https://www.huffingtonpost.it/enrico-rossi/un-nuovo-fronte-socialista-per-salvare-leuropa_a_23545807/?utm_hp_ref=it-homepage
domenica 30 settembre 2018
Calenda who is?
Mentre il paese si immerge in un pozzo di demagogia, Il P.I. (Partito Idiota) si trastulla organizzando cene. E non riesce neppure in questo. Calenda, dilettante chef, non riesce nemmeno a cucinare per quattro, perché dimentica che il Renzi andato a male rende indigesto qualunque pasto. Allora il buon Calenda ha un’idea: se la cena fallisce, allora predispongo un pranzo. Detto fatto. Gentiloni abbocca, ma ancora una volta il risultato è fallimentare. Per i giornali è una “breve”.
Dato che conosciamo come Calenda sia pervicace nell’ignoranza (vedi i suoi pasticci lessicali e politici tra liberalismo e liberismo) come nella velleità organizzativa, corriamo a dargli un consiglio prezioso: lasci stare, dopo la cena e il pranzo falliti non le rimarrebbe che apprestare una merenda, ma immaginate che sarcasmo si attirerebbe addosso….
la lepre marzolina - 30 settembre 2018
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contro il governo della vergogna 3 i Verdi con molto di piu' 194 da ecumenici.it
Il 28 settembre 2018, nella Giornata internazionale per l’aborto libero e sicuro, la Rete Nazionale Molto+di194 ha tenuto alla Camera dei Deputati la conferenza “Non tornare indietro: molto più di 194!” per richiamare l’attenzione sull’attuale realtà in Italia, dove la prevenzione dell’aborto attraverso la contraccezione non è oggetto di politica nazionale, né lo è la rimozione degli ostacoli all’aborto sicuro. Le Regioni cominciano ad attivarsi, come dimostrano i casi recenti di Emilia Romagna, Piemonte e Toscana, ma senza una regia nazionale.
Assordante il silenzio del governo su questa materia, che dovrebbe riguardare l’ordinaria amministrazione della salute pubblica e non interventi straordinari implicati in “programmi di governo”. Sono infatti le leggi esistenti a prescrivere l’accesso alla contraccezione, a promuovere la salute sessuale anche attraverso i consultori e a garantire alle donne la possibilità di abortire con il metodo più sicuro per la loro salute e sulla base della propria scelta.
Nessun riscontro è arrivato dal Ministero della Salute in merito alle oltre 63.000 firme raccolte dal Comitato per la Contraccezione Gratuita e Responsabile tra dicembre e febbraio scorsi. Non un cenno di risposta alla richiesta di interlocuzione formulata dalla Rete Nazionale Molto+di194 con la conferenza di oggi, che interpellava la Ministra sulla possibilità di deospedalizzare l’aborto farmacologico e di estendere il limite del ricorso a 63 giorni, come prescrive l’Agenzia Europea del Farmaco e come, paradossalmente, è indicato nel bugiardino del farmaco pubblicato proprio sul sito dell’Agenzia Italiana del Farmaco. Il limite di 49 giorni fissato dalle linee guida nazionali costituisce un vero e proprio muro per le donne che preferirebbero questo metodo e per gli operatori che vorrebbero poter adeguare la prassi ospedaliera ai protocolli più aggiornati.
Si stanno muovendo le Regioni e la conferenza di oggi ne dà notizia.
Dice Elena Castelli, funzionaria del Servizio Assistenza Territoriale della Direzione Generale Cura della persona, salute e welfare della Regione Emilia-Romagna: “Noi siamo partiti quest’anno con la contraccezione gratuita per i giovani fino a 26 anni e donne da 26 a 45 anni con difficoltà economica nel post parto o nel post IVG, per tutelare la salute sessuale e riproduttiva e anche la loro fertilità. L’intervento è economicamente sostenibile: la spesa è inferiore a quella che avevamo preventivato anche se un quadro definitivo potremo averlo nel prossimo anno.”
In Toscana un tavolo regionale composto da consigliere e consiglieri, rappresentanti di associazioni, legali, rappresentanti delle ASL e la presidente della Commissione Pari Opportunità ha elaborato un documento che ha in oggetto la contraccezione gratuita per tutti e tutte e la deospedalizzazione dell’aborto farmacologico. La Regione Toscana è stata la prima a formalizzare linee guida che prevedono l’aborto farmacologico in day hospital e ora si chiede che, come previsto dalla legge, lo si possa effettuare in ambulatori convenzionati e consultori attrezzati. Il documento verrà consegnato in questo giorni alla Giunta, con l’auspicio che venga preso in seria considerazione e venga predisposta la delibera attuativa.
