sabato 1 novembre 2014

CARA COSTA IN PORTO SPEGNI LE NAVI...


  
Giovedì 6 novembre ore 18:
Costa: sei la benvenuta, ma spegni i motori in porto!
L’alimentazione elettrica da terra delle navi da crociera permetterebbe di eliminare i gravi effetti di inquinamento per tutta la cittadinanza savonese.


Incontro con l’Ing. ROBERTO CUNEO Presidente Provinciale di Italia Nostra e l’Ing. ANTONELLA FABRI Vice Presidente Associazione Italiana Esperti Ambientali


L’Autorità portuale ha in cassa i soldi per pagare i debiti di Orsero. Perché, invece, non investe per fare l’impianto per alimentare con l’energia elettrica le navi della Costa? Si tratta di un obbligo imposto dalla UE per il prossimo futuro. Così fanno nei mari del Nord Europa e si sta iniziando a fare nei porti italiani. Una nave ferma in porto inquina come 100 camion con il motore acceso. Alcune navi della Costa sono già attrezzate perché nel Baltico l’alimentazione da terra è un obbligo.
In occasione dell’inaugurazione del terminal 2 di Costa, Italia Nostra propone l’investimento a tutela della salute delle persone e della qualità dell’ambiente: l’alimentazione elettrica da terra delle navi da crociera (cold ironing), che permetterebbe praticamente di eliminare il grave inquinamento prodotto.

Il problema riguarda la salute di tutti i cittadini di Savona: tutta la città è sotto vento, non solo la zona della darsena…

I REPORT DEL SEMINARIO DEL 25 OTTOBRE A GENOVA


"VIENI CON NOI A DISEGNARE UNA LIGURIA MIGLIORE".
25 Ottobre 2014
Report finale

QUALE METODO DI LAVORO CI SIAMO DATI

Ogni partecipante ha proposto uno o più argomenti di discussione; questi sono stati brevemente discussi ed accorpati tra di loro in base alle affinità prevalenti.
Sono emersi 3 tematismi:
RIFIUTI
DISSESTO IDROGEOLOGICO
MOBILITÀ
Altre proposte sono state interpretate come elementi trasversali alle varie tematiche:
PIANIFICAZIONE
BENI COMUNI
SENSIBILIZZAZIONE – ATTIVAZIONE DELLA CITTADINANZA
I DATI AMBIENTALI
In base al numero dei partecipanti si è deciso di formare 2 soli gruppi di lavoro, su Rifiuti e Dissesto Idrogeologico, utilizzando gli “elementi trasversali” quali “punti di attenzione” da considerare nell’analisi dei due temi.


COSA ABBIAMO DISCUSSO: Dissesto Idrogeologico

COSA CI SIAMODETTI

Si è dapprima analizzato il tema raccogliendo vari contributi dai partecipanti; si è quindi cercato di realizzare sintesi, tenendo conto dei “punti di attenzione” che ci siamo dati in plenaria; infine si sono tradotte le osservazioni e le analisi in proposte operative.
Sono emersi due linee strategiche principali: quella della PREVENZIONE e quella della INFORMAZIONE / CULTURA del dissesto.
Sul piano della PREVENZIONE è emersa l’inadeguatezza della attuale pianificazione urbanistica, ad esempio nel merito della misura che permette l’edificazione a soli 3 metri dai rivi, ma anche nella previsione di infrastrutture (come quelle del Terzo Valico) che incidono negativamente su territori delicati. Come anche l’interpretazione regionale del “Piano Casa”, molto permissivo riguardo le possibilità di edificare, e più in generale di una pianificazione che favorisce ancora troppo il consumo di suolo. A livello genovese, questi elementi negativi sono stati visti in contrapposizione al “Piano Sansa”, che invece poneva come condizione prioritaria il risanamento dei bacini idrici.
Sempre sul piano della prevenzione si è posta l’attenzione sulla cura del territorio, in particolare attraverso la necessaria incentivazione dell’agricoltura: il presidio ambientale che ne deriva è un valore che andrebbe adeguatamente riconosciuto.
Sul piano della INFORMAZIONE / CULTURA è emersa la difficoltà a comunicare con la gente riguardo ai temi del rischio idraulico ed idrogeologico: ci si scontra con una scarsa conoscenza diffusa dei fattori in gioco (anche per una loro intrinseca complessità), che si traduce spesso in una forma di pregiudizio nei confronti di coloro che, come gli ambientalisti, alle soluzioni semplicistiche e spesso controproducenti contrappongono un approccio più articolato e sistemico.
Nel merito, è emersa da una parte l’importanza di smontare questi pregiudizi attraverso un’informazione che comunichi le reali posizioni del mondo ambientalista, dall’altra la necessità di operare attivamente per incrementare il livello delle conoscenze diffuse in questo ambito. Esemplare da questo punto di vista la discussione interna al gruppo che ha portato a tradurre la usuale richiesta di “pulizia dei rivi, torrenti e fiumi” in “manutenzione” o, ancora meglio, “pianificazione”.
Sempre sul piano della comunicazione, il tema del dissesto idrogeologico enfatizza l’importanza di affiancare sempre al tema ambientale anche quelli della salute e del lavoro, non dandoli per impliciti (per quanto lo siano nei fatti) ma dichiarandoli esplicitamente.
Infine, riguardo al tema (o “punto di attenzione”) della veridicità e accessibilità dei dati in materia ambientale, all’interno della discussione è emerso anche l’argomento del mancato utilizzo dei fondi assegnati per interventi idraulici a Genova, i cui relativi dati non sono di facile reperibilità né interpretazione; ciò malgrado, grazie alle professionalità presenti all’interno del movimento, è in atto una anslisi dettagliata e chirificatrice.

