giovedì 30 giugno 2016
appunti su Iseo e Christo
Floating Piers, delirio galleggianteby JLC |
di Luca Mercalli
È incredibile osservare l'ingenua e infantile gioia delirante un milione di persone che si sono precipitate a camminare sui pontili sintetici di Christo.
Persone che parlano di un'esperienza sublime, di emozioni forti, di incredibili sensazioni provate nel camminare su un telo di plastica posato su taniche vuote sopra le acque di un lago prealpino reso infrequentabile dalla folla. Le cronache sono del tipo: "Il popolo dei Piers non indietreggia di un millimetro. Non si lascia scoraggiare dalle code per salire su un treno, su una navetta o su un battello, né dal sole che trasforma la passerella - e i piazzali di Sulzano - in forni a microonde, tanto che ieri al tramonto sono tornati in azione gli idranti per rinfrescare la folla in attesa. La parola d'ordine è una sola: camminare su The Floating Piers, costi quel che costi" (da bresciaoggi.it).
Una situazione che, spogliata di tutto il costrutto mediatico-modaiolo che gli si è appiccicato sopra, è in realtà riconducibile a una semplice gita in battello: si cammina sulle acque e si ondeggia tra tante persone!
Si tratta un ennesimo evento di massa emblematico dei tempi che viviamo e della totale indifferenza alle conseguenze delle proprie azioni, ovvero il fatto che sia mancata qualsiasi riflessione sulla responsabilità ambientale di quest'opera d'arte (sebbene qualche critico abbia almeno voluto definirla una pagliacciata sul piano estetico e di costume).
I drammaticamente gravi significati simbolici che quest'opera si porta dietro non sono stati nemmeno sfiorati: il trionfo dell'usa e getta, del superfluo costoso, dell'artificializzazione della Natura.
Dal sito ufficiale dell'artista, assumiamo i dati tecnici:
- 220.000 cubi [di polietilene ad alta densità prodotto dalla F.lli Cane di Fondotoce/Verbania coadiuvata dalle aziende bresciane Asco Plast, Ziber Plast, Zetabi, Artigiana Stampi e Seven Plast] creano i 3 chilometri di The Floating Piers.
- 220.000 perni [sempre di polietilene] tengono insieme i cubi.
- 200 ancore del peso di 5,5 tonnellate l'una mantengono i 16 metri di larghezza del pontile in posizione [blocchi di cemento trasportati nelle posizioni finali da mezzi nautici grazie all’utilizzo di palloni industriali che, una volta raggiunta la postazione, sono stati svuotati dell’aria e hanno adagiato sul fondo le zavorre].
- 37.000 metri di corda connettono gli ancoraggi al pontile.
- 70.000 m2 di feltro ricoprono i pontili e le strade al di sotto del tessuto.
- 100.000 m2 di tessuto [in fibra poliammidica (Nylon), prodotto in Germania dalla Setex Textiles e confezionato dalla Luftwerkern di Lubecca] coprono i 3 chilometri di pontile e 2,5 chilometri di strada.
- 220.000 perni [sempre di polietilene] tengono insieme i cubi.
- 200 ancore del peso di 5,5 tonnellate l'una mantengono i 16 metri di larghezza del pontile in posizione [blocchi di cemento trasportati nelle posizioni finali da mezzi nautici grazie all’utilizzo di palloni industriali che, una volta raggiunta la postazione, sono stati svuotati dell’aria e hanno adagiato sul fondo le zavorre].
- 37.000 metri di corda connettono gli ancoraggi al pontile.
- 70.000 m2 di feltro ricoprono i pontili e le strade al di sotto del tessuto.
- 100.000 m2 di tessuto [in fibra poliammidica (Nylon), prodotto in Germania dalla Setex Textiles e confezionato dalla Luftwerkern di Lubecca] coprono i 3 chilometri di pontile e 2,5 chilometri di strada.
E il tutto per un'installazione della durata di sedici giorni, dal 18 giugno al 3 luglio 2016.
Dopodichè l'infrastruttura artistica verrà smontata e – sostiene il sito ufficiale “tutti i materiali utilizzati saranno riciclati attraverso un processo industriale”, non meglio specificato.
https://it.wikipedia.org/wiki/The_Floating_Piers
http://www.thefloatingpiers.com/manufacturing
http://www.thefloatingpiers.com/press/
http://www.thefloatingpiers.com/manufacturing
http://www.thefloatingpiers.com/press/
Vediamo le criticità ambientali:
- riciclo plastiche: il polietilene è relativamente facile da riciclare, i cubi verranno dunque ritirati dall'acqua e avviati a recupero, ma con trasporto dove? Il tessuto poliammidico, in parte sporcato e usurato, sarà meno facile da riciclare: di tutta questa filiera sarebbe importante disporre da parte dell'artista e delle autorità di igiene urbana locale una dettagliata e trasparente documentazione! Non sia mai che finisca tutto nel vicino inceneritore di Brescia...?