Anche in Lombardia ci si attiva per togliere l’obbligo di ricovero ospedaliero di tre giorni per l’aborto farmacologico. Lo annuncia Paola Bocci, consigliera regionale PD, che ha ottenuto dall’Assessore al Welfare Giulio Gallera un pubblico impegno in questo senso.
L’invito a ragionare insieme di educazione sessuale, riproduzione, contraccezione e aborto – temi vitali nella quotidianità di tutti e tutte – è stato raccolto alla da alcune parlamentari che fanno parte della XII Commissione Permanente Affari Sociali, intervenute alla conferenza.
L’Onorevole Giuditta Pini, PD, intende presentare una proposta di legge per assicurare la contraccezione gratuita ai giovani sotto i 24 anni e a partire dai 24 anni alle persone in condizioni di difficoltà economica.
L’Onorevole Elena Carnevali, PD, propone una interrogazione parlamentare per chiedere al Ministero della Salute di uniformare le linee guida nazionali sull’aborto farmacologico alle prescrizioni già presenti sul sito dell’Aifa nel foglio illustrativo del mifepristone, e si impegna a proporre la gratuità dei mezzi contraccettivi nei Livelli Essenziali di Assistenza in corso di aggiornamento.
L’Onorevole Gilda Sportiello, M5S, auspica la gratuità della contraccezione ordinaria e il rafforzamento dei consultori che devono mantenere la loro laicità. Inoltre si sta adoperando perché i mezzi contraccettivi di emergenza vengano inseriti, nell’ambito della Farmacopea Ufficiale, nell’elenco dei farmaci da tenere obbligatoriamente in farmacia, così che le donne possano fare affidamento sulla loro disponibilità.
In una nota, Alessandro Capriccioli, capogruppo di “+Europa Radicali” al Consiglio Regionale del Lazio, dichiara: “Condividiamo le istanze della Rete Nazionale Molto+di194, sia nella richiesta di contraccezione gratuita in sostegno del diritto alla salute sessuale e riproduttiva di donne e uomini, sia in quella della facilitazione nell’accesso al metodo abortivo più adatto alla donna che ne fa richiesta. A questo proposito, stiamo preparando una proposta di legge regionale, nel Lazio come in Lombardia, che disciplini l’adeguata applicazione della legge sull’IVG. Perché la battaglia per i diritti delle donne è tutt’altro che conclusa, e va combattuta a tutti i livelli”.
La registrazione video dell’intera conferenza, a cura di Radio Radicale, è disponibile all’indirizzo
Per maggiori informazioni visita il sito https://moltopiudi194.wordpress.com/
venerdì 28 settembre 2018
giovedì 27 settembre 2018
Bosnia e partiti civici
Željko Komšić
“Ma esiste un’alternativa?”. Chi si imbatte per la prima volta nella politica della Bosnia Erzegovina rivolge facilmente questa domanda. È dalle prime elezioni post-comuniste del 1990 che i partiti su base etnica dominano la scena, e si apprestano a farlo anche nel voto del prossimo 7 ottobre. Le forze cosiddette “civiche”, ovvero quelle si proclamano rappresentanti di tutti i cittadini indipendentemente dall’appartenenza etnica, sono quasi sempre rimaste ai margini. Solo in due mandati, nel 2000-2002 e 2012-14, un partito civico ha partecipato al governo statale in misura rilevante: il Partito Socialdemocratico (SDP), che però in entrambi i casi dovette comunque allearsi con partiti etno-nazionali, frustrando le aspettative di cambio della base. Inoltre l’SDP conobbe vari problemi interni – clientelismo, corruzione, mancato ricambio dei vertici – che ne determinarono il fallimento.
Da lì è iniziata la frammentazione della sinistra bosniaca, oggi scissa in tre: quello che resta dell’SDP, ormai depurato della vecchia leadership; il Fronte Democratico (DF), che si scisse dai socialdemocratici nel 2012 in protesta contro la deriva autocratica del partito; e l’Alleanza Civica (GS),che si separò dal DF nel 2016 per dissidi di leadership. E c’è un quarto partito civico, che in parte fa storia a sé: Naša Stranka (“Il Nostro Partito”, NS), creato nel 2008 da esponenti di società civile e classe media urbana, con una natura più centrista liberale che socialista.