COSA PROPONIAMO
Queste le proposte operative emerse dalla discussione, da intendersi non esaustive ma come parziale elenco delle priorità sulle quali attivarsi:
  • Realizzare un comunicato che chiarisca le posizioni dei Verdi, passate e presenti, in merito alla manutenzione del territorio per la sua messa in sicurezza
  • Realizzare informazione e formazione verso la cittadinanza riguardo la cultura del dissesto e del governo del territorio, anche attraverso le numerose competenze presenti all’interno del movimento
  • Promuovere la conoscenza dei Piani di Protezione Civile
  • Identificare e promuovere idonei strumenti pianificatori per la manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua (anche attraverso strumenti capaci di realizzare partecipazione e costruire partenariato quali i “Contratti di fiume”)
  • Abolire il provvedimento regionale che ha ridotto da 10 a 3 metri il limite minimo per costruire sui corsi d’acqua
  • Abolire la Legge Obiettivo
  • Lavorare sul tema delle prevenzione nel consumo del territorio agricolo
  • Promuovere incentivi per le professioni dell’agricoltura sostenibile
  • Promuovere l’uso delle fonti rinnovabili di energia nel comparto agricolo
  • ………………

HANNO PARTECIPATO: Ornella, Oliviero, Marta, Gabriella, Mauro B., Alessandro, Daniela, Fabio (Facilitatore).


COSA ABBIAMO DISCUSSO: Rifiuti

COSA CI SIAMODETTI/COSA PROPONIAMO

Abbiamo effettuato una analisi della crisi del sistema territoriale ligure relativo ai rifiuti, ponendo particolare attenzione alle situazioni di Savona, Genova e La Spezia.
La discussione ha fatto emergere questi punti di attenzione:
  • disgregazione della gestione del servizio di raccolta e smaltimento nella provincia di Savona, con la presenza di pochi soggetti pubblici (Ata, Finaleambiente, Ecosavona);
  • L'assenza di una visione di sistema nei tecnici e di cultura da parte dei decisori politici
  • la prevalenza dell'immobilismo nelle scelte gestionali delle Aziende di Genova (Amiu) e la Spezia (Acam) orientate al solo smaltimento in discarica;
  • la particolarità perversitàà del rapporto tra pubblico e privato nei rapporti con le filiere del riciclo e nella gestione delle realtive risorse economiche.
La fase successiva ha fatto individuare il nodo problematico dei costi dei diversi sistemi di raccolta dei rifiuti (stradale, multimateriale, porta a porta, ecc.).

Abbiamo poi esaminato alcuni casi locali come Genova e Noli.
Nel primo caso è emerso nel rapporto tra Amiu e Iren la crescente necessità degli inceneritori del nord Italia di ricevere quantità crescenti di RSU.
Nel secondo caso si è discusso il felice incontro tra la volontà degli operatori e delle associazioni di categoria nel raggiunto della percentuale dell'80 % della raccolta differenziata dei rifiuti.

La discussione ha individuato alcuni principi fondamentali che dovrebbero sottendere sia la politica regionale che le azioni locali nei riguardi del problema dei rifiuti:
  • Ridurre la quantità di rifiuti prodotti
  • Il recupero di materia
  • Ridurre le emissioni di gas clima alteranti
  • Applicare la metodologia di raccolta e trattamento più adatta al contesto territoriale;
  • Inserire le necessarie strategie adattive al cambiamento climatico
  • Necessità di un cambiamento culturale.

In conclusione si è messo a fuco i principi chiave della proposta di legge per il servizio idrico integrato:
1. il servizio idrico non deve avere fini di lucro;
2. delimitazione degli ambiti territoriali ottimali secondo i bacini idrografici;
3. partecipazione dei cittadini.

Le argomentazioni successive in merito alla gestione, alle decisioni fondamentali da restituire ai cittadini e alla necessità di ritornare a forme di consultazione referendaria si riconnettono con i temi macro trasversali emersi dalla seduta plenaria di inizio .
Dopo aver evidenziato la scarsa propensione a legiferare di Regione Liguria si è conclusa la sessione con la proposta di arrivare a nuove leggi regionali in materia di rifiuti e di acqua.


HANNO PARTECIPATO: Pino, Stefano, Massimo, Manilo, Mauro D., Lia, Giancarlo (Facilitatore).

