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Sovraffollamento, spazi angusti, una sanità carente e disomogenea, criticità nel settore lavoro e formazione, ma anche diminuzione dei reati così come dei detenuti stranieri, nonostante l’isteria mediatica pre e post elettorale. Di questa e altre questioni si parla nel XIV rapporto sulle condizioni di detenzione curato da Antigone, associazione che si occupa di tutelare i diritti delle persone che si trovano in carcere. Un grande lavoro di elaborazione di dati, ma anche empirico (2 mila le visite in carcere effettuate negli ultimi vent’anni), con oltre 70 osservatori che negli ultimi mesi hanno visitato 86 carceri: 36 nel nord, dalla Valle d’Aosta alla Romagna, 20 in centro Italia e 30 tra il sud e le isole. Un punto della situazione, in attesa della legge che dopo oltre quarant’anni dovrebbe riformare l’ordinamento penitenziario, ma che giace ancora nei banchi del Parlamento. Definita “timida” ma pur sempre un passo avanti, la legge contiene secondo Antigone alcune innovazioni significative, tra cui: “L’equiparazione ai fini del trattamento medico e giuridico della malattia psichica a quella fisica, il miglioramento e la modernizzazione di alcuni aspetti della vita interna, il richiamo alle Regole Penitenziarie Europee, l’allargamento delle misure alternative, di gran lunga meno costose del carcere e più capaci di ridurre la recidiva e garantire la sicurezza della società”.
DIMINUISCONO I DETENUTI STRANIERI. Il ritorno del sovraffollamento è una delle criticità segnalate da quest’ultima edizione del rapporto: tra il 31 dicembre 2015 e oggi, infatti, i detenuti sono cresciuti di 6.059 unità e oggi il tasso di sovraffollamento, che tiene conto della capienza ufficiale, è pari al 115,2%.Certo non siamo ai livelli del passato: sono trascorsi sei anni dalla storica sentenza Torreggiani, con cui la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per i trattamenti inumani o degradanti subiti dai detenuti in carcere. Allora erano oltre 65 mila i detenuti nelle carceri italiane, calate a poco più di 52 mila unità dopo la sentenza (anche e soprattutto per timore delle sanzioni). Passata l’emergenza, però, il dato ha ripreso a salire, arrivando a superare le 58 mila presenze al 31 marzo 2018, con una crescita di 6 mila unità in poco più di due anni. “Si tratta di una crescita difforme – spiega il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella – ma che in ogni caso non riguarda, come certa rappresentazione politica e mediatica vorrebbe farci credere, i detenuti stranieri”.
E’ quello che Gonnella chiama “il grande bluff populista”: i numeri, infatti, rimarcano l’assenza di correlazione tra la grande crescita degli stranieri residenti in Italia – triplicati dal 2003 – e i detenuti stranieri, che al contrario negli ultimi dieci anni sarebbero diminuiti di 2 mila unità. “Che se lo mettano in testa tutti quelli che lanciano la caccia allo straniero criminale” continua Gonnella. Porta l’esempio della comunità rumena dove negli ultimi cinque anni i detenuti rumeni sono diminuiti di un terzo, grazie anche a un rafforzamento del patto d’inclusione. “Si volevano addirittura creare leggi ad hoc, come se essere romeni fosse di per sé una circostanza aggravante” commenta. Da segnalare anche l’esiguo numero delle persone detenute provenienti da Siria e Afghanistan, ovvero coloro che vengono in Italia perché scappano dalla guerra: “Significa che dove c’è un messaggio di attenzione alla persona, anche solo tramite la presa in esame della domanda di asilo, il patto di fiducia è in qualche modo ricambiato”.