- energia grigia: anche se la plastica può essere riciclata, in genere ottenendo un materiale meno pregiato di quello originario, nessuno potrà ottenere la restituzione dell'energia spesa in fase di produzione e lavorazione;
- rilascio composti tossici nel lago: ci sono additivi potenzialmente rilasciabili dalla plastica nelle acque? Interferenti endocrini che costituiscono un problema ambientale e sanitario sempre più grave? Era necessaria una maggiore trasparenza, con certificati merceologici precisi sulla natura dei materiali impiegati.
- emissioni dei trasporti per la costruzione: ci è voluto circa un anno di lavoro di aziende italiane e tedesche per produrre, trasportare, immagazzinare e montare (e poi smontare) l'installazione. Un'attività che avrà comportato ingenti costi energetici, emissioni di CO2 e altri inquinanti, produzione di rifiuti, imballaggi, materiali accessori, incluso un sommergibile per le ispezioni del fondo lacustre.
- emissioni indirette per il trasporto passeggeri e per le attività di sicurezza: il colossale formicolare di persone che hanno invaso la zona ha provocato un carico critico sui mezzi di trasporto locale, la saturazione delle strade e inevitabilmente l'aumento di emissioni climalteranti e di rifiuti su base locale, nonché il mantenimento di un complesso sistema di vigilanza e sicurezza... a gasolio!
E ora i messaggi simbolici che l'opera d'arte comunica (o non comunica):
- si può fare tutto ciò che si vuole, basta pagare! Ma il prezzo dei danni ambientali non si bilancia con la moneta...
- una cosa che si smonta non lascia conseguenze! Ma ciò che non si vede è talora peggio di ciò che si vede... le emissioni climalteranti contribuiscono a deteriorare le condizioni di vivibilità dell'intero pianeta, i rifiuti industriali del processo produttivo dei materiali e quelli dispersi in acqua minano gli equilibri ecologici anche su tempi millenari.
- siamo già sommersi dai rifiuti plastici e purtroppo negli oceani galleggiano circa nuovi 5 continenti di plastica (*)! Altro che aggiungerne, bisognerebbe fare un'opera d'arte per rimuoverli!
(*) Ogni anno almeno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare. Unrapporto del World Economic Forum stima che ci siano attualmente 150 milioni di tonnellate di rifiuti plastici dispersi negli oceani, una tonnellata di plastica ogni cinque tonnellate di pesce, e che a questo tasso entro il 2050 nelle acque ci sarà più plastica che pesce! Le correnti marine concentrano queste enormi quantità di rifiuti in cinque principali “isole” galleggianti (oceani Indiano, Atlantico settentrionale e meridionale, Pacifico settentrionale e meridionale): http://www.5gyres.org/;www.plasticoceans.net.
- non inquina solo ciò che si vede, ma pure ciò che non si vede, dagli interferenti endocrini alla mobilizzazione del substrato: “Marco Pilotti, docente del dipartimento di Ingegneria civile, architettura, territorio, ambiente dell’Università di Brescia ed esperto del lago d’Iseo, ha condotto uno studio sull’impatto dell’opera sulla morfologia del bacino. Il molo galleggiante è ancorato al fondo del lago con [più di] 150 blocchi di cemento armato da sette tonnellate l’uno e il progetto prevede, al termine dell’esposizione, la rimozione totale dell’opera e lo smaltimento di tutti i materiali. «Il recupero dei cosiddetti corpi morti degli ancoraggi – spiega il professor Pilotti – farà solo del male al lago, perché solleverà i sedimenti del fondale. Le misurazioni che abbiamo fatto hanno rilevato che in quel terreno è contenuta una quantità di fosforo 15 volte maggiore a quella presente nei livelli superiori dell’acqua”.
http://lanuovaecologia.it/the-floating-piers-incombe-sul-lago-diseo/
http://hydraulics.unibs.it/hydraulics/?page_id=1720
http://lanuovaecologia.it/the-floating-piers-incombe-sul-lago-diseo/
http://hydraulics.unibs.it/hydraulics/?page_id=1720
- l'edonismo dissipativo, volgare e superficiale, attira assai di più che la contemplazione della biosfera, la nostra casa da cui tutto dipende! Chi, di questo milione di bipedi vociante su un palcoscenico naturale trasfigurato per l'esibizionismo di massa, si è domandato qualcosa su questo povero lago prealpino? Quanto è profondo, quanta acqua contiene, che relazioni ha con la società e con la storia, è un ambiente sano o compromesso? Come reagisce ai cambiamenti climatici?
