Solo il carbonio vivo salverà la terra
Ambiente. Per riparare il ciclo del carbonio che abbiamo spezzato dobbiamo smettere di estrarre carbonfossile, che va lasciato sotto terra, e rigenerare piante e suoli.
Disastri climatici, resilienza climatica. Fra l’estinzione e la fuga su altri pianeti abbiamo una terza via: sopravvivere prendendoci cura di Madre Terra.
Negli Stati indiani di Assam, Bihar e Uttar Pradesh le inondazioni hanno provocato 41 milioni di sfollati e ucciso circa 500 persone; a Houston e Mumbai hanno paralizzato ogni attività. È sempre più evidente che non stiamo vivendo all’interno dei limiti ecologici del nostro pianeta, e che per le nostre continue violazioni delle leggi della Terra, essere vivente, subiamo pesanti conseguenze.
Quest’anno si susseguono immagini di inondazioni estreme; l’anno scorso è stata la siccità a essere estrema ed estesa. Quando distruggiamo i sistemi climatici della Terra, che si autoregolano, arriviamo al caos, all’incertezza climatica, a cambiamenti imprevedibili ai quali pensiamo di sfuggire con la geo-ingegneria e l’ingegneria genetica.
I sistemi viventi evolvono, si adattano, si rigenerano. Non sono ingegnerizzati.
Il dominio del paradigma ingegneristico inizia con l’era dei combustibili fossili, l’era dell’industrialismo e del meccanicismo. E la dottrina secondo la quale ogni fenomeno naturale, compresi la vita e il pensiero, possono essere spiegati sulla base di processi meccanici e chimici.
Negli ultimi 200 anni una piccola parte dell’umanità ha inquinato il pianeta, a causa di un’economia alimentata da carbone, petrolio e gas, e di un sistema di conoscenza fondato su un paradigma meccanicistico, riduzionista e materialistico.
L’inquinamento dell’atmosfera ha sconvolto i sistemi e l’equilibrio climatico. La distruzione degli habitat e la diffusione delle monocolture hanno contribuito a quello che gli scienziati chiamano la Sesta estinzione, la sparizione della biodiversità a un ritmo che è mille volte quello naturale.
Mangiamo, beviamo, respiriamo petrolio.
L’estrazione di combustibili fossili (carbonio morto) dal suolo, la loro combustione e le emissioni incontrollabili in atmosfera portano alla rottura del ciclo del carbonio e in questo modo alla destabilizzazione dei sistemi climatici.
Come sottolineano Steve McKevitt e Tony Ryan (in Project Sunshine), tutto il carbone, il petrolio e il gas naturale che estraiamo e bruciamo si sono formati oltre 600 milioni di anni fa. Bruciamo ogni anno 20 milioni di anni di natura.
Il ciclo del carbonio è spezzato. Noi lo abbiamo spezzato.
La dipendenza dal carbonio fossile, morto, induce anche scarsità di carbonio vivo, con la conseguente diminuzione della disponibilità di cibo per gli umani e per gli organismi del suolo. Una scarsità che si traduce in malnutrizione e fame da una parte e desertificazione del suolo dall’altra. L’agricoltura chimica intensifica gli input di sintesi e il capitale, riducendo la biodiversità, la biomassa e il nutrimento che i semi, il suolo e il sole possono produrre.
Per fissare più carbonio vitale, abbiamo bisogno di intensificare biologicamente le nostre fattorie e le nostre foreste, in termini di biodiversità e biomassa. La biodiversità e la densità di biomassa producono più nutrimento e più cibo per ettaro (come abbiamo mostrato nel rapporto di Navdanya intitolato Health per Acre – Salute per ettaro), affrontando così il problema della fame e della malnutrizione. Ma aumentano anche (e non solo) il carbonio vitale nel suolo, e tutti gli altri nutrienti, insieme alla densità degli organismi benefici.
Più facciamo crescere la diversità e la biomassa, più le piante fissano il carbonio e l’azoto atmosferici, e riducono sia le emissioni che la quantità di sostanze inquinanti in atmosfera. Il carbonio viene restituito al suolo attraverso le piante. Ecco perché è davvero stretto il legame fra biodiversità e cambiamenti climatici.
Più si intensificano la biodiversità e la biomassa delle foreste e delle fattorie, più materia organica è in grado di ritornare al suolo, invertendo il trend verso la desertificazione che è la prima causa degli spostamenti di popolazione e dello sradicamento delle persone, con la creazione di ondate di rifugiati (si veda il manifesto di Navdanya Terra viva: Our Soils, Our Commons, Our Future).