DOMENICO GALLO: INTERVENTO SULLE RIFORME ISTITUZIONALI

 
Il futuro è solo l’inizio?
di Domenico Gallo
Il futuro è solo l’inizio è l’inquietante slogan della Leopolda che esprime bene la pulsione di coloro che guidano il Governo ad infrangere le barriere del presente per catapultare l’Italia in una nuova dimensione dove tutto è cambiato: le istituzioni, la società, lo Stato. E’ stato annunciato un “cambiamento violento”, un rovesciamento totale degli equilibri di potere, di assetti consolidati, di tradizioni politiche, che consentirà – secondo la narrazione dominante – di far ripartire l’Italia, di recuperare efficienza e funzionalità al sistema Paese, schiacciando le resistenze corporative di sindacati, ceti professionali e corpi intermedi.
In realtà i criteri che guidano i processi di riforme costituzionali ed elettorali corrispondono ad esigenze politiche, che si sono riaffacciate in varie occasioni nella vita delle nostre istituzioni, non sono delle novità bensì delle costanti che riaffiorano nei momenti di gravi crisi economiche e di smarrimento morale.
Quando ci viene annunziato un salto nel futuro, non possiamo guardare al futuro ignorando il passato da cui proveniamo. E non dobbiamo ignorare gli insegnamenti che abbiamo tratto dal passato.
Fatte le dovute proporzioni, ci sono molte somiglianze fra la situazione attuale e le esperienze istituzionali che abbiamo vissuto in un passato non troppo lontano.
Anche in quell’epoca il nostro Paese era attanagliato da una grave crisi economica e da un ancor più grave smarrimento morale, dovuto alle inenarrabili sofferenze e alle mutilazioni che la guerra aveva provocato nel corpo sociale. C’era una diffusa insoddisfazione che si esprimeva con scioperi, manifestazioni e violenti conflitti fra opposte fazioni politiche.
In questo contesto un leader politico ottenne la nomina a Presidente del Consiglio, con una procedura extraparlamentare (che si svolse attraverso una sorta di primarie del manganello), promettendo un rinnovamento totale che avrebbe pacificato ogni conflitto e consolidato l’unità e la forza della Nazione italiana.
Questo giovane leader politico, che – come il nostro Presidente – all’epoca non aveva ancora compiuto 40 anni, propugnava il mito della velocità e della giovinezza e si mostrava estremamente deciso a portare avanti il suo programma, incurante delle resistenze che provenivano da ogni dove, tanto che il suo motto preferito era: “me ne frego”. Tuttavia il Parlamento non era ancora un bivacco di manipoli, per ottenerne la fiducia il giovane Presidente del Consiglio fu costretto ad imbarcare nella maggioranza una serie di partiti e partitini, alcuni dei quali recalcitranti rispetto alla riforme che il Capo politico voleva attuare. Addirittura il principale dei suoi alleati in Parlamento, il Partito Popolare, fece un congresso a Torino, dove il suo Segretario, pur non rinnegando l’alleanza, delegittimò il movimento del Presidente del Consiglio, qualificando come “pagane” le sue teorie.
Allora emerse un problema istituzionale: come poteva il Presidente del Consiglio realizzare le profonde trasformazioni di cui l’Italia aveva bisogno se i suoi stessi alleati recalcitravano?
Sorse quindi l’esigenza per il decisore politico di liberarsi dei ricatti di partiti e partitini.
Quale fu la risposta? Cambiare la legge elettorale per cambiare la natura del Parlamento e renderlo docile ai comandi del Capo politico. Il dibattito che si svolse in occasione dell’approvazione della legge Acerbo è attuale ancora oggi, data la notevole somiglianza di quella riforma con le riforme elettorali attualmente in discussione. Giovanni Amendola osservò che la riforma elettorale cambiava la natura del Parlamento perché attribuiva al Governo la facoltà di nominarsi la sua maggioranza.
E così avvenne! Grazie al premio di maggioranza assegnato ad una sola lista, il Partito della Nazione guidato dal giovane Presidente, pagando il modesto prezzo di imbarcare nel listone qualche fuoriuscito dei partiti alleati, ottenne una schiacciante maggioranza formata da uomini di fiducia “nominati” dal Capo politico. La nuova legge elettorale ottenne l’effetto voluto, consentì al Capo politico di sbarazzarsi del ricatto di partiti e partitini e determinò l’avvento di un partito unico al governo che, per vicende successive, si impose come unico partito.
Tuttavia la legge Acerbo, alla prova dei fatti, presentava un grave difetto, non riuscì ad escludere dal Parlamento quelle forze dell’opposizione che più davano fastidio al Capo politico.
Il povero Presidente del Consiglio dell’epoca fu costretto ad affidarsi ad una banda di bravi per togliere di mezzo Matteotti, i cui discorsi in Parlamento, venivano ripresi dai giornali e contraddicevano il mito dell’unità della nazione italiana, screditando il movimento.
Non fu un’operazione politicamente indolore perché si misero di mezzo i giudici.
La magistratura, che aveva quasi sempre chiuso un occhio di fronte alle operazioni delle camicie nere, quella volta non lo chiuse; forse perché le indagini furono affidate ad un giudice istruttore che si chiamava Occhiuto, il quale scopri immediatamente autori materiali e mandanti, inchiodandoli con prove schiaccianti, prima che il processo gli venisse tolto per avere una gestione più accomodante.
In realtà la responsabilità politica di questo evento tragico non fu del Presidente del Consiglio, ma del suo vice. Se Acerbo avesse adottato la soglia di sbarramento all’8%, prevista dal Patto del Nazareno, né Matteotti, né Gramsci sarebbero mai entrati in Parlamento. Attraverso gli opportuni accorgimenti la legge elettorale avrebbe potuto consentire al Capo del Governo dell’epoca (e può consentire ai governanti attuali) di sbarazzarsi dell’opposizione più fastidiosa senza la necessità di ricorrere ad atti di violenza.
Oggi, attraverso i progetti di riforme costituzionali, istituzionali ed elettorali, si sono aperte le porte di un grande cambiamento. A questo punto sorge spontanea la domanda: questo grande cambiamento ci indica la strada del futuro, oppure apre le porte al passato che ritorna?
* Intervento al convegno “Riforme Istituzionali e legge elettorale: innovazione o restaurazione?”, che si è tenuto giovedì 30 ottobre alla Camera dei Deputati