- la Natura è sostituibile con l'artificio e si arriva a privilegiare il falso che assomiglia al vero (che viceversa viene distrutto). Afferma Christo: “Il telo color oro, cangiante, vuole rappresentare la spiaggia: la gente deve pensare di essere su una spiaggia in riva al mare, e camminarci sopra".
Ma perché mai bisogna immaginare una spiaggia di plastica? Perché non godere di una spiaggia vera, magari proteggendola proprio dall'affronto degli onnipresenti rifiuti in plastica che la deturpano?
E ancora, invita Christo, “Ascoltate il racconto della vita - Questo progetto fisico non è un museo, ma un progetto reale, riguarda le cose vere, sole, pioggia, vento". Accidenti! Sole, pioggia e vento erano già lì da milioni di anni, ed è proprio l'opera d'arte ad essere quanto più falsa, artefatta e improbabile in quel contesto! Con le parole si può proprio costruire di tutto, mostrare vero ciò che è falso e viceversa! Il problema sono i gonzi che ci cascano...
- il denaro – 15 milioni di euro più le spese pubbliche per la logistica e la sicurezza -poteva essere speso per impieghi più sostenibili, utili e durevoli;
- le folle si attirano con il capriccio e la bizzarria, mentre sui temi importanti per la nostra stessa sopravvivenza, come l'epocale e inedita crisi ambientale che si sta sviluppando, l'interesse è sempre marginale, per non dire nullo;
- l'arte dovrebbe essere veicolo di riflessione sulla contemporaneità, qui Christo rivela invece la sua senescente visione di un mondo sintetico ormai incompatibile con i processi biogeochimici. Contrappongo al vecchio Christo l'artista thailandese Nino Sarabutra (è una donna, nonostante il nome in italiano suoni maschile), che ha concepito un'opera molto significativa, esposta anche alla biennale di Venezia 2015 e che ho provato con i miei piedi: 100.000 piccoli teschi di porcellana che coprono il pavimento come ciottoli di fiume, sui quali si è invitati a camminare a piedi scalzi ponendoci la domanda “che mondo lasciamo dietro di noi?”
“I want people to ask themselves how they live, what they are doing— if today was your last on earth, what will you leave behind?” Nino Sarabutra, 2013
http://www.ninosarabutra.com/exhibition_WhatWillYouLeaveBehind.html
http://www.ninosarabutra.com/exhibition_WhatWillYouLeaveBehind.html
L'artista thailandese Nino Sarabutra e la sua opera "What will you leave behind?",
qui esposta alla Biennale di Venezia 2015, che invita alla riflessione sulle conseguenze delle nostre azioni e sul mondo che lasceremo alle generazioni future tramite una camminata a piedi scalzi su migliaia di piccoli teschi di porcellana.
Possono sembrare considerazioni fastidiose, respinte ed etichettate come seccature che guastano il festoso pellegrinaggio, ignorano i soldi che hanno irrorato il turismo locale e alimentato la retorica dell'Italia capace di grandi opere... eppure sono lo specchio di unasocietà che rifiuta di confrontarsi con il più grande problema mai sorto da quando l'uomo è sulla Terra, l'insostenibilità dell'Antropocene e la sempre maggiorprobabilità di collasso della civiltà.
Dunque, tutti gioiosamente avanti verso il baratro...
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* Meteorologo, divulgatore scientifico e climatologo italiano. Tra i suoi ultimi saggi, "Prepariamoci" (ed. Chiarelettere)
Pubblicato su Nimbus.it, l'ottimo sito ufficiale della Società Meteorologica Italiana,
la maggiore associazione nazionale per lo studio e la divulgazione di meteorologia, climatologia e glaciologia
cannabis assolta
Il dottor Cannabis è stato assoltoby JLC |
Il medico Fabrizio Cinquini è stato giudicato innocente. La detenzione delle 24 piante di cannabis utilizzate per scopo terapeutico non possono costituire reato. Cinquini si augura che la sentenza possa servire anche ad altri
Assolto. Finisce la persecuzione giudiziaria per Fabrizio Cinquini, il medico versiliese noto simbolo della battaglia per la libertà di ricerca sulla cannabis terapeutica. Il tribunale di Lucca lo ha assolto dall’accusa di coltivazione ai fini di spaccio, in seguito al ritrovamento di ventiquattro piante di cannabis la scorsa estate non lontano dalla sua abitazione. Gli avvocati Carlo Alberto Zaina, e Stefano Franchi, attraverso la perizia hanno dimostrato che sedici piante contenevano percentuali di Thc estremamente basse sostenendo che non si potesse parlare di offensività della condotta. “Rimanevano otto piante che presentavano una percentuale del 5 per cento per un Thc pari a gr. 19” scrive l’avvocato Zaina. “Credo sia evidente che il giudice abbia accolto la tesi che un simile quantitativo, se mai Cinquini avesse inteso teoricamente porlo sul mercato, per il suo modico peso non potesse accrescere affatto sensibilmente l’offerta illecita”.
