https://www.huffingtonpost.it/edoardo-ronchi/le-dimissioni-di-nicolas-hulot-il-nodo-del-progetto-europeo-di-sviluppo-sostenibile_a_23513398/?utm_hp_ref=it-homepage
venerdì 31 agosto 2018
giovedì 30 agosto 2018
chiesa e omosessualità
di paola biondi (Ordine Psicologi Lazio), ripreso da Ilfattoquotidiano.it
Le recenti parole del Papa, interrogato sull’omosessualità e, più nello specifico, sull’atteggiamento che un genitore dovrebbe tenere nei confronti di figli o figlie omosessuali intenzionati a iniziare una vita insieme al proprio o alla propria partner, ha occupato pagine di giornali e alimentato una vivace discussione. A tutela della verità scientifica e del rispetto dovuto verso qualsiasi orientamento sessuale, è forse opportuno riflettere su alcuni passaggi tratti dalla versione integrale della sua risposta.
1) “Sempre ci sono stati gli omosessuali e le persone con tendenze omosessuali”.L’omosessualità NON è una tendenza: non è come la tendenza ad ingrassare, a scegliere sempre partner sbagliati, ad esagerare con le battutacce, ad avere poca propensione allo studio. L’omosessualità è – al pari di eterosessualità, bisessualità e secondo molti asessualità – una variante normale e naturale dell’orientamento sessuale. E affettivo. Un modus essendi,”la struttura relazionale del sé che implica una particolare qualità del desiderio per l’altro sessuato” e una “delle componenti esperienziali dell’identità sessuale” (Cass, 1996; Rigliano, Ciliberto, Ferrari, 2012).
2) “Poi in quale età s’esprime questa inquietudine del figlio?”. Sorvolando sulla rilevanza del dato anagrafico, il ricorso al termine “inquietudine” rimanda all’idea di ansia, senso di apprensione, animo turbato, incertezza, timore, preoccupazione. Eppure la risposta fa riferimento alla vicenda di un figlio gay che comunica al padre di voler andare a convivere con il suo compagno. Una scelta matura e consapevole che nulla ha a che vedere con l’inquietudine. O forse intendeva riferirsi all’inquietudine di madre e padre al coming out del figlio?
3) “Una cosa è quando si manifesta da bambino. C’è tanto da fare con la psichiatria, per vedere come sono le cose. Una cosa è quando si manifesta dopo i 20 anni o cose del genere”. Questa è la frase che ha suscitato più proteste, per via dell’impiego di una parola, “psichiatria”, poi rimossa dal discorso ufficiale pubblicato sul sito del Vaticano. L’ignoranza di un non professionista della salute mentale, pur ammissibile, non giustifica tuttavia il riferimento esplicito ad un intervento psichiatrico in una simile circostanza. Appellarsi alla psichiatria se un bambino prova attrazione verso i propri simili rimanda all’intento di “curare, riparare, risolvere, raddrizzare”, in ogni caso qualcosa che non va per il verso giusto.
Forse Francesco intendeva affermare che la psichiatria può aiutare madri e padri ad affrontare una eventuale omosessualità del figlio o figlia. Non la psichiatria, ma la psicologia può fare moltissimo. Può aprire all’inclusione, al rispetto reale delle differenze individuali, alla possibilità di accogliere serenamente ogni aspetto di un figlio o figlia come unico. Può permettere a genitori impauriti e disperati di smontare i loro pregiudizi, le loro idee fantasiose, superare i loro timori e dubbi, la vergogna e i sensi di colpa, conoscere che cos’è l’identità sessuale e le sue componenti, capire la difficoltà e gli ostacoli (per non parlare di discriminazioni) che vivono i loro figli e figlie omosessuali. E transessuali. Per sostenerli in ogni momento della loro vita, per accogliere e non accettare come predicava il defunto professor Lino Manfredi.