UN MODO NUOVO DI FARE CINEMA PER UN PROGRAMMA CIVICO ED ECOLOGISTA

Il piccolo cinema di vicinato

by benicomuni
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Piazza San Cosimato, ora di cena di una fredda giornata autunnale. Al contrario del solito, la piazza trasteverina non si è svuotata: alle grida dei bambini si è sostituito il vociare diffuso di trecento persone che, accomodate ai tavoli che hanno riempito lo spazio del mercato rionale, chiacchierano e gridano aspettando la prima ronda di amatriciana. Persone che si incontrano, famiglie che ritornano al rione della loro vita, dal quale si sono allontanate ma che resta sempre nel cuore. È la prima “ottobrata trasteverina: grazie all’utilizzo intelligente di facebook, un gruppo di trasteverini ha deciso di riportare in piazza “le tavolate de ‘na vorta”, con un’iniziativa totalmente autofinanziata. La prima ronda di pasta arriva, cucinata da un ristorante sulla piazza. Ne seguiranno una seconda e una terza, mentre la quarta e la quinta si sovrapporranno alla prima di pollo arrosto che proviene da un'altra trattoria. Abbondanza alla romana.
Dal piccolo palco montato in piazza si susseguono fra gli applausi stornelli, poesie e canzoni composte per l’occasione, così come lo splendido omaggio al trasteverino Stefano Rosso. Tra le famiglie, gli anziani, i bambini e i gruppi di amici scaldati dal vino, spicca una tavolata ben più lunga delle altre che risalta per l’età al di sotto della media.Sono i ragazzi del Cinema America. Nonostante in larga parte non siano di Trastevere, hanno avuto il privilegio non solo di partecipare, ma anche di collaborare all’organizzazione di un evento i cui biglietti sono volati via in un attimo e al quale in molti non sono riusciti a partecipare. A dirla tutta, molti tavoli e molte sedie sono stati prestati e trasportati proprio dall’ex forno in Va Natale del Grande, la nuova sede del collettivo di giovani che due anni fa occupò il Cinema America. Le stesse sedie che, al principio e alla fine dell’estate, sono servite sempre su quella piazza ad accogliere larena gratuita, un Cinema America outdoor che ha acceso San Cosimato con film ed ospiti di prima scelta.
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Il recupero della piazza come centro sociale e culturale del vicinato è un tema caro al collettivo degli occupanti, che ben un anno prima dell’ingresso nell’America avevano già iniziato a fare iniziative in Piazza San Cosimato, Piazza San Calisto e altri luoghi che conservano l’anima di un rione in cui un tempo si viveva più per strada che a casa. Nei due anni di occupazione hanno intrecciato un rapporto strettissimo con tutto il vicinato, fatto di condivisione, collaborazione e presenza giornaliera. Adesso questo rapporto ha raggiunto il suo apice: anche i residenti di Trastevere si stanno attivando per non farsi strappare queste strade e queste piazze dal consumo mordi-e-fuggi, per non lasciar scivolare via quella parte di Trastevere, piccola ma preziosa, che ancora non ha ceduto all’invasione dei locali notturni e del turismo.
Gli organizzatori dell’evento ci tengono a dirlo: questa è solo la prima iniziativa in piazza.  Con il freddo probabilmente sarà più arduo replicare, ma da qualche giorno ogni trasteverino sa che può contare ogni sera su un piccolo e accogliente cineclub per l’inverno.
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In Via Natale del Grande 7, alla porta affianco al Cinema America, c’è ora il “Piccolo Cinema America”: uno spazio che qualche giorno dopo lo sgombero è stato lasciato in comodato d’uso per sei mesi dai proprietari ai ragazzi dell’America. Nel giro di qualche settimana è stato tirato a lucido, e fra i macchinari del panificio hanno preso vita una sala cinematografica da cinquanta posti, una sala studio e un cortiletto. L’associazione culturale è la forma che è stata scelta dal collettivo per poter rimanere lì, accanto all’America, in maniera del tutto legale. Con i 2 euro della tessera si ha accesso a tutte le proiezioni ad offerta libera, grandi classici del cinema proposti ogni giorno in doppia proiezione, alle 19 e alle 21,30.
Il Piccolo America, come si legge dal comunicato di inaugurazione, “diverrà uno spazio di diffusione culturale e di condivisione sociale per il rione di Trastevere, i suoi residenti e tutti i ragazzi delle scuole e delle università. Un luogo aperto per le riunioni delle associazioni di quartiere e un centro di aggregazione giovanile. Diventerà anche un osservatorio permanente sulla speculazione edilizia nel mondo delle sale cinematografiche ed in generale degli edifici a destinazione d’uso socio-culturale”. Ai ragazzi dell’America non poteva andare meglio: poter continuare l’attività cinematografica spostandosi solo di qualche metro, mettendo allo stesso tempo pressione sulla proprietà del cinema e sul Comune per risolvere la situazione del “Grande America”.
A proposito, che fine farà il Cinema America? Una domanda che da inizio settembre, quando uno spiegamento spropositato di forze e reparti speciali ha effettuato lo sgombero dell’occupazione, circola incessantemente a Trastevere. “Resterà di nuovo abbandonato per anni” dicono i più scettici, “ci faranno un multisala” affermano i più disillusi, “diventerà una palazzina di mini-appartamenti” sentenziano quelli che non hanno mai creduto che la speculazione edilizia si potesse fermare. Attualmente, nessuno può rispondere con certezza a questa domanda.
Il collettivo dell’America ha fatto la sua proposta. In sinergia con i trasteverini, con gli attori e gli autori del cinema che hanno dato il loro appoggio incondizionato, l’obiettivo dichiarato è quello dell’acquisizione partecipata. In concreto, diverse case produttrici di cinema d’autore si sono dette interessate a salvare un’esperienza così preziosa: una sala da settecento posti che si riempie di giovani, strappati alla pirateria e allo streaming, che hanno riscoperto il piacere di andare al cinema. E così, da settembre ad oggi si è messa su una cordata che unisce il mondo del cinema al territorio di Trastevere: quote di case di produzione, attori ed autori affiancheranno un progetto di partecipazione popolare che prevede quote individuali dei residenti, dei giovani e di tutti gli amici del Cinema America.
Proprio in queste settimane in Comune si svolgeranno degli incontri per valutare la fattibilità di questa proposta, anche in relazione all’apposizione dei vincoli di destinazione d’uso e di tutela dei mosaici che saranno definitivi a partire da fine novembre. La partita è ancora aperta ma a Trastevere tutti sono fiduciosi: dallo sgombero ad oggi già si già è compiuto un piccolo miracolo, con l’inaugurazione del Piccolo Cinema America, perciò nulla esclude che si riesca anche a salvare la storica sala e assieme a lei l’esperienza che negli ultimi due anni ha concretamente impedito che venisse abbattuta.
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Per chi volesse partecipare alle proiezioni, oltre alla programmazione completa disponibile sul sito e sui social network, l’evento consigliato è quello di venerdì 31 ottobre: Paolo Virzì e Francesco Bruni presentano “Il capitale umano”, vincitore di 7 David di Donatello e candidato italiano agli Oscar. Intanto, il collettivo dell’America ha appena siglato un accordo di collaborazione con la Cineteca di Bologna e con i vicini Cinema Alcazar e Nuovo Sacher, per cui si proietteranno film classici restaurati dalla Cineteca scontati a 3 euro invece che 6 per tutti soci del Piccolo America e per le classi delle scuole superiori: da qui a gennaio “I 400 colpi”, “Gioventù bruciata”, “Tempi moderni” e “Le mani sulla città”. Perché Cinema America non è più solo il nome di una sala, ma è ormai sinonimo di una determinata maniera di vivere il cinema.
benicomuni | ottobre 31, 2014 alle 11:21 pm | Etichette: cinemaculturaRom

