domenica 30 ottobre 2016

fermare il massacro dell'acqua pubblica



Il Manifesto, Sabato 29 Ottobre 2016

*Il governo chiude l’acqua pubblica*
Nel disegno di legge sul servizio idrico, si assiste all’assoluta 
soppressione del modello dell’azienda speciale, l’unico modello di 
gestione dei servizi autenticamente pubblico, ancora vigente nel nostro 
ordinamento

di Alberto Lucarelli

La Camera dei deputati nell’aprile del 2016, in prima lettura, ha 
privatizzato il servizio idrico integrato. Tale voto si pone in assoluto 
contrasto con la legge di iniziativa popolare che voleva la gestione 
dell’acqua attraverso enti di diritto pubblico.

Proviamo adesso a fare una simulazione, immaginando già di stare in un 
modello costituzionale che attribuisce soltanto ad una camera il potere 
legislativo, con un Senato, composto da 95 personaggi in cerca di 
autore, impreziositi da 5 legionari del presidente della Repubblica.

Cosa succederebbe in ordine alla gestione dell’acqua? Non ci sarebbe più 
la possibilità di impedire che il referendum sull’acqua bene comune 
venga calpestato e con esso la volontà di 27 milioni di cittadini che 
nel giugno del 2011 votarono contro la svendita dei servizi pubblici 
essenziali.

Ecco, se malauguratamente dovesse vincere il Sì, quali sarebbero i primi 
ed immediati effetti nefasti della riforma costituzionale: annullare 
luoghi di rappresentanza, di discussione, di conflitto. Il bicameralismo 
perfetto, che in passato, proprio attraverso la tanto deprecata 
“navetta”, era riuscito a recuperare “sbandate” o “atti di forza” di una 
delle due camere, non potrà più svolgere quest’azione di ripensamento e 
di pressione contro indirizzi politici dominanti.

Riavvolgiamo il nastro e vediamo in che contesto si andrebbe ad inserire 
una non auspicabile riforma costituzionale. Come è noto, sono in corso 
di approvazione la legge per la gestione del servizio idrico integrato 
ed il decreto delegato Madia sui servizi pubblici locali di interesse 
economico generale.

In questo scenario, il 10 agosto u.s. è stato approvato dal Consiglio 
dei ministri il cd. decreto Madia 1, meglio conosciuto come Testo unico 
in materia di società a partecipazione pubblica, concepito con 
l’obiettivo dichiarato di privatizzare le società partecipate, anche 
quelle che erogano servizi essenziali (il c.d taglia partecipate).
Il fil rouge di tali normative è di calpestare gli esiti del referendum 
del 2011, di privatizzare e commercializzare i servizi pubblici locali; 
di sotterrare definitivamente il concetto di impresa pubblica, in 
evidente contrasto con la parte economica della nostra Costituzione.

Addirittura si indica il ricorso al mercato come criterio di preferenza 
per l’attribuzione di risorse pubbliche. Ad appena cinque anni dal 
referendum abrogativo, mentre alcune amministrazioni, quale Napoli, tra 
mille difficoltà, attuano la volontà referendaria (costituzione di Abc 
Napoli), Governo e Parlamento stanno costruendo un sistema normativo che 
ripropone in maniera ancora più virulenta il progetto Berlusconi-Ronchi 
del 2008.

Il progetto di riforma Madia 2 sui servizi di interesse economico 
generale esclude che i servizi a rete, quale è l’acqua, possano essere 
affidati a soggetti di diritto pubblico, come l’azienda speciale.

Siamo in presenza di un progetto normativo che si contrappone anche alla 
Corte costituzionale che nel 2012, evocando il rispetto della sovranità 
popolare e degli esiti referendari, aveva enunciato il vincolo 
referendario, stabilendo che il legislatore dovesse rispettare quanto 
espresso dai cittadini.

Nel disegno di legge sul servizio idrico, si assiste all’assoluta 
soppressione del modello dell’azienda speciale, l’unico modello di 
gestione dei servizi autenticamente pubblico, ancora vigente nel nostro 
ordinamento. Ovvero, si nega ai comuni, alle autorità d’ambito, anche in 
contrasto con il diritto europeo, la possibilità di poter scegliere un 
modello alternativo al mercato.

Il progetto è quello di privatizzare le grandi società pubbliche ex 
municipalizzate presenti nel nostro Paese (Iren, A2A, Acea, Hera) e 
porre il territorio italiano sotto il loro dominio e a loro volta della 
finanza, anche tossica , che le sostiene, da quando si ventilarono i 
falsi paradisi delle privatizzazioni.

Ma impedire che soggetti di diritto pubblico, quali le aziende speciali, 
possano gestire servizi pubblici essenziali, è un’operazione non 
conforme e non compatibile con la Costituzione. Rappresenta un 
tradimento della volontà popolare e dell’inequivoco risultato politico 
espresso, che aveva fortemente voluto, tra l’altro, l’abrogazione della 
clausola della remunerazione del capitale investito, proprio quella che 
spinge capitali e finanza a gestire l’acqua, a prescindere dalla qualità 
del servizio, della tutela delle risorse naturali, degli investimenti 
nelle infrastrutture.

Ma sono violati anche principi di diritto europeo, quali la 
sussidiarietà verticale e la libertà di definizione, impedendo ai comuni 
di scegliersi il modello di gestione più adeguato ed opportuno al 
proprio territorio ed alla propria realtà socio-economica, così come 
previsto, tra l’altro, dall’art. 106 del Trattato.
Un disegno politico talmente aggressivo da essere incoerente con il 
principio di neutralità del diritto dell’Unione europea rispetto al 
regime della proprietà ed ai modelli di gestione, che attribuisce ai 
comuni il potere fornire ed organizzare i propri servizi d’interesse 
economico generale e di attivare un “reale” regime pubblicistico in 
deroga alla regola della concorrenza.

Il ministro Madia ha detto che l’acqua non c’entra con il decreto e 
comunque il governo non intende privatizzarla. Bene, allora si 
suggerisce di procedere in tal senso:
1) presenti come emendamento del governo nel dibattito al Senato, 
relativo al disegno di legge sull’acqua, un emendamento all’art. 7 che 
preveda espressamente la modalità di gestione del servizio attraverso un 
ente di diritto pubblico;
2) stralci dallo schema di Decreto Madia 2 la gestione delle risorse 
idriche, come tra l’altro ha vivamente suggerito di fare la commissione 
affari costituzionali della Camera in sede consultiva.

Nel caso il quadro normativo rimanesse immutato, i comuni potrebbero 
scegliere l’acqua pubblica fondando la propria azione amministrativa 
direttamente sul diritto europeo il che non escluderebbe anche ricorsi 
dinanzi alla Corte costituzionale, che potrebbero attivare anche il 
comitato referendario per l’acqua bene comune del 2011, sollevando 
conflitto di attribuzioni contro gli atti posti in essere da parlamento 
e governo.

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