4) “Ignorare un figlio o una figlia con tendenza omosessuale è mancanza di paternità o maternità”. Spesso gay e lesbiche non sono ignorati dalla propria famiglia. Ne diventano zimbello, oggetto di derisione o aggressioni, di attacchi gratuiti e in alcuni casi violenza vera e propria, sia fisica che psicologica. Nel caso di bambini o adolescenti ancora troppi sono i casi in cui madri e padri obbligano a terapie riparative per “convertire” il loro orientamento sessuale, arrecando ancora più danni e ferite.
5) “Se voi, padre o madre, non ve la cavate chiedete aiuto”. Questo è un buon consiglio. Sarebbe stato ottimo se, contestualmente, si fosse chiarito esplicitamente e una volta per tutte che la Chiesa accoglie ogni persona con la sua unicità sessuale. E che accanto al sostegno pastorale all’interno di questa comunità, l’aiuto migliore può essere ricercato in uno specialista: uno psicologo o una psicologa privi di pregiudizi e stereotipi, di bias religiosi o culturali, aderenti al proprio codice deontologico e dunque tenuti all’obbligo di operare all’interno della comunità professionale internazionale, con profonda conoscenza della letteratura scientifica su tali tematiche.
30 agosto 2018
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per un percorso unitario
__,_._,___
Per un percorso unitario contro il razzismo e la cultura della violenza,
per la costruzione di politiche di pace, diritti umani, nonviolenza,
giustizia sociale e accoglienza.
Le numerose crisi che affliggono le nostre società hanno intaccato le fondamenta della democrazia, riportando alla luce un atteggiamento violento e aggressivo nei confronti di uomini e donne che vivono in condizioni di miseria e in pericolo di vita, accusandoli di essere la causa dei nostri problemi. La serie di episodi di violenza nei confronti di immigrati, con una evidente connotazione razzista e spesso neofascista, impone una seria e immediata azione di contrasto che parta da una doverosa riflessione: il tessuto sociale impoverito divenuto, giorno dopo giorno, campo fertile per fomentatori di odio e di esclusione sociale.
Si stanno frantumando i legami di solidarietà e, progressivamente, spostando l’attenzione dalle vere cause e dalle responsabilità dei governi nazionali e delle istituzioni internazionali.
La crisi è di sistema, è universale e la risposta non è più contenibile dentro i propri confini o ristretta a soluzioni parziali. Le interdipendenze tra crisi ambientale, modello di sviluppo, migrazioni forzate, guerre, illegalità, corruzione, corsa al riarmo, razzismo, rigurgiti fascisti e crisi delle democrazie, sono oramai ampiamente documentate.
È necessaria un’azione che coinvolga l’intera Europa, oggi incapace di rispondere al fenomeno delle migrazioni in modo corale, senza permettere agli egoismi dei singoli di prevalere. La solidarietà è premessa indispensabile per la lotta alle disuguaglianze e per la difesa dei diritti.
La società civile, il mondo della cultura, dell’associazionismo, dell'informazione, l’insieme delle istituzioni democratiche sono chiamate a impegnarsi nel contrasto a questa deriva costruendo una nuova strategia di mobilitazione, partendo da una piattaforma unitaria capace di fare sintesi tra le tante sensibilità e diversità che esprime la nostra società e di riaffermare il principio sancito 70 anni fa nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.”
Nel percorso che ci vede coinvolti unitariamente, dopo le mobilitazioni che ci hanno visti impegnati a Catania e Milano, gli episodi di mobilitazione locale che si stanno moltiplicando in queste settimane e le prossime iniziative, compresa una manifestazione unitaria nazionale quando le condizioni lo permetteranno, riteniamo un importante momento di impegno comune la partecipazione alla Marcia PerugiAssisi della pace e della fraternità che si svolgerà domenica 7 ottobre 2018.
In quanto promotori di questa iniziativa siamo impegnati:
- in un coordinamento tra i soggetti che condividono le preoccupazioni e le finalità fin qui presentate;
- a promuovere la più ampia partecipazione alla Marcia PerugiAssisi del 7 ottobre;
- a organizzare il 15 settembre un’assemblea di coordinamento nell’ambito del Meeting Internazionale Antirazzista di Cecina;
- a creare un osservatorio online contro il razzismo.