Per riparare il ciclo del carbonio che abbiamo spezzato dobbiamo tornare ai semi, al suolo, al sole, aumentare il carbonio vivo nelle piante e nei suoli. Dobbiamo ricordare che il carbonio vivo dà vita, mentre il carbonio morto distrugge i processi della vita. Così, con le nostre cure e la nostra consapevolezza, possiamo accrescere il carbonio vivo sul pianeta e il benessere di tutti. Invece, più sfruttiamo e usiamo carbonio morto, più inquinamento produciamo e meno avremo per il futuro. Il carbonio morto deve essere lasciato sottoterra. È un obbligo etico e un imperativo ecologico.
Ecco perché il termine «decarbonizzazione» – senza distinzione fra il carbonio vivo e quello morto – è scientificamente ed ecologicamente inappropriato. Se decarbonizziamo l’economia, non avremo piante, che sono carbonio vivo, non avremo vita sulla Terra. Vita che crea carbonio vivo e ne è alimentata. Un pianeta decarbonizzato sarebbe un pianeta morto.
Dobbiamo ricarbonizzare il mondo con carbonio vivo. Dobbiamo decarbonizzare il mondo relativamente al carbonio morto.
Quando creiamo più carbonio vivo attraverso l’agroecologia e l’agricoltura organica, abbiamo più suoli fertili che producono più cibo e trattengono più acqua, aumentando dunque la resilienza di fronte a siccità e inondazioni. L’agricoltura biologica ad alta intensità di biodiversità produce più cibo e più nutrienti per ettaro. Garantendo servizi ecologici e il controllo degli agenti infestanti, permette di fare a meno degli input di sintesi, dei veleni, evitando anche i debiti contratti per acquistarli, la principale causa di suicidio fra gli agricoltori. I redditi agricoli possono aumentare di dieci volte se si abbandona la dipendenza da input chimici costosi e dalla coltivazione di derrate i cui prezzi continuano a scendere.
Far crescere cibo vero a zero costi è la strada verso il secondo degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sdg) dell’Onu: fame zero.
I combustibili fossili, la strada verso la conquista, ci hanno portati alla crisi che l’umanità è ora costretta ad affrontare.
Crediamo di essere al di fuori e al di sopra della Terra, crediamo di controllarla, di esserne i padroni. Lo crediamo. I combustibili fossili ci hanno consentito l’illusione di non dover vivere entro i limiti, le frontiere e i processi ecologici del nostro pianeta.
Ma ecco che i cambiamenti climatici, gli eventi estremi, i disastri ci ricordano con sempre maggiore frequenza che siamo parte della Terra. Ogni atto di violenza che distrugge i sistemi ecologici minaccia anche le nostre vite.
Ormai la minaccia alla stessa sopravvivenza umana è riconosciuta, ma continua a non essere messa in relazione con la violenza contro la Terra, e non giunge alla conclusione che dobbiamo trasformarci da specie predatrice e incurante a specie che si prende cura, che lavora in co-creazione e co-evoluzione con la Terra.
Stephen Hawking ha lanciato l’allarme: entro 100 anni, per sopravvivere dovremo lasciare la Terra e trovare altri pianeti. Non ci sarebbero che due opzioni: l’estinzione o la fuga.
Questo escapismo è al tempo stesso una dichiarazione di irresponsabilità (rispetto al prendersi cura della Terra) e di tracotanza tecnologica. È un’arroganza cieca rispetto al fatto che alcuni umani hanno spezzato i fragili processi ecologici che mantengono e riproducono la vita sulla Terra. È il rifiuto di riconoscere il dovere ecologico di chiedere scusa alla nostra Madre, smettere di danneggiarla, dedicare il nostro amore e la nostra intelligenza a lenirne le ferite, un seme alla volta, un giardino alla volta.
Se abbandoniamo l’arroganza tecnologica antropocentrica, di Padroni e Conquistatori, riconoscendo con umiltà che siamo membri della famiglia della Terra, possiamo, con i semi, il suolo, il sole, rigenerare il pianeta e il nostro futuro.
A differenza di Hawking, fra l’estinzione e la fuga vedo una terza possibilità: rimanere, curare, difendere la nostra casa.
Rimanere a casa, proteggere e rigenerare i sistemi viventi e i processi vitali della Terra, è un dovere etico ed ecologico.
