paese dibattiti in campo legale, con alcuni docenti secondo cui la pena è troppo dura.
"A parte i motivi personali, l'uccisione è stata anche un fallimento istituzionale. Qualsiasi persona normale potrebbe ricorrere agli stessi mezzi di Jia trovandosi di fronte ad un trattamento ingiusto", ha detto Zhang Qianfan, professore di diritto all'Università di Pechino.
La Cina controlla rigorosamente la pena di morte e la impiega con prudenza, secondo un libro bianco uscito a settembre, ha riportato la Xinhua.
Il libro bianco, intitolato Nuovi Progressi nella Tutela Giurisdizionale dei Diritti Umani in Cina, ha affermato che la posizione della Cina sulla pena di morte è quella di garantire che essa si applichi solo a un piccolo numero di autori di crimini di estrema gravità.
(Fonti: Global Times, 21/10/2016)
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