- condividere e diffondere un Manifesto antirazzista che rappresenti le preoccupazioni e le proposte dell’insieme dei soggetti che aderiranno a questo percorso e che servirà da punto di partenza per le prossime campagne e mobilitazioni.
Rete della Pace, Tavola della Pace
lettera aperta su Genova
Gent.mo
Presidente della Regione Liguria
Gent.mo
Sindaco di Genova
Gli
accadimenti del 14 agosto hanno provocato una ferita difficile da
rimarginare con conseguenze ancora inimmaginabili da prevedere.
Apprezziamo
la volontà di traguardare al futuro perché, come voi, riteniamo che
da una tragedia come questa ci si possa rialzare ancora più forti
di prima.
Per
questo ci permettiamo di esporVi alcune considerazioni: in parte
relative allo stato emergenziale, in parte da rendere
istituzionalizzate.
La
prima è quella che necessita di maggior coraggio ma che è destinata
a diventare una pietra miliare di uno sviluppo moderno di una città
europea: rendere gratuiti, nel periodo emergenziale, tutti i mezzi
pubblici (bus + treni) all’interno dell’area metropolitana.
Qualsiasi
tentativo di risolvere la mobilità privata con accorgimenti
viabilistici avrà durata fino all’inizio delle scuole. L’unica
soluzione è rendere appetibile il servizio pubblico facendo scoprire
, a chi fino ad oggi lo ha sottoutilizzato, come una mobilità
moderna sia incentrata sulla condivisione dei mezzi di trasporto e
che tutto questo renda una città più bella, più attraente.
E’
un investimento sul futuro, un atto educativo che sicuramente potrà
attrarre i nostri concittadini e che potrà rendere più sicura la
nostra viabilità a favore dei mezzi che la devono percorrere per
necessità o emergenze.
Contestualmente
questa forma educativa va estesa in presenza di attività attrattive
a livello veicolare; non è più sopportabile il concetto “un
bambino, una auto”.
Bisogna
incentivare un car – pooling interno alle scuole, alle attività
commerciali con numero importante di dipendenti, supportato
eventualmente da navette di collegamento con le stazioni.
Bisogna
inoltre impedire uno spostamento stradale delle merci tra i porti del
Centro Città e Voltri.
Si
organizzino convogli ferroviari notturni oppure, se la logistica non
lo consente, si creino (come in parecchi bacini del Nord Europa)
traghetti porta container di collegamento tra gli scali.
Sulle
infrastrutture da realizzare segnaliamo il ritardo, imbarazzante, a
proposito del Nodo Ferroviario di Genova.
Tale
opera fondamentale per la mobilità di Genova doveva essere ultimata
entro il 2017 ma, ad oggi, non si conosce un cronoprogramma
attendibile ad esclusione delle farneticanti dichiarazioni da parte
del responsabile del Tronco di Genova delle Ferrovie.
Questo
stato dell’arte implica non solamente un disagio trasportistico ma
inficia qualsiasi studio serio legati ai piani di mobilità che ha
bisogno di dati certi.
Auspichiamo
anche una revisione del Nodo di San Benigno che, nell’iter
progettuale, ha subito una semplificazione che non riesce a risolvere
un problema a conoscenza di tutti i genovesi e non solo.
Fino
a quando, a Genova Ovest, non si creerà una divisione dei traffici
destinati al porto rispetto al traffico cittadino e non si risolverà
il problema degli accessi ai varchi portuali temiamo che i
miglioramenti potranno essere veramente limitati sia per la logistica
portuale che per la viabilità ordinaria.