Vandana Shiva
IL MANIFESTO 22.09.2017
Ambiente. Per riparare il ciclo del carbonio che abbiamo spezzato dobbiamo smettere di estrarre carbonfossile, che va lasciato sotto terra, e rigenerare piante e suoli.
Disastri climatici, resilienza climatica. Fra l’estinzione e la fuga su altri pianeti abbiamo una terza via: sopravvivere prendendoci cura di Madre Terra.
Negli Stati indiani di Assam, Bihar e Uttar Pradesh le inondazioni hanno provocato 41 milioni di sfollati e ucciso circa 500 persone; a Houston e Mumbai hanno paralizzato ogni attività. È sempre più evidente che non stiamo vivendo all’interno dei limiti ecologici del nostro pianeta, e che per le nostre continue violazioni delle leggi della Terra, essere vivente, subiamo pesanti conseguenze.
Quest’anno si susseguono immagini di inondazioni estreme; l’anno scorso è stata la siccità a essere estrema ed estesa. Quando distruggiamo i sistemi climatici della Terra, che si autoregolano, arriviamo al caos, all’incertezza climatica, a cambiamenti imprevedibili ai quali pensiamo di sfuggire con la geo-ingegneria e l’ingegneria genetica.
I sistemi viventi evolvono, si adattano, si rigenerano. Non sono ingegnerizzati.
Il dominio del paradigma ingegneristico inizia con l’era dei combustibili fossili, l’era dell’industrialismo e del meccanicismo. E la dottrina secondo la quale ogni fenomeno naturale, compresi la vita e il pensiero, possono essere spiegati sulla base di processi meccanici e chimici.
Negli ultimi 200 anni una piccola parte dell’umanità ha inquinato il pianeta, a causa di un’economia alimentata da carbone, petrolio e gas, e di un sistema di conoscenza fondato su un paradigma meccanicistico, riduzionista e materialistico.
L’inquinamento dell’atmosfera ha sconvolto i sistemi e l’equilibrio climatico. La distruzione degli habitat e la diffusione delle monocolture hanno contribuito a quello che gli scienziati chiamano la Sesta estinzione, la sparizione della biodiversità a un ritmo che è mille volte quello naturale.
Mangiamo, beviamo, respiriamo petrolio.
L’estrazione di combustibili fossili (carbonio morto) dal suolo, la loro combustione e le emissioni incontrollabili in atmosfera portano alla rottura del ciclo del carbonio e in questo modo alla destabilizzazione dei sistemi climatici.
Come sottolineano Steve McKevitt e Tony Ryan (in Project Sunshine), tutto il carbone, il petrolio e il gas naturale che estraiamo e bruciamo si sono formati oltre 600 milioni di anni fa. Bruciamo ogni anno 20 milioni di anni di natura.
Il ciclo del carbonio è spezzato. Noi lo abbiamo spezzato.
La dipendenza dal carbonio fossile, morto, induce anche scarsità di carbonio vivo, con la conseguente diminuzione della disponibilità di cibo per gli umani e per gli organismi del suolo. Una scarsità che si traduce in malnutrizione e fame da una parte e desertificazione del suolo dall’altra. L’agricoltura chimica intensifica gli input di sintesi e il capitale, riducendo la biodiversità, la biomassa e il nutrimento che i semi, il suolo e il sole possono produrre.
Per fissare più carbonio vitale, abbiamo bisogno di intensificare biologicamente le nostre fattorie e le nostre foreste, in termini di biodiversità e biomassa. La biodiversità e la densità di biomassa producono più nutrimento e più cibo per ettaro (come abbiamo mostrato nel rapporto di Navdanya intitolato Health per Acre – Salute per ettaro), affrontando così il problema della fame e della malnutrizione. Ma aumentano anche (e non solo) il carbonio vitale nel suolo, e tutti gli altri nutrienti, insieme alla densità degli organismi benefici.
Più facciamo crescere la diversità e la biomassa, più le piante fissano il carbonio e l’azoto atmosferici, e riducono sia le emissioni che la quantità di sostanze inquinanti in atmosfera. Il carbonio viene restituito al suolo attraverso le piante. Ecco perché è davvero stretto il legame fra biodiversità e cambiamenti climatici.
Più si intensificano la biodiversità e la biomassa delle foreste e delle fattorie, più materia organica è in grado di ritornare al suolo, invertendo il trend verso la desertificazione che è la prima causa degli spostamenti di popolazione e dello sradicamento delle persone, con la creazione di ondate di rifugiati (si veda il manifesto di Navdanya Terra viva: Our Soils, Our Commons, Our Future).
