https://www.huffingtonpost.it/accademia-dei-lincei/il-messaggio-del-rapporto-unesco-sull-educazione-la-vera-integrazione-e-a-scuola_a_23605273/?utm_hp_ref=it-homepage
venerdì 30 novembre 2018
non vogliamo l'ergastolo da ecumenici.it
Gli ergastolani non hanno nessun domani, hanno solo un passato che non passa e corrono con la morte per la morte.
Non c’è giorno in cui un ergastolano non pensi alla morte o non si domandi chi arriverà prima, la libertà o la morte. C’è la speranza: però a me la speranza non consola, piuttosto sento che mi inganna il cuore.
(dal libro di Carmelo Musumeci “La Belva della cella 154”)
La vita dell’ergastolano è una schiavitù di tutti i giorni della settimana, di tutte le settimane dell’anno e di tutti gli anni della sua vita. La pena di morte, la vendetta, la tortura fanno parte della cultura di ogni società, sia antica che moderna, invece l’usanza di punire tenendo chiusa una persona in una cella per anni e anni è un fatto relativamente nuovo. Non più il terribile ma passeggero spettacolo della morte di uno scellerato, ma il lungo e ostentato esempio di un uomo privo di libertà. La condanna all’ergastolo è peggiore della morte perché più dura, più lunga da scontare. La pena viene rateizzata nel tempo e non condensata in un momento, come la morte: è proprio questa la sua forza ammonitrice ed esemplare.
Il carcere è un’invenzione laica, ma è stata presa come esempio dalla religione cristiana, perché il carcere assomiglia molto all’inferno dei cristiani: il luogo in cui i dannati e gli angeli ribelli espiano la loro pena. Gli ergastolani sono chiusi per un’intera vita in un piccolo spazio, dove quel niente che capita oggi capiterà anche domani e dopodomani ancora. Per questo non c’è giorno in cui un condannato alla pena perpetua non pensi alla morte, perché solo la morte, nella maggioranza dei casi, può liberare gli ergastolani dalle catene. Gli ergastolani, per la maggioranza della società, sono come dei pesci, perché come scriveva Italo Svevo: “Al pesce manca un mezzo di comunicazione con noi e non può destare la nostra compassione. Il pesce boccheggia anche quando è sano e sobrio nell’acqua. Persino la morte non ne altera l’aspetto. Il suo dolore, se esiste, è celato perfettamente sotto le sue squame.”
È difficile combattere l’ergastolo, perché questa terribile condanna non dà sconti, non dà scampo. Scontare l’ergastolo è come giocare a scacchi con la morte: non puoi vincere perché è una pena senza tempo. E l’anima del condannato all’ergastolo non vede l’ora di bruciare all’inferno pur di finire la sua pena sulla terra. Perché quando manca la speranza, anche se hai l’energia per pensare e per amare, ti manca la forza di vivere.
Penso che l’ergastolano possa perdere la speranza di uscire, ma non dovrebbe mai perdere la forza di lottare per far sapere alla società che una sofferenza inutile non fa bene a nessuno, neppure alle vittime dei nostri reati.
Per questo l’Associazione Liberarsi dà il via alla nuova campagna contro il carcere a vita, con il quarto giorno di digiuno nazionale fissato per lunedì 10 dicembre 2018, anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani, sostenuta anche da Associazione “Fuori dall’ombra”, Associazione “Yairaiha Onlus”, “Ristretti Orizzonti” e “Comunità Papa Giovanni XXIII” fondata da Don Oreste Benzi.
Ho inserito questo mio articolo (e la vignetta di Vauro, creata appositamente per questo evento) nel nuovo sito www.lavocedegliergastolani.it
mercoledì 28 novembre 2018
gli americani sparano su chi chiede asilo da ecumenici.it
uest'articolo è disponibile anche in: Inglese
(Foto di Democracy Now!)
A Tijuana, in Messico, gli agenti delle pattuglie di frontiera statunitensi hanno sparato gas lacrimogeni domenica su una folla di disperati richiedenti asilo centroamericani mentre cercavano di attraversare il confine pesantemente militarizzato con gli Stati Uniti. Tra coloro che sono stati attaccati c’erano madri e bambini piccoli. I poliziotti federali messicani in tenuta antisommossa si sono fatti avanti e hanno arrestato decine di migranti; secondo il governo messicano saranno deportati in America Centrale. Il gruppo si era staccato da una protesta pacifica di migliaia di migranti che chiedevano di entrare negli Stati Uniti, dove speravano di ottenere l’asilo. I migranti, provenienti da Honduras, Guatemala ed El Salvador, stanno fuggendo dalla violenza diffusa, dalla povertà e dalla disoccupazione di massa.