Sarebbero
tanti i punti da discutere ed approfondire ma l’intento è quello
di cercare, in una situazione così tragica, di riuscire a dare un
contributo per la nostra città, per renderla migliore.
mercoledì 29 agosto 2018
per cambiare l'Italia
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martedì 28 agosto 2018
lunedì 27 agosto 2018
Federalismo o barbarie
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Argentina tra libertà e democrazia da ecumenici.it
(Foto di Roblespepe)
Noi, organismi dei diritti umani, vogliamo esprimere la nostra profonda preoccupazione per l’attuale situazione del Paese nella quale rileviamo l’applicazione di politiche economiche che pregiudicano la grande maggioranza e che il governo può applicare soltanto con persecuzioni e repressione.
È innegabile che da poco più di due anni stiamo vivendo tempi pericolosi per l’esercizio dei diritti, per i reclami e la protesta e per esprimere pubblicamente critiche verso il governo ed i poteri. È ancora più difficile difendersi dalle ingiustizie portate avanti da membri del Potere Giudiziario.
Denunciamo che l’Argentina si trova in uno stato di eccezione permanente che permette il mancato rispetto e la violazione dei diritti fondamentali di grandi settori della popolazione.
Denunciamo che, alla luce degli scandalosi ed illegali processi giudiziari portati avanti contro importanti dirigenti dell’opposizione politica, è proprio lo stato di diritto che viene a mancare nel nostro Paese.
Denunciamo che la complicità dei grandi mezzi d’informazione non riesce a nascondere la crisi economica, né l’indebitamento, né i licenziamenti, né lo smantellamento delle politiche pubbliche di inclusione.
Inoltre vogliamo esprimere esplicitamente il nostro appoggio alla ex Presidente della Nazione, Cristina Fernández de Kirchner, che è sottoposta a una persecuzione giudiziaria, che non rispetta neanche la sua intimità, e non permette la presenza dei suoi avvocati difensori per garantire la correttezza delle procedure ordinate dai giudici.
La realtà ci indigna e ci angoscia, però allo stesso tempo ci richiede di essere all’altezza della sfida e di resistere. Continueremo a denunciare, accompagnando ogni richiesta e protesta, costruendo legami che ci permettano, il prima possibile, di sconfiggere l’ingiustizia ed alleviare il dolore del nostro popolo.
Associazione Nonne di Plaza de Mayo- Madri di Plaza de Mayo Linea Fondatrice – Familiari di Desaparecidos e Detenuti per Raggioni Politiche – Assemblea Permanente per i Diritti Umani – Lega Argentina per i Diritti dell’Uomo – H.I.J.O.S.(Figli e Figlie per l’Identità e la Giustizia contro l’Oblio e il Silenzio) Capitale -Asociazione Buona Memoria – Fondazione Memoria Storica e Sociale Argentina -APDH (Assemblea Permanente per i Diritti Umani) La Matanza – Commissione Memoria Verità e Giustizia Zona Norte -Movimento Ecumenico per i Diritti Umani – Familiari e Compagni dei 12 de la Santa Croce.
Traduzione a cura della Comunità Argentina in Italia
sabato 25 agosto 2018
venerdì 24 agosto 2018
ecco chi è sulla Diciotti
Molti dei profughi sequestrati sulla nave Diciotti provengono dall’Eritrea. Sono obiettori di coscienza, renitenti alla leva o disertori che fuggono da un paese dove il servizio militare è obbligatorio a tempo indeterminato, per uomini e donne e inizia nei due anni finali della scuola superiore, che si trova in un campo militare.
L’Unione Europea riconosce il diritto all’obiezione di coscienza e la Costituzione italiana riconosce il diritto d’asilo per casi come questi. Quindi quei giovani hanno fatto bene a fuggire ed hanno tutto il diritto ad essere accolti e tutelati.
Il Movimento Nonviolento ogni anno pubblica l’elenco dei “prigionieri per la pace”, obiettori di coscienza detenuti nelle carceri militari di tutti i paesi del mondo: per l’Eritrea c’è sempre un lungo elenco, senza un “fine pena” certo.
Forse il governo italiano giallo-nero queste cose non le sa. Il Presidente del Consiglio e i ministri tutti le ignorano (tecnicamente sono ignoranti). I giornaloni non le scrivono.