PISA E IO DESTINO DEGLI ZINGARI

I rom della Bigattiera sotto sgombero

by benicomuni

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari. E fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei. E stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare.
Bertolt Brecht

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di Francesco Biagi
La città di Pisa continua ad essere una città dove i più deboli e oppressi vengono “puniti” per l'indigenza in cui vivono e di cui soffrono. Essere poveri, vivere nella marginalità sociale - a Pisa - significa subire un “castigo” costante ed essere preda della discrezione delle politiche poliziesche. Dieci anni fa, il sociologo Loic Wacquant mandava alle stampe “Punire i poveri. Il nuovo governo del'insicurezza sociale”. In questo testo rifletteva sulle politiche penali che gli Stati Uniti infliggevano alle classi sociali più marginali e povere, notando come tali politiche punitive a poco poco andassero a sostituire il welfare. Nel mercato globale contemporaneo chi è povero è colpevole della sua indigenza e la risoluzione di questo problema non è più lo “stato sociale” ma lo “stato penale”. Questi processi sociali si appellano ad una legalità astratta, ad un “abusivismo” che è tale non per volontà dei soggetti che lo vivono ma per la segregazione che ad essi viene imposta.
A Pisa, negli ultimi giorni è tornata alla ribalta la “questione rom”, creata ad arte per giustificare lo sgombero del campo (autorizzato) più grande – quello della Bigattiera - dove vivono numerose famiglie. Più di un anno fa, il consiglio comunale approvava una mozione che chiedeva di ripristinare acqua, luce e scuolabus per il Campo della Bigattiera. Da allora nulla è stato fatto: niente acqua, niente luce, niente scuolabus. Nessun progetto di inserimento abitativo, che pure era stato promesso, e che figura tra gli obiettivi della “Strategia di Inclusione” dei rom approvata dal governo. Perché – è bene chiarirlo, ancora una volta – le famiglie della Bigattiera non vogliono stare al campo: vorrebbero abitare nelle case - come tutti - lavorando e pagando un regolare affitto. Ma quando si cerca casa la risposta è sempre la stessa, «non si affitta agli “zingari”»…
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Negli ultimi giorni, le cose sono cambiate. Tutte le famiglie sono state convocate dagli assistenti sociali, che hanno annunciato l’imminente sgombero. La data non è stata comunicata, ma si sa che l’intervento verrà fatto nel giro di una o due settimane. Che fine faranno le famiglie, che fine faranno i bambini, dopo che il campo sarà chiuso? Gli assistenti sociali hanno prospettato poche e drastiche “soluzioni”.
È stato proposto, anzitutto, un programma di “rimpatrio assistito”: tornare al paese di origine, con il viaggio pagato dal Comune e un contributo di duecento euro a persona. Ci rimandano “a casa”, dicono. Ma la Macedonia, per noi, non è “casa”. Molte famiglie abitano a Pisa da venti, a volte da venticinque anni. Quasi tutti i bambini sono nati in Italia, o ci sono arrivati quando erano molto piccoli. Alcuni, tra l’altro, non hanno nemmeno la cittadinanza macedone: andrebbero a vivere in un paese in cui sono stranieri. Dicono: “La nostra casa è qui, in Italia, a Pisa: è questo il luogo dove molti di noi hanno vissuto gran parte della loro vita, è questo il luogo dove vogliamo vivere”.
Per i rom "regolari", è stato proposto l’invio in località “fuori dalla regione Toscana”: vogliono mandare via le famiglie, in città lontane e per loro sconosciute, senza alcuna garanzia di un inserimento sociale. È stato promesso anche un contributo all’affitto per i rom che dovessero trovare una casa: ma come troviamo una casa in due settimane, se non siamo riusciti a trovarla in tutti questi anni? Nessuno affitta una casa a un rom che abita in un campo, se non c’è un aiuto o un sostegno da parte delle isitutuzioni politiche locali.
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La verità è un’altra. La verità è che vogliono semplicemente sgomberare il campo. La verità è che vogliono sbattere famiglie e bambini in mezzo a una strada, senza nessuna vera alternativa. Gli sgomberi fatti così, senza dare nessuna soluzione, sono illegali: l’Unione Europea, il Consiglio d’Europa, lo stesso governo italiano nella sua “Strategia Nazionale di Inclusione”, dicono da tempo che gli sgomberi sono illegali, se lasciano le famiglie in mezzo a una strada. È per questo che esiste un’unica soluzione: sospendere lo sgombero, fermare la guerra contro i rom, e provvedere a dei canali autentici di mediazione e dialogo