Per riparare il ciclo del carbonio che abbiamo spezzato dobbiamo tornare ai semi, al suolo, al sole, aumentare il carbonio vivo nelle piante e nei suoli. Dobbiamo ricordare che il carbonio vivo dà vita, mentre il carbonio morto distrugge i processi della vita. Così, con le nostre cure e la nostra consapevolezza, possiamo accrescere il carbonio vivo sul pianeta e il benessere di tutti. Invece, più sfruttiamo e usiamo carbonio morto, più inquinamento produciamo e meno avremo per il futuro. Il carbonio morto deve essere lasciato sottoterra. È un obbligo etico e un imperativo ecologico.
Ecco perché il termine «decarbonizzazione» – senza distinzione fra il carbonio vivo e quello morto – è scientificamente ed ecologicamente inappropriato. Se decarbonizziamo l’economia, non avremo piante, che sono carbonio vivo, non avremo vita sulla Terra. Vita che crea carbonio vivo e ne è alimentata. Un pianeta decarbonizzato sarebbe un pianeta morto.
Dobbiamo ricarbonizzare il mondo con carbonio vivo. Dobbiamo decarbonizzare il mondo relativamente al carbonio morto.
Quando creiamo più carbonio vivo attraverso l’agroecologia e l’agricoltura organica, abbiamo più suoli fertili che producono più cibo e trattengono più acqua, aumentando dunque la resilienza di fronte a siccità e inondazioni. L’agricoltura biologica ad alta intensità di biodiversità produce più cibo e più nutrienti per ettaro. Garantendo servizi ecologici e il controllo degli agenti infestanti, permette di fare a meno degli input di sintesi, dei veleni, evitando anche i debiti contratti per acquistarli, la principale causa di suicidio fra gli agricoltori. I redditi agricoli possono aumentare di dieci volte se si abbandona la dipendenza da input chimici costosi e dalla coltivazione di derrate i cui prezzi continuano a scendere.
Far crescere cibo vero a zero costi è la strada verso il secondo degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sdg) dell’Onu: fame zero.
I combustibili fossili, la strada verso la conquista, ci hanno portati alla crisi che l’umanità è ora costretta ad affrontare.
Crediamo di essere al di fuori e al di sopra della Terra, crediamo di controllarla, di esserne i padroni. Lo crediamo. I combustibili fossili ci hanno consentito l’illusione di non dover vivere entro i limiti, le frontiere e i processi ecologici del nostro pianeta.
Ma ecco che i cambiamenti climatici, gli eventi estremi, i disastri ci ricordano con sempre maggiore frequenza che siamo parte della Terra. Ogni atto di violenza che distrugge i sistemi ecologici minaccia anche le nostre vite.
Ormai la minaccia alla stessa sopravvivenza umana è riconosciuta, ma continua a non essere messa in relazione con la violenza contro la Terra, e non giunge alla conclusione che dobbiamo trasformarci da specie predatrice e incurante a specie che si prende cura, che lavora in co-creazione e co-evoluzione con la Terra.
Stephen Hawking ha lanciato l’allarme: entro 100 anni, per sopravvivere dovremo lasciare la Terra e trovare altri pianeti. Non ci sarebbero che due opzioni: l’estinzione o la fuga.
Questo escapismo è al tempo stesso una dichiarazione di irresponsabilità (rispetto al prendersi cura della Terra) e di tracotanza tecnologica. È un’arroganza cieca rispetto al fatto che alcuni umani hanno spezzato i fragili processi ecologici che mantengono e riproducono la vita sulla Terra. È il rifiuto di riconoscere il dovere ecologico di chiedere scusa alla nostra Madre, smettere di danneggiarla, dedicare il nostro amore e la nostra intelligenza a lenirne le ferite, un seme alla volta, un giardino alla volta.
Se abbandoniamo l’arroganza tecnologica antropocentrica, di Padroni e Conquistatori, riconoscendo con umiltà che siamo membri della famiglia della Terra, possiamo, con i semi, il suolo, il sole, rigenerare il pianeta e il nostro futuro.
A differenza di Hawking, fra l’estinzione e la fuga vedo una terza possibilità: rimanere, curare, difendere la nostra casa.
Rimanere a casa, proteggere e rigenerare i sistemi viventi e i processi vitali della Terra, è un dovere etico ed ecologico.
Vandana Shiva
IL MANIFESTO 22.09.2017
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