Ma basterebbe leggere la nostra rivista Azione nonviolenta, che nel numero di novembre-dicembre 2017 ha pubblicato l’elenco dei detenuti obiettori di coscienza dell’Eritrea, che qui riportiamo (sono prevalentemente Testimoni di Geova, quella indicata è la data di inizio pena, mentre non è definita la data di fine pena):
Paulos Eyassu (24.09.1994—) Negede Teklemariam (24.09.1994—) Isaac Mogos (24.09.1994—) Aron Abraha (09.05.01—) Mussie Fessehaye (01.06.03—) Ambakom Tsegezab (01.02.04 —) Bemnet Fessehaye (01.02.05—) Henok Ghebru (01.02.05—) Kibreab Fessejaye (27.05.05 —) Bereket Abraha Oqbagabir (01.01.06—) Amanuel Abraham (01.01.07—) Yosief Fessehaye (01.01.07—) Yoel Tsegezab (26.08.08 – ).
Sono detenuti nel Sawa Camp, a Sawa (alcuni da 24 anni!).
Il Ministro degli Interni ha dichiarato che “sulla Diciotti ci sono tutti immigrati illegali”. Mente, non può saperlo. Sono 150 persone, maschi e femmine. Ogni singola posizione va valutata attentamente. Se qualcuno di loro, proveniente dall’Eritrea, si dichiara “obiettore di coscienza al servizio miliare”, fuggito per evitare il carcere a tempo indeterminato, rientra in ciò che è previsto dal terzo comma dell’articolo 10 della Costituzione italiana: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica”.
Il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare è uno dei fondamenti dell’Unione Europea. Un obiettore di coscienza perseguitato nel proprio paese che si presenta al porto di Catania, in Europa, ha il diritto ad essere accolto e vedersi riconosciuto il diritto d’asilo.
Ad essere illegali non sono i 150 profughi della Diciotti, ma il Ministro che siede al Viminale.
giovedì 23 agosto 2018
grandi opere:un parere discutibile
Grandi opere
23/08/2018 - Il Manifesto
Sono troppe mentre la logistica è un buco nero
Invece di discutere utilità e rischi delle Grandi opere, il crollo del ponte Morandi-uno dei tanti gigantismi che hafatto del 900il secolo dell'automobile-sembra averlo chiuso: per lo meno nel mondo politico e sui media: occorre farle tutte e subito, Il Tav, il terzo Valico, il Tap, le autostrade, il ponte sullo stretto, prima di un altro ripensamento.«La competizione internazionale lo esige», «Il progresso non si può fermare», «Non ci si può opporre alla modernità», «Vogliamo tornare al medioevo?». Difficilmente troverete sulla bocca dei politici o nei commenti della stampa qualche argomentazione meno vacua di queste. Ma siamo sicuri che la modernità, qualsiasi cosa si intenda con quel termine, sia proprio questo? Che il progresso debba portarci necessariamente verso la moltiplicazione dei disastri (e verso quello che li ricomprende tutti: un cambiamento climatico irreversibile)? E che l' unica regola che deve governare il mondo, e le nostre vite, sia la competizione e non la cooperazione? UN RECENTE SAGGIO, CHIARO e sintetico, di Sergio Bologna, uno dei pochi esperti capace di un approccio intermodale ai temi del trasporto - https://offi cinadeisaperi.it/materiali/ grandi -opere -un -lenzuolo -per -coprire -le -magagne -italiche/ - mette una pietra tombale su tutte le Grandi opere. L' Italia non ha bisogno di nuove grandi infrastrutture di trasporto; ne ha già persino troppe. Quello che manca è la capacità di utilizzarle a fondo; mancano le competenze logistiche e gli operatori per accorpare e smistare i carichi utilizzando al meglio i mezzi e le infrastrutture a disposizione. Oltre, ovviamente, agli interventi per rendere operative le interconnessioni modali. Promuovere quelle competenze è un compito che dovrebbe tenere impegnati per anni Associazioni di categoria, Camere di commercio, Enti locali, Ministeri (non solo quello delle Infrastrutture), Università e Istituti di ricerca. E potrebbe creare decine, se non centinaia, di migliaia di posti di lavoro qualificati al posto delle poche migliaia di addetti impiegati nella costruzione delle tante Grandi opere inutili e dannose. SONO LE COMPETENZE NECESSA rie anche per promuovere il passaggio del trasporto merci dalla strada alla ferrovia (o al L' Italia non ha bisogno di grandi infrastrutture di trasporto, ne ha persino troppe. Manca la capacità di connetterle formando le competenze, per nuovi lavori e occupazione le autostrade del mare). Un passaggio di cui