Grande soddisfazione e serenità per Fabrizio Cinquini che abbiamo contattato nella sua casa di Forte dei Marmi. “Sono contento e anche un po’ sorpreso. Spero che questa sentenza serva per dare coraggio a tante persone che hanno necessità di utilizzare la canapa per motivi terapeutici e che vivono nel terrore della persecuzione”.
Tra quarantacinque giorni comunque arriveranno le motivazioni scritte del tribunale. Il dottor Fabrizio Cinquini (intervistato nel numero di giugno di Terra Nuova) con la presentazione del suo libro Dottor Cannabis, il 5 luglio dello scorso anno era stato trovato dai carabinieri, probabilmente avvertiti da qualche vicino, mentre era intento a curare le piante contravvenendo l’obbligo di dimora al quale era sottoposto. Una coltivazione che il medico aveva sempre rivendicato e non effettuato di nascosto, al punto da ospitare alcune troupe televisive, in un terreno contornato di abitazioni.
Molti in Italia conoscono Cinquini come il medico pro cannabis, che con ostinazione e coraggio ha portato avanti la sua ricerca e attività di selezione di questa pianta per finalità terapeutiche e si è più volte autodenunciato come libero coltivatore alle forze dell'ordine. Chi lo conosce un po' meglio sa che la sua è una battaglia per la libertà, rivolta soprattutto contro la stupidità e l'arroganza, prima ancora che contro le grandi lobby farmaceutiche. Al di là delle sue competenze in ambito neurochirurgico e farmacologico, Cinquini sfugge alle catalogazioni, vuoi per le conoscenze acquisite in materia di ipnosi, fisica quantistica, genetica o arti marziali.
Per dirla tutta appellativo di dottor Cannabis gli va un po' stretto. “Se dovessimo valutare il rimedio che più spesso ho prescritto ai miei pazienti” racconta con ironia “il soprannome più corretto dovrebbe essere scelto tra dottor Allium, dottor Citrum, dottor Ginko Biloba, dottor Ginseng, dottor Water, dottor Aloe, dottor Yoga”.
Ma inevitabilmente quanto si parla di Fabrizio Cinquini si parla della cannabis, omarijuana che dir si voglia, che come dimostra la letteratura scientifica ha un campo di applicazione terapeutica molto vasto. E viene sempre da pensare che tutto questoaccanimento proibizionista nei confronti di un vegetale sia imputabile proprio alla sua versatilità, che insidia gli interessi dell'industria petrolchimica. “Non abbiamo ancora scoperto tutto sul sistema cannabinoide” chiosa Cinquini nel capitolo finale del suo libro “ma quel poco che sappiamo, ci obbliga a restituire a questa sacra pianta, il rispetto, che pochi malfattori, per i loro biechi interessi, le hanno tolto” .
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Vedi il numero di giugno di Terra Nuova con l'intervista a Fabrizio Cinquini
scarpe e salari da fame
Scarpe “made in Europe” e salari da fameby Riccardo |
Il «made in Europe» è spesso considerato una garanzia di qualità e di buone condizioni di lavoro. Numerose inchieste della Dichiarazione di Berna (DB) e di suoi partner internazionali hanno però rivelato un lato nascosto dell'industria calzaturiera, dalle concerie toscane fino alle fabbriche dell'Est Europa. Scarpe «italiane» o «tedesche» ma in realtà prodotte in fabbriche in Slovacchia o in Polonia, dove decine di migliaia di operaie lavorano in condizioni scandalose e per salari spesso inferiori a quelli retribuiti in Cina
Nel 2014 nel mondo sono stati prodotti 24 miliardi di paia di scarpe. Benché la maggior parte provenga dall'Asia; il 23 per cento delle scarpe di pelle, più costose, viene prodotto in paesi europei, fra i quali spicca l'Italia. È inoltre in Italia che avviene il processo di conciatura del 60 per cento di tutto il cuoio prodotto nell'Unione Europea. Questo compito gravoso viene spesso affidato ai lavoratori immigrati, un fenomeno ben visibile nelle concerie intorno a Santa Croce, in Toscana. A tough story of leather (PDF, 1.7 MB) è un'indagine che descrive la realtà di queste migliaia di lavoratori che quotidianamente maneggiano carichi pesanti e sostanze chimiche senza protezioni adeguate. Diversi operai hanno sviluppato allergie in seguito al contatto con sostanze tossiche, altri addirittura tumori; gli incidenti sono frequenti.