“Il mio messaggio al presidente degli Stati Uniti è quello di non spaventare la gente, perché sta dimostrando al Messico che ha il potere militare” ha dichiarato Saúl Hernández, 37 anni, richiedente asilo honduregno. “Sta anche spaventando il popolo messicano. Per favore, rimuovete le vostre truppe”.
In risposta, l’amministrazione Trump ha temporaneamente chiuso il valico di frontiera di San Ysidro, uno dei più affollati del mondo, con più di 90.000 persone che lo attraversano ogni giorno. Nel frattempo, l’amministrazione del Presidente eletto messicano Andrés Manuel López Obrador ha negato di aver fatto qualsiasi accordo con l’amministrazione Trump per costringere i richiedenti asilo a rimanere in Messico mentre le loro richieste di asilo degli Stati Uniti vengono esaminate. Il diniego contraddice i tweet del presidente Trump e un rapporto del Washington Post di sabato.
Lunedì, Trump ha twittato: “Il Messico dovrebbe rimandare i migranti, molti dei quali sono criminali incalliti, nei loro paesi. Fatelo in aereo, fatelo in autobus, fatelo come volete, ma non entreranno negli Stati Uniti. Se necessario chiuderemo il confine in modo permanente. Congresso, finanzia il MURO”.
Il Messico ha chiesto agli Stati Uniti di indagare sull’uso dei lacrimogeni sui bambini. Parlando dal Mississippi lunedì, Trump ha difeso per la seconda volta l’utilizzo dei lacrimogeni e ha dato la colpa ai genitori dei bambini migranti, suggerendo che alcune persone che viaggiano insieme a loro non sono i tutori, ma dei “grabbers” (arraffoni), che li usano per ottenere asilo.
martedì 27 novembre 2018
Milano può cambiare
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lunedì 26 novembre 2018
penso positivo
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domenica 25 novembre 2018
da scienziato preoccupato termovalorizzatore no grazie
Posted: 23 Nov 2018 11:53 PM PST
Tra i temi al centro del dibattito negli ultimi giorni c’è quello dello smaltimento dei rifiuti. La discussione è incentrata sull’utilizzo degli inceneritori. Qualche anno fa l’Accademia della Crusca spiegava già perché non si può accettare il termine “termovalorizzatore”.
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non una di meno da ecumenici.it
(Foto di Mariapaola Boselli)
Ancora una volta la manifestazione nazionale di Non Una Di Meno, indetta a Roma in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne celebrata ogni anno il 25 novembre, è stata marea.
Donne da ogni parte di Italia hanno raggiunto la capitale per unirsi, tutte insieme, nel lungo fiume in piena che ha riempito le strade centrali della città da Piazza della Repubblica fino a Piazza San Giovanni.
Sicuramente la manifestazione di quest’anno è molto sentita: negli ultimi mesi si sono susseguiti senza sosta una serie di eventi, di dichiarazioni e di prese di posizione istituzionali che minano profondamente la libertà e la sicurezza di tutte le donne sul territorio italiano.
Uno dei temi più richiamati in questa giornata è indubbiamente il diritto all’aborto. Non è mai stato semplice in Italia ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, dati riportano che circa il 70% dei medici è infatti obiettore di coscienza e in alcune regioni, come il Molise, i dati del 2016 presentavano un’obiezione di coscienza esercitata da più del 93% dei medici[1]. La situazione è però precipitata negli ultimi mesi, da quando un gruppo di parlamentari, tra cui l’ormai tristemente noto Pillon, ha deciso di demolire e svuotare le leggi sull’aborto, sulle unioni civili, sul divorzio fino all’affidamento dei figli in caso di separazione della coppia. Molto sentito anche il tema del razzismo e del distorto concetto di sicurezza che ci viene imposto, basato sulla paura, la diffidenza e l’egoismo. Non esiste femminismo senza antirazzismo e antifascismo perché una società che sia luogo sicuro per tutti non può prescindere da questi principi etici.