PALERMO E LA CRONACA DI UN FALLIMENTO EPOCALE

Palermo, Zac e i Cantieri. Cronaca di un’occasione persa

Padiglioni resuscitati e di nuovo sigillati. Opere abbandonate tra topi e umidità. Un progetto di gestione evaporato. L’assenza di direttori. Così naufraga (per ora) il rinascimento dei Cantieri Culturali alla Zisa, a Palermo. Metafora di un fallimento amministrativo. Sette testimonianze fuori dai denti, legate al centro per le arti visive Zac e al Cinema De Seta. Un’analisi degli errori fatti, per una nuova strategia da mettere a punto. Insieme al giovane assessore-artista, appena nominato da Leoluca Orlando…


ZAC - Zisa Arti Contemporanee, Palermo
ZAC – Zisa Arti Contemporanee, Palermo
Era il maggio del 2012. Leoluca Orlando veniva incoronato per le terza volta sindaco di Palermo, riconquistando una città logorata da una lunga stagione di mediocrità politica e culturale. A votarlo, in un ballottaggio plebiscitario, target lontanissimi: dalle nuove generazioni bisognose di un rassicurante appiglio, all’esercito dei precari in cerca di benevolenza nuova, passando per la più matura élite artistica e intellettuale, gonfia di nostalgia. Il tributo elettorale liberò una scarica adrenalinica tra le arterie di una cittadinanza esasperata.
La memoria correva fino alla seconda metà degli Anni Novanta. Tempi di vacche grasse e di primavere energiche, di laboriosi pionieri e di audaci sperimentazioni; tempi ai margini di un’epoca buia, scandita da fatti di mafia e arretratezze provinciali. Era il 1996. A Palermo nascevano i Cantieri Culturali alla Zisa. La cittadella dell’arte, ricavata nell’ex complesso industriale Ducrot, recuperava alcuni capannoni in disuso per destinarli a mostre, spettacoli, concerti. Un miracolo. Mai affidato, però, a una forma giuridica stabile – un museo, una fondazione, un consorzio pubblico/privato – e così soggetto agli input spontanei di questo o di quel sindaco, di questo o quell’assessore. I dieci anni della giunta di Diego Cammarata segnarono una progressiva caduta: i Cantieri morirono, poco a poco.
Un padiglione abbandonato dei Cantieri
Un padiglione dei Cantieri
La primavera orlandiana del terzo millennio sancì la rinascita di questo luogo. A partire da due spazi nuovi di zecca ma mai inaugurati, lentamente scivolati nell’oblio. Si aprirono così le porte di Zac, centro per le arti contemporanee, e del De Seta, primo cinema d’essai comunale. Fermento, energia, desiderio. Qualcuno ci credeva davvero, qualcun altro no. Ma era il caso di darsi una chance.
Zac venne affidato a un comitato scientifico, arruolato a titolo gratuito e composto da artisti, curatori, galleristi, docenti, figure istituzionali:Alessandro BazanFrancesco De GrandiDaniela BigiEmilia ValenzaGianna Di PiazzaLuciana GiuntaEva Di StefanoPaolo FalconeFrancesco PantaleoneAntonella PurpuraAlessandro RaisSergio Troisi. Partì un laboratorio con un’ottantina di artisti, individuati in assenza di bando e coinvolti per ben sette mesi (dicembre 2012-luglio 2013): al termine, una grande collettiva, senza un concept, né una selezione, né una forma omogenea, salutò il battesimo espositivo del gigantesco hangar e di un secondo padiglione collaterale, nell’attesa che un progetto museale venisse consegnato dai curatori e avviato dall’amministrazione. Una mostra un po’ così. Confusa e felice, già segnata da lamentele interne, ma con la speranza che qualcosa potesse accadere, all’indomani.
Eva Di Stefano
Eva Di Stefano
Si trattava di progettare il futuro spazio del museo, disegnarne la struttura, suggerire risorse e indicare le linee culturali”, ci spiega Eva Di Stefano, saggista, ricercatrice, docente d’arte contemporanea all’Università di Palermo. “Ma invece di un documento ci siamo ritrovati a dover realizzare in fretta e furia una mostra d’apertura a costo zero, che occupasse lo spazio per mesi. Un’avventura che poteva anche funzionare se ci fossero state le condizioni organizzative, che però mancarono del tutto: non c’erano referenti certi e personale addetto, era problematico anche ottenere i materiali di base, le lentezze e inadempienze burocratiche erano all’ordine del giorno”.
Ci va giù duro, la Di Stefano: “Oggi posso dire che l’unica cosa indovinata di ZAC è il suo nome agile e divertente. Cosa ha rappresentato? Una trappola per gli artisti e il comitato scientifico. Più che un esperimento artistico è stato un esperimento psico-sociale: metti cento persone in uno stanzone senza indicazioni e senza mezzi di sussistenza e sta a vedere cosa succede. Va detto che ci sono state ottime prove di resistenza: l’artista palermitano resiste al caldo, al freddo, alla mancanza di cessi…”. Deprimente. Desolante.
E il futuro? “Per prima cosa l’amministrazione dovrebbe dare una risposta agli artisti che hanno ancora lì dentro le opere: un atto di rispetto. Ci vorrebbe quindi un unico direttore competente, dotato di strumenti per agire, personale e risorse finanziarie, magari anche un tavolo di consulenti, ma non più la trappola collegiale di un comitato di volenterosi e disarmati operatori. E bisognerebbe pensare a rimodulare l’interno del padiglione, rendendolo più funzionale per esigenze espositive multiple”.
Sergio Troisi - foto di Sandro Scalia
Sergio Troisi – foto di Sandro Scalia