Non di rado le fasi più onerose della produzione vengono esternalizzate in paesi dell’Est Europa, consentendo così alle marche italiane e tedesche di trarre profitto dalla manodopera a basso costo e dai tempi di produzione più brevi. Nel rapportoLabour on a Shoestring (PDF, 3.4 MB), la DB entra nelle fabbriche di sei paesi dell'Est Europa per raccontarne le difficili condizioni di lavoro. In Albania, Macedonia e Romaniail salario minimo si situa fra i 140 e i 156 euro mensili, cifre inferiori a quelle previste in Cina. Per poter mantenere le proprie famiglie le operaie dovrebbero guadagnare da quattro a cinque volte tanto. Venendo pagate in base al numero di articoli prodotti, spesso le lavoratrici preferiscono poi rinunciare ai guanti o ad altro materiale di protezione contro le colle e le sostanze chimiche che devono maneggiare, così da poter lavorare più rapidamente. Similmente all'industria tessile, il settore calzaturiero è affetto da problemi strutturali che non si fermano di fronte alle frontiere europee.
La nostra indagine mostra anche che marche e rivenditori non si interessano abbastanza alle condizioni di lavoro nelle fabbriche in cui le scarpe vengono prodotte. Ci siamo rivolti a 28 aziende, di cui 8 svizzere. Bally, Navyboot, Pasito-Fricker, Rieker e Vögele Shoes non hanno ancora fornito alcun riscontro. Bata, Manor e Migros hanno invece risposto, ma non assicurano che le operaie degli stabilimenti dai quali si riforniscono percepiscano un salario dignitoso. La DB chiede alle marche e ai rivenditori di assumersi le proprie responsabilità e di mettere in atto le misure necessarie affinché il rispetto dei diritti umani sia garantito sulla totalità della loro catena di produzione. Soprattutto, che si impegnino perché agli operai ed alle operaie venga versato un salario dignitoso.
Qui maggiori informazioni.
Géraldine Viret, Dichiarazione di Berna, viret@ladb.ch
Fonte: Dichiarazione di Berna
ripensare il mondo
Tutto è in relazione. Ripensare il mondoby JLC |
di Alessandro Pertosa
L’ultimo saggio di Maurizio Pallante, Destra e sinistra addio, uscito per i tipi di Lindau, è in un certo senso il sedimentato culturale di un processo di evoluzione teorica cominciato dall’autore ormai vent’anni fa, con Le tecnologie d’armonia (Bollati Boringhieri, Torino 1994), e proseguito con l’elaborazione della sua «decrescita felice», che si caratterizza per i richiami all’autoproduzione e alla proposta di riduzione selettiva di tutte quelle merci che non sono beni, e che in alcun modo possono diventarlo.
Da decenni Pallante critica il modo di produzione industriale della società tecnologico-capitalista, che si sta dirigendo - ormai, forse, senza alcuna possibilità di recupero - verso la catastrofe. Tuttavia in questa sua ultima fatica, non si limita ad osservare gli aspetti critici della razionalità economica occidentale, ma si spinge fino al cuore. Al centro. E spingersi al centro significa mettere in discussione le categorie culturali e politiche che hanno creato le condizioni per considerare positivamente l’attuale modo di produzione industriale, responsabile di una crescita economica - con annesso disastro ambientale - senza precedenti. E le categorie fondamentali di cui si parla sono quelle della destra e della sinistra. Parole, queste, che negli ultimi duecento anni hanno distinto chi riteneva le diseguaglianze tra gli esseri umani costitutive e naturali (destra), e chi al contrario le considerava di origine sociale, e quindi riducibili con accorgimenti politici ed economici adeguati (sinistra).
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Il saggio Destra e sinistra addio si manifesta al momento opportuno. E non solo, si badi, perché la politica italiana (ma è forse diverso altrove, nel vasto mare occidentale?) palesa una mediocrità costitutiva, ma proprio perché destra e sinistra operano ovunque sulla base di una comune valutazione positiva del modo di produzione industriale, ch’è ormai giunto al capolinea. Entrambe considerano le rivoluzioni industriali un progresso rispetto al passato, salvo poi distinguersi quanto alla modalità di distribuzione dei benefici. Entrambe hanno concorso a spingere masse di persone dalle campagne alle città, trasformando milioni di contadini in milioni di proletari al servizio del grande capitale. La storia ha poi mostrato che le politiche della destra sono più efficaci per far crescere l’economia e la competizione di quelle di sinistra. E i risultati di questa razionalità sventurata sono, ormai, sotto gli occhi di tutti.
Ma veniamo al saggio. Per capirne appieno il senso è necessario intanto riflettere sul titolo.Dire Destra e sinistra addio non equivale a sostenere che la destra è uguale alla sinistra. D’altronde lo stesso autore mette più volte in risalto le differenti pulsioni: quelle della destra alla disuguaglianza, e della sinistra all’uguaglianza. Ma la pulsione all’uguaglianza, è questo un nodo cruciale, non è prerogativa assoluta della sinistra. Pallante afferma a ragione, infatti, che la pulsione all’uguaglianza preesiste alla sinistra e le sopravviverà.