A questo contesto istituzionale, deciso a soffocare diritti acquisiti e a fondare uno stato in cui la donna è vulnerabile oggetto della volontà dello Stato e dell’uomo, si aggiunga l’esplosione di violenza di coppia o a sfondo sessuale delle ultime settimane. Secondo i dati Eures in Italia viene uccisa una donna ogni 72 ore, si è inoltre alzata l’età media delle vittime. Nel 72% dei casi la vittima viene uccisa da un parente o da una persona che conosceva. Di queste donne, madri, figlie, sorelle, non si parla quasi mai. Solo i casi più eclatanti per l’efferatezza arrivano agli onori della cronaca. Solo nei casi utili a fini propagandistici si chiede a gran voce giustizia per la vittima. Anche di questo noi donne siamo stanche. Siamo stanche che i nostri corpi, siano essi vivi o morti, siano utilizzati come mezzo spiccio per aizzare le masse, per guadagnare voti e far bella figura. Abbiamo bisogno di diritti assicurati, di una legislazione che sia per la parità di genere e non contro di essa, abbiamo bisogno di un’educazione diversa fin dalle scuole e di un sistema efficiente che ci garantisca piene pari opportunità, abbiamo bisogno di spazi in cui costruire una società diversa.
Oggi, 24 novembre 2018, più di 150.000 persone, donne e uomini di tutte le età, hanno attraversato le vie di Roma per far sapere che le donne non chinano la testa in silenzio, non più.
Qui un breve video della manifestazione nazionale di Non Una di Meno e una galleria fotografica
[1] (Dati Ministero della Salute, aprile 2016)
venerdì 23 novembre 2018
dichiarazione dei diritti di contadine e contadini da ecumenici.it
(Foto di Flickr)
Sono passati più di 17 anni da quando La Via Campesina, il più grande movimento internazionale di produttori agricoli che coordina centinaia di organizzazioni di contadini, piccoli e medi produttori, lavoratori delle zone rurali, comunità indigene, lavoratori agricoli migranti, donne, giovani e contadini senza terra iniziò la sua battaglia per il riconoscimento e l’applicazione dei diritti dei contadini e dei lavoratori delle zone rurali a livello mondiale.
I primi passi vennero mossi quado la Coordination Paysanne Européenne (Coordinamento contadino europeo – CPE) tra il 1986 e il 2008 decise di riunire diverse organizzazioni di agricoltori provenienti da vari paesi del continente europeo con l’obiettivo di intervenire nelle dinamiche decisionali riguardanti le politiche agricole attuate in Europa e, in particolare, la Politica agricola comune dell’Unione europea (PAC). Nel 1993 il CPE, insieme ad altre organizzazioni contadine, decise di fondare La Via Campesina per poi diventare, nel 2008, il Coordinamento Europeo de La Via Campesina (ECVC).
Ciò che aprì le porte alla possibilità di rivendicare una dichiarazione internazionale per i diritti dei contadini fu la V Conferenza Internazionale de LVC, tenutasi a Maputo, nel 2008. Era poi il 2009 quando La Via Campesina pubblicò la Dichiarazione dei diritti dei contadini e delle contadine in cui vi è una lista di 13 articoli in cui si elencano i diritti fondamentali dei “campesinos”, come il diritto alla vita e a uno standard di vita dignitoso, il diritto alla terra e ai propri territori, il diritto sulle sementi e sulle proprie conoscenze tradizionali. Nel 2012, il governo della Bolivia, sotto la presidenza di Evo Morales, uno dei fondatori della CLOC (Coordinadora Latinoamericana de Organizaciones del Campo), membro de LVC e dell’IPC, presentò la Dichiarazione dei Diritti dei contadini e le altre persone che lavorano nelle zone rurali al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, ponendo così le basi al processo che nel 2015, dopo anni di discussioni formali in seno all’UNHCR, riuscì a consolidare il processo che avrebbe portato oggi all’approvazione della Dichiarazione dei diritti dei contadini all’Assemblea Generale dell’ONU.