Sergio Bologna riconosce le potenzialità, ma su cui rimane scettico, soprattutto perché un sistema produttivo frammentato come quello italiano ha mille motivi per preferire il trasporto su strada; motivi che non sono solo quelli indicati in quel saggio. Il trasporto su strada da impresa a impresa è più flessibile di quello su ferrovia o di cabotaggio perché non richiede la composizione e la scomposizione di carichi molto complessi (ma richiede comunque la rottura dei carichi quando le merci arrivano in città, dove i tir non possono entrare, e dove occorre comunque ricorrere a sistemi di city -logistic finale più o meno organizzati). Ma è più flessibile anche perché si regge su una organizzazione del lavoro che sfrutta a fondo i trasportatori. DIFFICILMENTE UNA PICCOLA im presa si rivolge direttamente a un camionista per spedire il suo carico. C' è quasi sempre l' intermediazione di uno spedizioniere, che sono per lo più grandi imprese multinazionali, che a loro volta subappaltano il servizio a uno spedizioniere più piccolo, e questi a un altro, fino a raggiungere i "padroncini" proprietari di uno odi qualche camion e autisti loro stessi: operatori che spesso non rispettano gli standard sulla sicurezza del veicolo, né quelli sulle ore e le modalità di guida, né quelli tariffari (per di più, con un ingresso crescente di operatori e di autisti dell' est europeo, ancora meno controllabili, che lavorano però per spedizionieri italiani o dell' europa occidentale). Insomma, l' intermediazione dei carichi c' è già, ma la fanno i grandi spedizionieri che trovano più conveniente sfruttare a fondo il sistema attuale piuttosto che promuoverne il rinnovamento. L' ALTERNATIVA, IN LINEA TEORI ca, è semplice: bisognerebbe che sia gli utenti, cioè i produttori, che gli operatori del trasporto merci, cioè la moltitudine disperata dei trasportatori, si consorziassero, mettendo in piedi strutture in grado di organizzare i carichi complessi necessari all' utilizzo di un convoglio ferroviario. Non sarebbe, per i camionisti, un "tagliarsi l' erba sotto i piedi"; perché il trasporto ferroviario e il cabotaggio possono coprire solo alcuni, e solo una parte, dei tragitti che le merci devono compiere: molti itinerari e "l' ultimo miglio" (che per lo più di miglia ne include parecchie) dovrebbero comunque essere coperti con camion e furgoni. Invertire rotta richiederebbe un impegno politico e cultu rale che manca completamente a chi ha in mano le redini del paese: non solo le istituzioni pubbliche ma anche, e soprattutto, quelle imprenditoriali. Si tratta in ogni caso di una prospettiva più realistica e praticabile dell' alternativa ventilata da Sergio Bologna: quella della riduzione dell' intensità di trasporto. Un obiettivo pienamente condivisibile, che costituisce un pilastro della conversione ecologica del sistema produttivo, ma che richiede ben più che il potenziamento delle competenze impegnate nella supply -chain, perché coincide con uno degli obiettivi centrali dell' approccio territorialista, anche se i suoi cultori si sono finora impegnati poco nell' affrontare la dimensione industriale del loro programma. PER RIDURRE L' INTENSITÀ di tra sporto occorre rilocalizzare - e, quindi, spesso anche ridimensionare - una grande quantità di attività produttive oggi disperse ai quattro angoli del pianeta; ma anche promuovere, tra imprese e territori contigui, rapporti il più possibile diretti, hati su accordi di programma che facciano da argine alle oscillazioni e alle turbolenze dei mercati. E per questo ci vuole un sistema di gestionjje delle imprese che veda coinvolti i rappresentanti degli enti locali, delle associazioni territoriali, delle università e dei centri di ricerca, oltre che,.nj ovviamente, delle maestranze: cioè l' organizzazione della produzione come bene comune. insomma, un "socialismo" del ventunesimo secolo, ecologista e federalista; anche se il termine socialismo è sviante, perché è storicamente e culturalmente legato all' esatto opposto - produttivismo, gigantismo e centralismo di ciò che oggi andrebbe perseguito. Il trasporto su gomma avrà sempre l' ultimo miglio della logistica e va rivista tutta la filiera delle spedizioni gestite dagli intermediari delle multinazionali.