A partire da questa considerazione, diventa fondamentale allora soffermarsi sul sottotitolo del saggio: Per una nuova declinazione dell’uguaglianza. È appunto qui il segreto: l’uguaglianza. L’uguaglianza oltre la sinistra.
Questa impostazione, per essere compresa appieno, richiede una riconsiderazione ontologica del tutto. Necessita di un ripensamento delle relazioni in senso orizzontale non solo fra esseri umani, bensì anche fra esseri umani e contesto naturale (di cui l’essere umano fa parte). L’uomo non è più il signore della terra, ma è un modo d’essere fra altri modi d’essere che compartecipano all’unico essere. Pallante nota, allora, come per ripensare la società in modo ecologicamente sostenibile, sia fondamentale mettere in discussione l’antropocentrismo che caratterizza l’occidente in senso violento.
In queste pagine, mi pare si aprano spazi nuovi, utopie che baluginano all’orizzonte e che - richiamandosi esplicitamente a una spiritualità costitutiva dell’essere - creano le condizioni per un ripensamento cosmocentrico della cultura, della società, della politica e del mercato.
Destra e sinistra, conservatori e progressisti sono figure della contrapposizione, figlie della scissione ontologica, dell’opposizione tra la tesi e l’antitesi in vista di una sintesi, che in qualunque modo la si metta, è sempre violenta. Pallante, invece, invita a ripensare il mondo, e le parole che lo costituiscono, ripartendo dal singolo che non si pone più su un piedistallo rispetto al contesto. E quel singolo-in-relazione è il medesimo a cui si rivolge anche papa Francesco nella sua Laudato si’: «Bisogna operare il bene, dal momento che il male esercitato sul mondo è male fatto a se stessi».
Tutto è in relazione. Perché l’essere è tutto, e niente è fuori dall’essere.
Questa nuova visione del mondo è troppo grande e complessa per poter essere espressa e compresa politicamente dalle categorie di destra e di sinistra. Qui c’è di più. C’è quella visione del mondo che si sottrae alla volontà di sopraffazione per lasciarsi dire ancora, ancora e ancora da una parola polisemica, che spalanca spazi di poesia. Quella poesia delvivere in comunione col creato e con la natura a cui tutti noi afferiamo, senza distinzione.
In questo senso - e per molti altri, che ognuno di voi saprà indicare - Destra e sinistra addio è un libro che si manifesta in un tempo opportuno. Perché se ci sarà ancora la possibilità di un domani, destra e sinistra dovranno appartenere necessariamente a un dolorosissimo passato.
fermare i tabelloni con i voti?
Basta con i tabelloni dei voti scolasticiby JLC |
Aboliamo i tabelloni con i risultati scolastici:
basta con tragedie o insulse esultanze!
di Rete di Cooperazione educativa C'è speranza se accade @
e Movimento di Cooperazione educativa
Alla fine di ogni anno scolastico le scuole primarie e secondarie espongono i quadri degli esiti scolastici. La legge e il Garante per la privacy consentono di rendere noti i nomi e cognomi di tutti gli alunni, divisi per classe frequentata, e i voti conseguiti da ciascuno, materia per materia.
A pochi minuti dalla pubblicazione, successi e fallimenti sono già oggetto di animati passaparola tra le famiglie, condivisioni in rete, critiche, commenti, scherni. Senza avere il tempo di riflettere ed elaborare le informazioni, i ragazzi si ritrovano al centro di due grandi piazze. La prima è la piazza fisica, che comprende compagni di scuola e famigliari. La seconda è la piazza virtuale, spesso spietata e incapace di dimenticare: basta cercare con Google “tabelloni voti” ed ecco che appaiono, scuola per scuola, i risultati degli ultimi dieci anni.
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La competizione deve animare le imprese e le istituzioni. intanto penetra nella vita di ogni giorno. Nella scuola, ci dicono, va incoraggiata prima di tutto la meritocrazia. Non c'è tempo per le relazioni, non c'è spazio per le fragilità
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Oggi che il 31,9 per cento degli allievi iscritti alle scuole superiori italiane non completa il corso di studi (il 45 per cento di questi ragazzi resterà poi disoccupato) e che ogni anno 40mila studenti abbandonano la scuola tra la fine di un anno scolastico e l’inizio del successivo*, è indispensabile e urgente adottare strategie più efficaci per tutelare i minori nel corso della loro carriera scolastica. Il pensiero va soprattutto agli studenti che attraversano momenti di fragilità e incertezza ma anche ai più meritevoli che, anche a causa di questo rito della pubblicazione, sono spinti ad attribuire un’importanza eccessiva al voto numerico, a scapito della loro maturazione globale.