Guardando i programmi elettorali, le differenze ideologiche tra i primi tre partiti sono minime, anche se c’è qualche differenza di priorità. L’SDP, in linea con il recupero della tradizione, dà più enfasi a temi sociali: aumento del salario minimo, sanità per tutti, tassa sul lusso, più investimenti pubblici per lavoro e servizi. DF e GS pongono il focus sulla questione istituzionale, sullo “stato civico” da contrapporre ad “apartheid” e “discriminazione” dei popoli costitutivi, e sulla lotta contro le ingerenze dei partiti nell’amministrazione. Naša Stranka si distingue mettendo come primo punto l’integrazione euroatlantica e proponendo la liberalizzazione dei servizi sociali nonché, unica a farlo, l’equiparazione delle prestazioni tra disabili ex-combattenti e disabili civili, un tema controverso nella società.
Naša Stranka si conferma il tipico partito liberale urbano, con quadri ben istruiti e formati di norma all’estero, e scarso radicamento popolare. Una volta dal DF commentarono sprezzanti a questo proposito che “la Bosnia non va da Marijin Dvor al Ponte delle Capre”, ossia i confini del centro di Sarajevo. Anche SDP, GS e DF mostrano un’importante limitazione territoriale, giacché si presentano in modo consistente solo nelle zone più urbanizzate della Federazione, ma restano residuali nelle zone rurali e quasi assenti nella Republika Srpska e nell’Erzegovina sud-occidentale.
Prove di riunificazione
A partire dalle elezioni amministrative del 2016 si sono succeduti molti appelli, provenienti in particolare dal mondo intellettuale, che chiedevano una riunificazione delle forze civiche o quantomeno un accordo di minima. Quest’ultimo si sarebbe dovuto centrare sulla riforma del sistema elettorale, dunque sulla piena applicazione della sentenza Sejdić-Finci – che condanna la discriminazione dei non appartenenti alle tre comunità etno-nazionali dominanti. D’altronde si tratta non solo di una questione di principio, ma di vera e propria sopravvivenza politica: il mantenimento dello status quo o addirittura il rafforzamento del criterio etnico-territoriale che richiede l’HDZ (nazionalisti croati) e che potrebbe essere approvato nella prossima legislatura, renderebbe sempre più difficile l’elezione di rappresentanti civici.
Le pressioni di intellettuali e delle basi dei partiti per una riunificazione si sono manifestate con maggior vigore nei primi mesi del 2018, di fronte a quello che molti chiamano un rischio storico in vista delle elezioni di ottobre: la possibilità che Milorad Dodik e Dragan Čović, i leader del nazionalismo serbo e croato, possano occupare due dei tre posti della presidenza statale e portare la loro sinergia autonomista – o secessionista – fino a esiti imprevedibili. Tutto questo in un momento internazionale delicato, vista l’intersezione tra la crisi della legittimità UE, lo slittamento continuo del processo di adesione e la crescita di tensioni nell’area post-jugoslava.
A marzo un accordo pan-civico sembrava molto vicino ma saltò, più per questioni di struttura che di sostanza politica. L’SDP, erede della Lega dei Comunisti dell’era jugoslava, temeva di perdere la propria storia ultracentenaria e un’infrastruttura ancora discretamente radicata. Il Fronte Democratico non era disposto ad accettare altro candidato alla presidenza collettiva che non fosse il proprio leader, Željko Komšić. Un po’ a sorpresa l’Alleanza Civica appoggiava in pieno l’opzione Komšić, ma lanciava bordate avvelenate contro l’SDP che contribuivano a minare il riavvicinamento, mentre Naša Stranka se ne chiamava fuori.
Il fattore Komšić
Questo istinto di autoconservazione spiega dunque perché il 7 ottobre sulle schede elettorali ci saranno tre candidati civici alla presidenza statale collettiva, che implicheranno una dispersione del voto non-nazionalista: Željko Komšić (DF-GS) e Boriša Falatar (Naša Stranka) per il rappresentante croato e Denis Bečirović (SDP) per quello musulmano. Komšić è molto probabilmente l’unico dei tre ad avere qualche chance di vittoria. Un recente sondaggio pubblicato dal giornale online Klix – numeri però da prendere con le pinze, per la sopravvalutazione dell’elemento urbano e l’assenza di monitoraggio sul voto per posta, lo mostra in parità con il favorito Dragan Čović.