GUIDO VIALE
23/08/2018 - Il Manifesto
Sono troppe mentre la logistica è un buco nero
Invece di discutere utilità e rischi delle Grandi opere, il crollo del ponte Morandi-uno dei tanti gigantismi che hafatto del 900il secolo dell'automobile-sembra averlo chiuso: per lo meno nel mondo politico e sui media: occorre farle tutte e subito, Il Tav, il terzo Valico, il Tap, le autostrade, il ponte sullo stretto, prima di un altro ripensamento.«La competizione internazionale lo esige», «Il progresso non si può fermare», «Non ci si può opporre alla modernità», «Vogliamo tornare al medioevo?». Difficilmente troverete sulla bocca dei politici o nei commenti della stampa qualche argomentazione meno vacua di queste. Ma siamo sicuri che la modernità, qualsiasi cosa si intenda con quel termine, sia proprio questo? Che il progresso debba portarci necessariamente verso la moltiplicazione dei disastri (e verso quello che li ricomprende tutti: un cambiamento climatico irreversibile)? E che l' unica regola che deve governare il mondo, e le nostre vite, sia la competizione e non la cooperazione? UN RECENTE SAGGIO, CHIARO e sintetico, di Sergio Bologna, uno dei pochi esperti capace di un approccio intermodale ai temi del trasporto - https://offi cinadeisaperi.it/materiali/ grandi -opere -un -lenzuolo -per -coprire -le -magagne -italiche/ - mette una pietra tombale su tutte le Grandi opere. L' Italia non ha bisogno di nuove grandi infrastrutture di trasporto; ne ha già persino troppe. Quello che manca è la capacità di utilizzarle a fondo; mancano le competenze logistiche e gli operatori per accorpare e smistare i carichi utilizzando al meglio i mezzi e le infrastrutture a disposizione. Oltre, ovviamente, agli interventi per rendere operative le interconnessioni modali. Promuovere quelle competenze è un compito che dovrebbe tenere impegnati per anni Associazioni di categoria, Camere di commercio, Enti locali, Ministeri (non solo quello delle Infrastrutture), Università e Istituti di ricerca. E potrebbe creare decine, se non centinaia, di migliaia di posti di lavoro qualificati al posto delle poche migliaia di addetti impiegati nella costruzione delle tante Grandi opere inutili e dannose. SONO LE COMPETENZE NECESSA rie anche per promuovere il passaggio del trasporto merci dalla strada alla ferrovia (o al L' Italia non ha bisogno di grandi infrastrutture di trasporto, ne ha persino troppe. Manca la capacità di connetterle formando le competenze, per nuovi lavori e occupazione le autostrade del mare). Un passaggio di cui Sergio Bologna riconosce le potenzialità, ma su cui rimane scettico, soprattutto perché un sistema produttivo frammentato come quello italiano ha mille motivi per preferire il trasporto su strada; motivi che non sono solo quelli indicati in quel saggio. Il trasporto su strada da impresa a impresa è più flessibile di quello su ferrovia o di cabotaggio perché non richiede la composizione e la scomposizione di carichi molto complessi (ma richiede comunque la rottura dei carichi quando le merci arrivano in città, dove i tir non possono entrare, e dove occorre comunque ricorrere a sistemi di city -logistic finale più o meno organizzati). Ma è più flessibile anche perché si regge su una organizzazione del lavoro che sfrutta a fondo i trasportatori. DIFFICILMENTE UNA PICCOLA im presa si rivolge direttamente a un camionista per spedire il suo carico. C' è quasi sempre l' intermediazione