Le fa eco Sergio Troisi, autorevole giornalista e critico d’arte, anche lui testimone diretto di una disillusione progressiva. “Il nostro progetto di governance è stato esposto nelle linee generali all’assessore alla cultura Francesco Giambrone già nel maggio 2013. A dicembre è scaduto il nostro incarico, mai rinnovato. La mia sensazione è che durante quei mesi non tutti i rami dell’amministrazione operassero nella stessa direzione, anzi. Alcuni problemi, come quelli relativi all’agibilità dello spazio, alla guardiania, alla gestione del personale, sono rimasti irrisolti. Lo stesso spazio ha evidenziato difficoltà tecnico-strutturali di base, non risolvibili in tempi brevi. L’entusiasmo e la partecipazione di tutti sono stati l’elemento positivo, interamente vanificato dal modo con cui l’esperienza è finita in un cul de sac, temo frustrando iniziative analoghe per i prossimi dieci anni”.
Una cornice di paralisi semipermanente, con la necessità di un piano economico colossale, adeguato alle dimensioni e le ambizioni del complesso. Per una città sull’orlo del dissesto economico, praticamente un’utopia. Tutta colpa della precedente amministrazione e della sua pesante eredità? Agli inizi, forse. Ma a due anni e mezzo dalle elezioni quel grado zero è assordante come e più di prima. “Ad oggi”, aggiunge Troisi, “la generale apertura di credito di cui la giunta Orlando aveva beneficiato si è esaurita, senza contare il tema dell’assenza di risorse e dal patto di stabilità che bloccano gli enti locali. Anche per queste ragioni temo che i Cantieri, a quasi vent’anni dalla loro invenzione quale possibile polo culturale, siano oggi una scommessa perduta”.
Francesco De Grandi
Francesco De Grandi
Ancora dal gruppo di curatori, la testimonianza di un artista, Francesco De Grandi: “Zac è stato un esperimento per un’idea di museo-laboratorio dove tutte le componenti che reggono un museo (compresa la comunità artistica e quella cittadina) potessero avere una voce in capitolo. Insieme agli artisti il comitato scientifico ha donato all’amministrazione un’energia e una vitalità che raramente si vedono tra le bianche mura di un museo. Zac è stato luogo di transito di artisti internazionali, curatori, filosofi, cineasti, direttori di museo, confrontatisi con il tessuto urbano sul lavoro e sui progetti, innescando uno scambio e una circolazione di idee eccezionale”. Bilancio positivo, dunque, per quel che riguarda dinamiche sociali, motivazioni, attività parallele. Ma l’origine del naufragio dove stava e dove va arginata? Rigiro la domanda a un’amministrazione che non ha saputo difendere e valorizzare questo tesoro, alla schiera di custodi e funzionari stipendiati che non sono stati in grado di risolvere i problemi amministrativi quotidiani. Noi tutti, dal comitato fino all’ultimo degli artisti, attendiamo ancora risposte. E attendiamo che le innumerevoli promesse fatteci vengano mantenute”.
Luca Lo Coco
Luca Lo Coco
A pochi mesi dall’inaugurazione della mostra-contenitore,una cortina stagnante aleggiava sui due grandi padiglione serrati, in cui fluttuavano, tra infiltrazioni di pioggia e impietose solitudini,  decine di opere bloccate in un limbo odoroso di muffa. Di commenti rammaricati degli artisti ne abbiamo raccolti parecchi. Uno su tutti quello diLuca Lo Coco: “Avevamo trasformato il grigio squallido di un capannone industriale in vivido colore. Eravamo laboratorio d’arte, fornace creativa sempre attiva. ZAC ha saputo tradire gli artisti perché non si è mai innamorato di loro e ha avuto il coraggio di pugnalarli, con freddezza. Da estraneo non ha compreso il valore dei doni ricevuti, e con meschina negligenza ha permesso che un magnifico giardino fiorito marcisse senz’acqua”.
La negligenza, l’assenza d’amore. Non c’è retorica in questa denuncia. Molta rabbia semmai, e il senso di una disillusione che pesa. “Zac ha abbandonato le opere dei suoi artisti, le ha lasciate marcire, mangiare dai topi, ha permesso che i colombi le firmassero con i propri escrementi. Ha esposto la creatività in luoghi non idonei, non si è preoccupato della tutela di sculture, dipinti e installazioni creati da giovani che avevano investito di tasca propria. Opere dilaniate, simboli di un amore non corrisposto, il cui epilogo ha il sapore di tradimento”.
In quei luoghi, la scorsa estate, sono state rinvenute tracce di eternit: il secondo padiglione è stato sigillato, mentre partivano le indagini. La minaccia ecologico-sanitaria come ultimo atto di una deriva stolta.
Giuseppe Marsala
Giuseppe Marsala
A fine ottobre 2014 l’architetto Giuseppe Marsala, direttore tecnico-artistico dell’intero plesso dei Cantieri- sempre a titolo gratuito, vezzo politico scorretto e falsamente virtuoso – ha consegnato le sue dimissioni. Il suo nome era circolato, nelle scorse settimane, tra i papabili assessori alla Cultura, dopo il passaggio di Francesco Giambrone all’Ente Teatro Massimo. Rumors infondati. “I Cantieri erano completamente abbandonati”, ci spiega. “Abbiamo dato il via all’operazione Zac forzando una serie di anomalie, per prima la mancanza di un certificato di agibilità, che tutt’ora non c’è: se avessimo atteso i tempi della burocrazia non avemmo ancora aperto. Le situazioni di emergenza, però, devono avere un termine. Servono  tutte le carte a posto e serve un modello di gestione, con dei contenitori amministrativi efficienti”.