Come si è visto più volte Komšić, che già vinse le elezioni del 2006 e del 2010 grazie soprattutto al sostegno dei bosgnacchi e dei “non dichiarati”, è accusato dall’HDZ di non essere un rappresentante autentico della popolazione croata, in particolare di quella erzegovese. La candidatura di Komšić mette a nudo le contraddizioni del sistema post-Dayton e il suo risultato avrà in ogni caso ripercussioni. Difficile fare previsioni: da una parte Komšić gode ancora di grande credibilità tra gli elettori non-nazionalisti e, anche per il suo passato di combattente dell’esercito bosniaco, tra i bosgnacchi disillusi dai “propri” nazionalisti. Dall’altra parte, il fatto che si presenti per la terza volta crea una certa stanchezza nel pubblico. Inoltre, anche tra i civici c’è chi ha visto la candidatura come una provocazione che potrebbe portare nuove tensioni.
È per questo che Naša Stranka ha opposto un proprio candidato per il posto croato della presidenza, Boris Falatar, un quarantenne economista ex-ONU che il suddetto sondaggio dà appena al 2%. Questi, in alcune interviste, ha accusato Komšić di essere troppo aggressivo, un “freno al cambio” che in otto anni non ha ottenuto risultati e che ha “perso l’equilibrio tra civico e nazionale”. Falatar ha rincarato la dose contro i due leader dell’Alleanza Civica, Emir Suljagić (l’autore di Cartolina dalla fossa sopravvissuto al genocidio di Srebrenica) e Reuf Bajrović, chiamati “piccoloborghesi con retorica d’odio” verso i croati. Da giorni volano stracci tra questi partiti, che arrivano persino a Bruxelles poiché nel frattempo Naša Stranka si è lamentata con l’ALDE (il Partito dei Liberali Europei a cui appartiene) per avere mostrato sostegno al candidato del DF anziché al proprio.
Così facendo, i partiti civici danno segni di nervosismo e debolezza: rafforzano l’attenzione sull’identità etnica invece di smorzarla, appaiono rassegnati a strappare le briciole al vicino (e dunque, probabilmente, un elettorato già orientato in senso civico) invece di cercare consensi in altri settori.
Poche speranze, infine, dovrebbe avere anche Denis Bečirović dell’SDP, che nella lista bosgnacca sembra staccato dai favoriti Džaferović (SDA) e Radončić (SBB). Bečirović, 43 anni, è un instancabile attivista parlamentare: alcuni dicono sia stato il recordman di disegni di legge e interrogazioni presentate in aula. Ma il carisma necessario per conquistare i voti appare un po’ freddo. Bečirović bene rappresenta lo stato dell’SDP nel quale, dopo la batosta del 2014 e il massiccio turnover al vertice, la maturazione della nuova leadership avanza un po’ lenta. Là fuori, invece, i protagonisti dell’etno-crazia continuano a correre a tutta birra.
mercoledì 26 settembre 2018
martedì 25 settembre 2018
sul decreto sicurezza da ecumenici.it
(Foto di archivio Pressenza)
“Un decreto costruito più per finalità di propaganda che per gestire realmente il fenomeno migratorio. L’effetto pratico sarà quello di accrescere i problemi anziché risolverli. Salvini si riempie la bocca di sicurezza ma finora le sue scelte e la sua propaganda d’odio hanno contribuito di fatto a rendere le nostre strade meno sicure”.
Lo afferma la europarlamentare di Possibile Elly Schlein, relatrice della riforma del regolamento di Dublino per il gruppo dei Socialisti e Democratici, in merito al decreto sicurezza varato oggi dal governo.
“Innanzitutto – osserva Schlein – la scelta di affrontare l’immigrazione come un problema di sicurezza, tradisce una logica punitiva e la necessità per il governo Salvini-DiMaio di continuare ad usare l’immigrazione come leva propagandistica. La stretta sulla protezione umanitaria, oltre ad essere una scelta inumana, lascerà nell’irregolarità e nelle strade persone vulnerabili; mentre con il ridimensionamento del sistema Sprar, un modello di eccellenza italiana che vengono a studiare dall’estero, Salvini dimostra che l’unico che vuole fare dell’accoglienza un ‘business’ è lui.
L’esperienza ha insegnato che l’unica buona accoglienza è quella diffusa sul territorio e in piccole soluzioni abitative su modello SPRAR, che prevede il pieno coinvolgimento dei sindaci, regolari appalti e trasparenza sulla rendicontazione dei fondi, oltre che adeguati controlli. Il decreto attacca le migliori esperienze d’integrazione a favore dei grandi centri d’accoglienza dove, lo constatiamo in ogni accesso e ispezione, si annullano i diritti delle persone e spesso s’infiltra il malaffare.