ALLARME SUICIDI. Altra peculiarità, che di nuovo controbilancia l’enfasi populista, è l’andamento divergente tra il già citato aumento del numero dei detenuti e il numero dei reati denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria, che nel 2016 risulta essere il più basso degli ultimi 10 anni. Prendiamo ad esempio gli omicidi: tra il 2016 e il 2017 sono passati da 389 a 343, con una diminuzione dell’11,8 per cento. “Di questi 46 attribuibili alla criminalità e ben 128 consumati in ambito familiare/affettivo” si legge. Per quanto riguarda la custodia cautelare, il dato è in leggero calo rispetto all’anno scorso: la percentuale dei detenuti in attesa di una sentenza definitiva è del 34%. Di questi, i detenuti stranieri costituiscono il 37,7%, segno del permanere di alcune discriminazioni: disponendo di minori risorse economiche, linguistiche e sociali, hanno infatti minori possibilità di beneficiare di misure alternative. Senza contare che i mediatori culturali sono solo 223, ossia pari all’1,13%, ogni cento detenuti stranieri. Così come interpreti e traduttori sarebbero anch’essi in numero non sufficiente.
Un dato positivo riguarda invece la messa alla prova, una delle riforme sperimentate per evitare il sovraffollamento: Antigone registra un aumento delle persone che ne usufruiscono, arrivate attualmente a 12.278. “Ci vorrebbe ora un grande investimento in risorse umane e sociali per far sì che i progetti vadano a buon fine” si legge nel report. Mentre continua a preoccupare il dato sui suicidi. Secondo le statistiche di Ristretti Orizzonti, nel 2017 sono morte in carcere 123 persone: di queste, 52 sono stati i suicidi, (48 secondo i dati dell’Amministrazione Penitenziaria), 7 in più rispetto al 2016. Sempre nel 2017, 1.135 sono stati i tentativi di suicidio e 9.510 atti di autolesionismo. “Abbiamo potuto verificare che nel carcere di Bollate, un istituto caratterizzato da un regime a ‘celle aperte’, i gli eventi critici sono marginali” commenta Antigone. E’ la cosiddetta sorveglianza dinamica, che insieme all’istruzione, alle attività scolastiche, culturali e di intrattenimento, può aiutare a rendere più tollerabile la vita delle persone ristrette, a volte anche in condizioni di sovraffollamento (con contestuale riduzione della recidiva). Certo, stato e gestione cambiano pesantemente da struttura a struttura, così come i servizi erogati, sanità compresa. Senza contare i più basilari diritti: in 10 istituti tra quelli visitati gli osservatori hanno trovato celle in cui i detenuti non avevano a disposizione la soglia minima di 3mq calpestabili, in 50 le celle erano prive di doccia, in quattro vi erano celle in cui il wc non era in un ambiente separato.
LAVORO E ISTRUZIONE. Per quanto riguarda l’istruzione, il report segnala che solo 1 detenuto su 5 va scuola in carcere. Il tasso di occupazione in carcere è del 30% (tra i liberi è il doppio, il 58%). Appena l’1,7% dei detenuti lavora dentro gli istituti per datori di lavoro diversi dall’amministrazione penitenziaria. Gli altri (l’82%) sono impegnati nei servizi di istituto: pulizia delle sezioni, distribuzione del vitto, alcune mansioni di segreteria, scrittura di reclami e documenti per altri detenuti. “Si tratta di lavori svolti a turnazione e senza alcuna spendibilità nel mondo del lavoro esterno.Più che lavori dunque, occupazioni del tempo scarsamente retribuite”. Antigone, però, tiene anche a segnalare tre buone pratiche di sistema: il dialogo crescente tra le università e il carcere, con circa 300 detenuti iscritti; il teatro, attività molto presente e in genere ben vista dall’amministrazione penitenziaria, definita “un’esperienza di liberazione ed emancipazione, ma anche culturale”; l’informazione: dalla rassegna stampa di Ristretti Orizzonti, attraverso cui il mondo esterno conosce quello che accade nelle carceri, al programma radio Jailhouse Rock, fino alle varie riviste prodotte all’interno dei penitenziari.
Articolo di Anna Toro
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