“La risposta, da me curata, alla sua domanda è stata pubblicata nell’ultimo numero della “Crusca per voi” (n° 36, aprile 2008). Gliela riporto di seguito e la informo che, se interessato, può richiedere l’abbonamento all’indirizzo abbonamenti@crusca.fi.it
“Il termine termovalorizzatore è relativamente recente e, anche se le datazioni riportate dai vocabolari non sono perfettamente in linea tra loro, possiamo collocarne la diffusione tra il 1999 e il 2000; la coniazione potrebbe precedere di poco. La parola è registrata nei Neologismi quotidiani di Giovanni Adamo e Valeria Della Valle con attestazione dal quotidiano «La Stampa» del 2001 (la stessa datazione è riportata nel Devoto Oli 2007), mentre il GRADIT, Grande Dizionario Italiano dell’Uso di De Mauro (nel volume di aggiornamenti del 2003) anticipa la datazione al 1999 sempre con un riferimento allo stesso quotidiano; una significativa anticipazione al 1988 è invece registrata nel Sabatini Coletti 2008 in cui però non è riportata la fonte. Poiché si tratta di un termine relativo a una materia regolamentata da direttive europee, alle quali poi si rifanno le normative dei singoli Stati, si potrebbe pensare a un suo primo utilizzo proprio nei testi legislativi, ma in realtà n! elle direttive europee sull’incenerimento dei rifiuti uscite tra il 1999 e il 2000 (la DE 1999/31/CE e la DE 2000/76/CE) si parla ancora soltanto di inceneritori. Date queste premesse, è probabile che, come spesso accade per le nuove parole, anche termovalorizzatore sia stata creata in ambito industriale e diffusa per via mediatica: in realtà si tratta, dal punto di vista morfologico, di una parola ben formata con un prefissoide (termo- ‘calore’) altamente produttivo (come ad esempio in termoconvettore, termoregolatore, termosifone) e dal nome d’agente valorizzatore, a sua volta formato sulla base del verbo valorizzare con il suffisso -tore (quindi ‘colui o ciò che valorizza’). Questa neoformazione solleva maggiori problemi a livello semantico: è nata infatti per indicare nuovi impianti di smaltimento dei rifiuti che si fondano su criteri e utilizzano tecnologie in parte diverse rispetto a quelle dei tradizionali inceneritori, ma che non eliminano il processo della combustione dei rifiuti, con tutte le conseguenze che questo comporta sul piano dell’impatto ambientale. Le definizioni riportate dai vocabolari risultano infatti abbastanza opache se le confrontiamo con le discussioni e, in alcuni casi, le aspre polemiche che la realizzazione e la collocazione di questi impianti ha sollevato nell’opinione pubblica. Le definizioni, tutte pressoché analoghe, sono del tipo ‘moderno tipo di inceneritore in grado di trasformare determinati rifiuti in fonti energetiche alternative’ (GRADIT, 2003) oppure ‘impianto per l’eliminazione e il riciclaggio dei rifiuti solidi urbani mediante combustione e successivo sfruttamento dell’energia termica prodotta’ (Neologismi quotidiani). Si tratta in realtà di impianti di incenerimento in cui i rifiuti vengono smaltiti mediante un processo di combustione ad alta temperatura che produce ceneri, polveri e gas come quelli preesistenti, con la differenza che il calore prodotto viene recuperato e utilizzato per produrre vapore e quindi energia elettrica. Stando così le cose, una denominazione più esaustiva e meno ambigua dovrebbe essere quella di inceneritore con termovalorizzazione (ha circolato inceneritore con recupero energetico, che non ha avuto molta fortuna), ma è certamente scattata, a questo punto, la ricerca di brevità, propria del linguaggio tecnologico, e ne è derivata la semplificazione, che ha anche spostato il maggior carico semantico nel nome di agente dato alla parte dell’impianto che crea valore con la combustione dei rifiuti. Che poi questo spostamento semantico venga anche appoggiato dall’intenzione, da parte di produttori degli impianti e di amministratori, di allontanare nell’opinione pubblica l’idea della pericolosità ambientale e sottolineare il richiamo al valore dell’energia prodotta, è questione che va oltre le competenze del linguista”. “
Cordiali saluti, R.S. Redazione Consulenza Linguistica Accademia della Crusca
|
Nessun commento:
Posta un commento