Il Premier Conte, nel ruolo che ormai gli è più congeniale, quello di spalla, ha tenuto a precisare che il decreto si muove in un quadro di assoluta garanzia dei diritti delle persone e dei Trattati. Un’affermazione bizzarra, visto che il decreto interviene riducendo alcuni diritti basilari propri di uno stato di diritto, come nel caso della sospensione della domanda di asilo per pericolosità sociale o condanna in primo grado di giudizio; o il raddoppio dei tempi di permanenza nei centri per il rimpatrio, di fatto una reclusione perpetrata in assenza di ipotesi di reato. Ho visitato il CPR di Brindisi proprio in questi giorni, ho visto un luogo terrificante di privazione delle libertà e disperazione in cui gli stessi migranti, in lacrime, mi hanno chiesto cos’hanno fatto per finire lì e hanno detto che sarebbe meglio il carcere.
Tagliare diritti e spese per l’integrazione non renderà più efficiente il sistema, ma darà modo al governo di mostrare i muscoli, a costo di violazioni evidenti dei principi costituzionali e dei Trattati internazionali. Violazioni che faremo valere in ogni sede – conclude Schlein – perché se si accetta oggi che qualcuno possa essere privato di diritti fondamentali, domani saranno i diritti di tutti ad essere minacciati”
lunedì 24 settembre 2018
democraziaSalvini 1-0
(Foto di Twitter)
Il 30 agosto scorso, a Lampedusa, sei pescatori di Zarzis erano stati tratti in arresto con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina.
I Giudici del Tribunale del riesame di Palermo hanno deciso di revocare la misura cautelare della detenzione in carcere, rimettendo in libertà Chamseddine Bourassine, il quale, insieme al suo equipaggio formato da Lofti Lahiba, Farhat Tarhouni, Salem Belhiba, Bechir Edhiba e Ammar Zemzi, potrà lasciare il carcere di Agrigento e tornare a casa.
L’accusa gli è stata mossa a seguito del salvataggio di 14 persone, di cui almeno tre minori, che si trovavano in pericolo in mare. Le persone erano a bordo di una piccola barca in attesa di essere soccorse dalla guardia costiera italiana, ma il mancato intervento ha costretto i pescatori a prendere la decisione di rimorchiare la barca e trarre in salvo le persone. I sei pescatori hanno fatto quello che la legge del mare e le convenzioni internazionali impongono: salvare vite umane in pericolo.
Bourassine e i pescatori di Zarzis negli ultimi anni hanno salvato molte vite in mare e hanno anche recuperato diversi cadaveri. Una delle persone salvate ha dichiarato che non sarebbero sopravvissuti senza l’intervento dei pescatori.
Le immagini video pubblicate da Frontex mostrano come i pescatori trainino la barca e che l’equipaggio, prima di incontrare i 14 migranti, era impegnato nelle abituali attività di pesca.
Il film di Giulia Bertoluzzi “Strange Fish”, che il 16 settembre ha ricevuto un premio al Festival del documentario di Milano, racconta le attività di salvataggio messe in atto dell’associazione di pescatori di Zarzis, il cui presidente è Chamseddine Bourassine.
Inoltre, l’Associazione dei pescatori di Zarzis, insieme ad altre 65 organizzazioni particolarmente impegnate a salvare le persone in mare, ha ricevuto la candidatura per il Premio Nobel per la pace dal titolo “I diritti del Mediterraneo – Per il salvataggio umanitario marittimo delle persone migranti”.
I sei pescatori, all’indomani dell’arresto, hanno ricevuto solidarietà e sono state diverse le iniziative in Tunisia ma anche in Francia e in Italia, in cui erano presenti cittadini, sindacati e associazioni per chiederne il rilascio. Anche il governo tunisino si è rivolto al governo italiano affinché venissero liberati.
In una lettera inviata all’ambasciata italiana a Tunisi, gli altri pescatori dell’Associazione di Zarzis hanno scritto: “Quando incontriamo naufraghi in mare non pensiamo al colore della loro pelle, alla loro origine, alla loro religione e ancor meno se la Lega o il movimento a 5 stelle sono d’accordo o meno. Perché pensiamo solo a salvare vite umane, anche se dobbiamo sacrificare le nostre”.