Il processo è stato lungo e faticoso, molti gli ostacoli posti dai paesi più industrializzati che da sempre hanno mosso diverse critiche alla Dichiarazione, ad esempio riguardo ai soggetti beneficiari della stessa: secondo alcuni infatti la dichiarazione andrebbe a sovrastare diritti di altri gruppi (le aziende? le imprese?), inoltre la nozione di contadino e/o lavoratore delle zone rurali richiama diverse categorie, non solo i contadini nel significato più letterale del termine, ricomprendendo così anche indigeni, comunità locali e/o operai. In realtà ciò non crea confusione giuridica ne pone limitazioni ad altri gruppi della società, la Dichiarazione solo crea un campo di applicazione più vasto in cui è possibile richiamare più beneficiari accomunati da un criterio identificativo comune, ossia la produzione agricola di piccola scala che sia frutto di lavoro proprio o familiare anche se non esclusivo, sia che sia a scopo di sussistenza che a scopo commerciale. I diritti giustamente pretesi dai contadini e dai lavoratori rurali sono classificabili come diritti umani, ne è un esempio il diritto alla terra, alla propria identità culturale e all’autodeterminazione.
Nonostante già da tempo vi è la consapevolezza che la maggior parte della popolazione mondiale è formata da contadini e contadine il tenore di vita dei piccoli produttori agricoli è andato via via peggiorando, vittima di una insostenibile economia globale e della tecnologia sempre più invadente che, invece che supportare l’essere umano consentendogli di migliorare le proprie condizioni di vita, ne mette a repentaglio la salute stessa.
È un dato di fatto che i contadini, le aziende familiari e i piccoli produttori producono il 70% del cibo consumato annualmente e tale cifra raggiunge l’80% nei paesi in via di sviluppo. Non tutelare l’agricoltura contadina o considerarla come una mera attività economica è un grande errore che ad oggi ha già causato danni difficilmente rimediabili: parliamo del disboscamento continuo di foreste per far spazio alle monocolture o degli enormi quantitativi di prodotti chimici velenosi anche per l’essere umano che, essendo utilizzati in agricoltura ed allevamento, si disperdono poi nell’ambiente in un circolo vizioso che è giunto fino agli oceani, acidificandone le acque e uccidendo flora e fauna marina fondamentali per la vita dell’uomo.
Ogni essere umano ha la necessità di nutrirsi in modo quantitativamente, qualitativamente e culturalmente adatto, questo è il diritto al cibo. Per questo è fondamentale quanto urgente capire che l’agricoltura contadina non è un’attività economica ma è la chiave per assicurare la sovranità alimentare al mondo intero; se chi lavora la terra e i suoi frutti non può vantare pieno benessere tale situazione si rivolterà contro il genere umano e, in realtà, ciò sta già accadendo. Allo stato attuale i contadini e i piccoli produttori soffrono, a seconda dei contesti in cui vivono e lavorano, ingiustizie che li vedono vittime di sottrazioni dei terreni, limitazioni all’utilizzo delle proprie sementi e delle proprie conoscenze tradizionali, mercati distorti che sviliscono il valore della terra e di chi la lavora, continua esposizione ad agenti chimici velenosi per l’essere umano e l’ambiente. È solo una breve lista delle continue violazioni perpetrate nei confronti di contadini, lavoratori delle zone rurali e popolazioni indigene al solo fine capitalista del grande mercato globale. Negli ultimi anni sono poi sorte nuove minacce dalle tecnologie genetiche più avanzate, proposte come soluzione alla crisi alimentare mondiale nonostante i continui allarmi lanciati da associazioni, scienziati, ricercatori ed esperti di vari settori che hanno messo in guardia il potenziale dannoso del gene editing e del gene drive sulla salute umana, sull’agricoltura e non solo. In questi giorni, inoltre, alla COP 14 della Convenzione sulla Biodiversità (CBD) si sta parlando anche di DSI, Digital Sequence Information, ossia la possibilità di catalogare e archiviare le informazioni contenute nelle risorse genetiche e renderle disponibili tramite un database opensource. Ciò darebbe la possibilità di creare varietà poi brevettabili, inibendo di fatto il diritto di contadini e popolazioni indigene di utilizzare liberamente le proprie sementi e causando, inoltre, ulteriore perdita della biodiversità dato che verrebbero imposte sul mercato le varietà brevettate.
Sono necessarie tutele per i contadini di tutto il mondo e serve che venga riconosciuto a livello formale il ruolo fondamentale che svolgono per lo sviluppo economico, per la produzione degli alimenti, per la conservazione della biodiversità, del suolo, della cultura e della vita di tutti. Il ruolo dei contadini non può e non deve essere circoscritto a quello dei semplici produttori di merce senza nessuna voce nei processi decisionali e alla mercé delle politiche economiche nazionali e internazionali dei governi.
Articolo di Mariapaola Boselli per Centro Internazionale Crocevia
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