Lo studente è un individuo in divenire, il cui benessere fisico ed emotivo dipende fortemente dalla capacità della scuola di accoglierlo in un contesto protetto, rispettoso e non svalutante. A tale fine si chiede al Garante della privacy di vietare l’esposizione pubblica dei quadri finali degli esiti scolastici sia in forma cartacea che elettronica, perlomeno nelle classi intermedie del primo e secondo ciclo e, possibilmente, anche in quelle di fine ciclo e soggette a esami.
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Questa petizione sarà consegnata a: MIUR e Garante Privacy
fermare il disastro di Kendeng è possibile
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rifiuti free è possibile
ESA-COM SPA. 16 COMUNI “RIFIUTI FREE” (SU 19)
ACQUISTI VERDI DELLA PA: LA SARDEGNA FA SCUOLA
PROGETTO SMILE, IN LIGURIA SI TORNA A SORRIDERE
TURISMO E RIFIUTI: IL TRENTINO RISPONDE
TARIFFAZIONE PUNTUALE: SUCCESSO ANCHE A TREVISO
I COMUNI RIFIUTI FREE IN TOSCANA SONO TARGATI PUBLIAMBIENTE
ESA-Com SpA (Eco Servizi Ambientali Comunali) è una società veneta (Nogara, VR) operante nel campo dei servizi ambientali dal 2000. La società è a capitale interamente pubblico e serve attualmente 19 comuni della parte meridionale della provincia di Verona e prevede nel prossimo futuro anche l’affidamento del servizio da parte di ulteriori Comuni che porteranno il bacino di utenti serviti alla soglia delle 100mila unità.
Alla società nogarese sono state affidate le attività di raccolta e trasporto rifiuti solidi urbani, della TARES, il servizio di gestione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi ed anche i servizi complementari di pulizia e spazzamento sul territorio dei Comuni gestiti.
ESA-Com SpA rappresenta ormai una realtà consolidata nel mondo della corretta gestione dei rifiuti, tant’è che nell’edizione del 2015 di “Comuni Ricicloni” si è classificata al 4° posto in Italia tra i consorzi e le società di gestione per quanto riguarda la differenziazione dei rifiuti e prima in provincia di Verona (le prime due posizioni erano occupate da aziende del trevigiano a conferma che il Veneto è capofila tra le Regioni che meglio gestiscono questa “risorsa”), con un risultato di raccolta differenziata media dei comuni serviti dell’80,2%.
Il raggiungimento di tali risultati si deve molto alle nuove strategie adottate che si muovono principalmente in tre direzioni:
- ridurre al minimo i passaggi dei mezzi per la raccolta (es. la raccolta del secco indifferenziato è passato già dal 2013 da settimanale a quindicinale e nei casi di Isola Rizza, Roverchiara e San Pietro di Morubio, una volta ogni quattro settimane, il tutto reso possibile dalla raccolta separata di pannolini e pannoloni);
- campagne di comunicazione e sensibilizzazione ambientale rivolte ai cittadini, con un’attenzione particolare alle classi primarie del territorio, con laboratori didattici e rappresentazioni teatrali (es. lo spettacolo “Lina farfallina”, affidato a Maurizio Corniani, dell’omonima famiglia di burattinai attiva a Mantova sin dal secondo dopoguerra, e destinato alla fascia d’età tra i 4 e i 9 anni);
- tariffa puntuale a svuotamento della frazione organica avviata dal 2014.
Una delle novità introdotte dalla società riguarda appunto la frazione organica (FORSU). ESA-Com SpA ha dotato i cittadini di contenitori da 23 lt muniti di transponder ad alta frequenza che consentono una puntuale verifica dell’utente e del numero di sversamenti effettuati. I cittadini che invece non hanno ritirato il contenitore, si sono attivati per il compostaggio domestico.
Inoltre altro grande beneficio è stato dato dalla la separazione tra la raccolta del secco e quella di pannolini e pannoloni (gettati nel sacco viola e avviati allo smaltimento per la produzione di energia), che ha permesso a 16 comuni sui 19 serviti dalla società di potersi fregiare del titolo di comuni rifiuti free, ovvero con una produzione di RSU inferiore ai 75 kg annui per abitante.
Queste buone pratiche di raccolta e gestione dei rifiuti hanno garantito un contenimento dei costi di servizio fissando il costo medio per il 2015 a 94€ per abitante, in cui i costi per lo smaltimento incidono per circa 24€.