Borderline Europe
Vedi anche:
- L’equipaggio di un peschereccio tunisino arrestato in Italia mentre prestava soccorso in mare
- Pescatori tunisini in attesa di giudizio dopo aver “salvato centinaia di migranti”
- La solidarietà non è reato! Chiediamo la scarcerazione dei pescatori tunisini di Zarzis
- Migranti: manifestazione in Tunisia contro l’arresto di pescatori in Italia
- Aquarius salva undici persone al largo della Libia e prosegue la ricerca di imbarcazioni in difficoltà
- Tunisia: tutti i corpi di Zarzis
sulla discarica di Savona
CIMA MONTA' CON L'ACCENTO SULLA A
In queste ore mentre il centrodestra che "malgoverna" Savona sta litigando su questioni di assessorati e sulla sorte di ATA e mentre la città affonda nel caos,nell'insicurezza e nella "rumenta" noi Verdi torniamo a chiedere notizie sulla vecchia discarica di Cima Monta'.
Il Consiglio Comunale giovedì 27 settembre dovrebbe deliberare su un confuso documento di indirizzo ,che porterebbe alla privatizzazione del servizio di igiene urbana mentre resterebbe a carico comunale ,se abbiamo ben compreso, tutta la vicenda legata alla chiusura della discarica di Cima Montà.
In primo luogo vorremmo chiarire un equivoco:
ma chi dovrebbe pagare il "fine discarica" di Cima Montà se non il Comune visto che la ex discarica era comunale?
A questo punto sorgono le domande su cui vorremmo risposte precise in modo da non essere nuovamente costretti a fare un esposto alla Corte dei Conti come si è dovuto fare per il mancato raggiungimento degli obiettivi di legge della raccolta differenziata:
a) per la chiusura definitiva di Cima Montà esiste un piano trentennale ,come prevede la legge, a che punto è giunto?
b) sono state accantonate le somme necessarie al raggiungimento degli obiettivi del predetto piano?
c) se le somme non sono state accantonate o erano palesemente insufficienti si ha o meno intenzione di avviare una eventuale azione di responsabilità nei confronti di chi non ha provveduto agli obblighi di legge ?
d) cosa prevede il piano per la chiusura definitiva della discarica?
Cima Montà ha chiuso ormai da oltre 10 anni forse è il caso di fare il punto della situazione e rispondere alla città,che vorrebbe sapere quale sia la situazione e soprattutto perche' il centrodestra,invece di litigare in permanenza, non pensa ai gravi problemi di Savona?
Danilo Bruno
domenica 23 settembre 2018
delirio 6
[Nuovo articolo] UNA VIOLAZIONE DEL TRATTATO DI LISBONA
Yahoo/In arrivo
- Fondazione Critica Liberale, dal 1969 la voce del liberalismo <donotreply@wordpress.com>A:lasalab@yahoo.it22 set alle ore 12:54
Nuovo articolo su Fondazione Critica Liberale, dal 1969 la voce del liberalismo
UNA VIOLAZIONE DEL TRATTATO DI LISBONA
di CritLib18di pier virgilio dastoliSe il disegno di legge sul cosiddetto reddito di cittadinanza fosse applicato solo ai cittadini italiani escludendo i cittadini europei residenti in Italia ciò configurerebbe una violazione del Trattato di Lisbona secondo il principio di non discriminazione sulla base della nazionalità. Se il disegno di legge fosse applicato solo ai cittadini italiani ciò configurerebbe una violazione della Carta dei diritti fondamentali secondo il principio di non discriminazione sulla base della nazionalità che si applica a tutte le persone legalmente residenti in Italia. Il rispetto di questi principi riguarda tutti i residenti nell’Unione europea e deve essere applicato in Belgio, in Francia, in Germania, in Lussemburgo eccetera e se uno di questi governi violasse questo principio dovrebbe essere portato davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea e obbligato a modificare una legge siffatta. Il Presidente della Repubblica dovrebbe rifiutarsi di firmare una eventuale legge sul reddito di cittadinanza applicato solo agli italiani per manifesta incostituzionalità. I giudici italiani inoltre sono tenuti a disapplicare una legge che non è conforme al diritto dell’Unione.CritLib18 | settembre 22, 2018 alle 10:53 am | Etichette: lisbona, reddito cittadinanza, ue | Categorie: gli stati uniti d'europa | URL: https://wp.me/p9rwMH-JWCommento Visualizza tutti i commenti Annulla l'iscrizione per non ricevere più articoli da Fondazione Critica Liberale, dal 1969 la voce del liberalismo.
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