di uno spedizioniere, che sono per lo più grandi imprese multinazionali, che a loro volta subappaltano il servizio a uno spedizioniere più piccolo, e questi a un altro, fino a raggiungere i "padroncini" proprietari di uno odi qualche camion e autisti loro stessi: operatori che spesso non rispettano gli standard sulla sicurezza del veicolo, né quelli sulle ore e le modalità di guida, né quelli tariffari (per di più, con un ingresso crescente di operatori e di autisti dell' est europeo, ancora meno controllabili, che lavorano però per spedizionieri italiani o dell' europa occidentale). Insomma, l' intermediazione dei carichi c' è già, ma la fanno i grandi spedizionieri che trovano più conveniente sfruttare a fondo il sistema attuale piuttosto che promuoverne il rinnovamento. L' ALTERNATIVA, IN LINEA TEORI ca, è semplice: bisognerebbe che sia gli utenti, cioè i produttori, che gli operatori del trasporto merci, cioè la moltitudine disperata dei trasportatori, si consorziassero, mettendo in piedi strutture in grado di organizzare i carichi complessi necessari all' utilizzo di un convoglio ferroviario. Non sarebbe, per i camionisti, un "tagliarsi l' erba sotto i piedi"; perché il trasporto ferroviario e il cabotaggio possono coprire solo alcuni, e solo una parte, dei tragitti che le merci devono compiere: molti itinerari e "l' ultimo miglio" (che per lo più di miglia ne include parecchie) dovrebbero comunque essere coperti con camion e furgoni. Invertire rotta richiederebbe un impegno politico e cultu rale che manca completamente a chi ha in mano le redini del paese: non solo le istituzioni pubbliche ma anche, e soprattutto, quelle imprenditoriali. Si tratta in ogni caso di una prospettiva più realistica e praticabile dell' alternativa ventilata da Sergio Bologna: quella della riduzione dell' intensità di trasporto. Un obiettivo pienamente condivisibile, che costituisce un pilastro della conversione ecologica del sistema produttivo, ma che richiede ben più che il potenziamento delle competenze impegnate nella supply -chain, perché coincide con uno degli obiettivi centrali dell' approccio territorialista, anche se i suoi cultori si sono finora impegnati poco nell' affrontare la dimensione industriale del loro programma. PER RIDURRE L' INTENSITÀ di tra sporto occorre rilocalizzare - e, quindi, spesso anche ridimensionare - una grande quantità di attività produttive oggi disperse ai quattro angoli del pianeta; ma anche promuovere, tra imprese e territori contigui, rapporti il più possibile diretti, hati su accordi di programma che facciano da argine alle oscillazioni e alle turbolenze dei mercati. E per questo ci vuole un sistema di gestionjje delle imprese che veda coinvolti i rappresentanti degli enti locali, delle associazioni territoriali, delle università e dei centri di ricerca, oltre che,.nj ovviamente, delle maestranze: cioè l' organizzazione della produzione come bene comune. insomma, un "socialismo" del ventunesimo secolo, ecologista e federalista; anche se il termine socialismo è sviante, perché è storicamente e culturalmente legato all' esatto opposto - produttivismo, gigantismo e centralismo di ciò che oggi andrebbe perseguito. Il trasporto su gomma avrà sempre l' ultimo miglio della logistica e va rivista tutta la filiera delle spedizioni gestite dagli intermediari delle multinazionali.
GUIDO VIALE
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