Ma l’attestazione del fallimento c’è o no? “Chiamare questa esperienza un fallimento è un errore. Non abbiamo avuto strumenti, risorse ed apparati necessari, ma Zac resta il modello da cui ripartire. Quello che salverei? L’idea di cultura come azione dal basso, con i giovani artisti che, in quanto comunità, hanno avuto qui un luogo, una voce, una casa. Questa resta la mission politica dei Cantieri, voluta da me e dall’ex assessore Giambrone. Adesso manca la cornice. E il primo a riconoscerlo è il Sindaco, che sta sostenendo l’ipotesi di una Fondazione. Le mie dimissioni? Hanno senso proprio nell’ottica di un cambio di passo. La dimensione della gratuità, necessaria per ripartire, non deve protrarsi. Occorre avviare un percorso che valorizzi le professionalitàe il lavoro. Il mio gesto vuole solo accelerare questo processo di cambiamento, affinché i Cantieri possano diventare un’opera compiuta e dal futuro solido”.
Franco Maresco e Francesco Guttuso
Franco Maresco e Francesco Guttuso
E all’indomani di questa dipartita c’è già chi va all’attacco, preparando una lettera aperta per il Comune. Parliamo della neonata associazione Lumpen, lanciata da un gruppo di operatori palermitani nel campo delle arti visive, del cinema, del teatro, della tv, stretta intorno alla figura di Franco Maresco. “Riteniamo doveroso porre la questione di questa struttura al centro di un dibattito cittadino”, ci spiega uno dei fondatori,Francesco Guttuso, autore e regista. Che aggiunge: “Nel caso di Zac è mancata una selezione ferrea degli artisti. Troppa democrazia. L’Arte e la Democrazia difficilmente vanno d’accordo. Anzi, mai. Vogliamo parlare del Cinema De Seta? A parte alcune incomprensibili scelte strutturali dell’architetto, lo spazio è bellissimo ed è una risorsa per la città. Cosa manca? Una guida! Un paio di anni fa autorevoli firme nazionali avevano chiesto di affidare a Maresco la direzione artistica. Cosa è successo? Niente. Il De Seta è rimasto un contenitore senza progettualità, un cinema parrocchiale, un’Aula Magna scolastica adibita a convegni e proiezioni varie. Al di là di qualche rara eccezione, il livello è molto basso. Palermo merita di più”.
Torna, insistente, l’esigenza di un capitano al timone di questi spazi, oltre le logiche buoniste e ruffiane della cooperazione del basso, della gratuità, della rete non profit volontaria. La democrazia liquida, in casi come questi, è un’illusione perniciosa. Probabilmente furba. Sicuramente economica: ma a quale prezzo reale?
Andrea Cusumano e il sindaco Orlando
Andrea Cusumano e il sindaco Orlando
Fin qui le analisi del già fatto. Lo sguardo critico, la riflessione dolorosa sulle falle, i vuoti, le istanze. L’obiettivo? Provarci, di nuovo. E ci proverà – assicura – il giovaneAndrea Cusumano, che a sorpresa ha occupato la poltrona vacante di assessore alla cultura. Un artista. Un pittore. Un uomo di teatro, da anni assistente di Hermann Nitsch, tornato dall’estero per onorare l’incarico. Scelta coraggiosa. A cui, ancora una volta, si guarda con speranza. “L’idea è di far diventare i Cantieri una fondazione partecipata, possibilmente entro la fine dell’anno”, ci racconta. Tempistiche assolutamente improbabili, ma l’obiettivo è quello giusto. “Serve un chiaro piano di gestione e di risorse che possa consentirne la sostenibilità e garantirne l’apertura nel tempo. Vorrei coinvolgere più soggetti internazionali, ho già avuto contatti con il Libano, la Germania, il Regno Unito. Va rintracciata un’identità per questo posto”.
Parole responsabili, dietro cui si intravede una logica, opposta al vizio dell’improvvisazione. Ma dove trovare le economie? “Le risorse finanziarie sono poche, ma questo non giustifica la stasi, la rinuncia. Il modello assistenzialista legato al portafoglio pubblico è finito. Occupazioni, autogestioni? Sono segnali positivi che arrivano dalla gente, ma si tratta di strategie d’emergenza, non di pratiche sostenibili. Dobbiamo guardare ad altri modelli e far sì che cittadini ed amministratori collaborino in maniera strutturata, insieme al privato”.
Cusumano prova a esercitare uno sguardo lungo. E se sul piano dei principi fa chiarezza, su quello della concretezza chiede“tempo” e “pazienza”. Il tema delle direzioni artistiche per Zac e del De Seta, ad esempio: “In questa fase potrebbe rivelarsi un boomerang. Non voglio affidare a nessuno uno spazio che non abbia ancora la possibilità di essere gestito con successo”. L’appello alla fiducia, contro il pessimismo diffuso,  è la chiosa di questo statement.
Il cinema De Seta, ai Cantieri
Il cinema De Seta, ai Cantieri
E intanto Palermo, che ha bucato le prime selezioni per la candidatura a Capitale della Cultura 2019e che Legambiente inserisce tra le dieci città meno vivibili d’Italia, continua a girare in tondo, tra povertà, sporcizia, incuria, incapacità gestionali, assenteismi e inefficienze dirigenziali. Una città in sofferenza, che sta provando a sanare un buco economico clamoroso e che si incastona nella più opaca architettura della macchina Regione, luogo di dittature burocratiche, immobilismi, sprechi, assenza di progettualità. Una matrioska di congegni infernali che stritolano la migliore volontà del singolo di turno.
E auspicandosi – per provocazione – l’avvento di un commissariamento radicale, che piombi sull’isola ad azzerare la cancrena, il nemico resta quel sistema ottuso che sfracella ogni buona iniziativa contro la solita muraglia di pigrizia, corruzione o imbecillità. Perché quello che la Sicilia genera, la Sicilia distrugge; quello che la Sicilia intuisce, poi rinnega; quello che la Sicilia può, non fa. Mentre s’avvicina e s‘allontana, a intermittenza, il tempo di una primavera feroce e visionaria.
 Helga Marsala