ACQUISTI VERDI DELLA PA: LA SARDEGNA FA SCUOLA
"Approccio in base al quale le Amministrazioni Pubbliche integrano i criteri ambientali in tutte le fasi del processo di acquisto, incoraggiando la diffusione di tecnologie ambientali e lo sviluppo di prodotti validi sotto il profilo ambientale, attraverso la ricerca e la scelta dei risultati e delle soluzioni che hanno il minore impatto possibile sull’ambiente lungo l’intero ciclo di vita”. Così a metà degli Novanta la Commissione Europea definiva il concetto di Green Public Procurement o Acquisti verdi della Pubblica Amministrazione (GPP) introducendolo all’attenzione delle amministrazioni continentali.
In Italia, dove le direttive europee in termini di “acquisti verdi” sono state recepite già dal 2003 (DM n.203 del 8.5.2003), una delle realtà che maggiormente ha recepito le indicazioni della Commissione è la Regione Sardegna che, già dal 2007, si è impegnata ad adottare questa politica degli acquisti pubblici ecologici, avviando un percorso volto a sostenere il cambiamento dei modi di acquisto e consumo di beni e servizi all’interno dell’amministrazione regionale e presso gli enti locali che ha portato all’adozione del PAPERS - Piano per gli Acquisti Pubblici Ecologici della Regione Sardegna (DGR n.37/16 del 30.7.2009).
Prima Regione del Paese a dotarsi di un “Piano d’azione regionale per gli acquisti verdi”, la Sardegna punta da quasi 10 anni ad una forte riduzione dell’impatto e degli sprechi, conseguenze di un’amministrazione poco attenta alle tematiche ambientali. La razionalizzazione della spesa pubblica parte innanzitutto dalla diffusione di una cultura attenta a contenere i consumi non necessari e tramite la diffusione di un approccio più corretto per valutare il prezzo del bene/servizio oggetto dell’acquisto.
Con gli acquisti verdi perciò l'ente pubblico decide di effettuare un acquisto (che sia un bene o un servizio) attribuendo valore non solo alla qualità del prodotto e al suo prezzo, ma anche all'impatto ambientale del ciclo di produzione. Infatti, se accanto al prezzo si considerano i costi connessi all’utilizzo, come energia o materiali di consumo, e allo smaltimento del prodotto, si possono fare scelte d’acquisto convenienti dal punto di vista economico-finanziario in un’ottica di medio-lungo periodo.
La riduzione dell’impatto delle PA si riflette sull’ambiente nelle fasi principali della vita di qualsiasi bene a partire dalla sua produzione con una riduzione del consumo delle materie prime e di energia e minori emissioni nocive (e quindi minori rischi anche per la salute). Inoltre, per quanto riguarda la fase finale nella vita di un prodotto, ossia il suo smaltimento, spesso la più critica, gli “acquisti verdi” prevedono maggiori possibilità di riutilizzo e quindi una minore produzione di rifiuti.
L’amministrazione dell’isola, per dare un maggiore impulso a questa politica eco-friendly ha istituito il Marchio “La Sardegna Compra Verde”. Questa iniziativa vuole inoltre essere uno strumento di valorizzazione e riconoscimento per gli enti pubblici sardi (Comuni, Province, ASL, Università, Enti parco, Agenzie ed Enti Regionali, ...) che dimostrino di aver intrapreso una politica di Green Public Procurement ed i risultati raggiunti con la sua adozione.
Ultima in ordine di tempo ad aver approvato una delibera in tal senso, è l’amministrazione del Comune di Nuoro. Questo provvedimento, proposto dall’assessore all’Ambiente Giuliano Sanna, prevede l’introduzione dei criteri ambientali minimi nelle procedure di acquisto di beni e servizi, l’istituzione di un gruppo di lavoro per progettare e controllare le azioni di promozione degli acquisti verdi e sensibilizzare i dipendenti alla riduzione degli sprechi nella Pubblica Amministrazione. Buone pratiche che se provengono in primis dalle istituzioni acquistano maggior peso sociale. “La vera speranza – chiosa l’assessore Sanna – è che questo genere di politiche pubbliche possano innescare comportamenti virtuosi da parte di cittadini ed imprese, facendo di Nuoro una comunità sempre più educata al rispetto per l’ambiente.”
PROGETTO SMILE, IN LIGURIA SI TORNA A SORRIDERE
Uno dei maggiori problemi ambientali del nostro tempo è senza dubbio rappresentato dall’inquinamenti dei mari: migliaia di tonnellate di rifiuti che, trasportati dalle correnti, formano ammassi galleggianti di centinaia di migliaia di km² di dimensione. Le correnti oceaniche convogliano i rifiuti (prevalentemente plastica) verso i 5 maggiori vortici subtropicali (due nell’Oceano Pacifico, due nell’Oceano Atlantico e uno nell’Oceano Indiano), formando le cosiddette “isole di spazzatura”. La maggiore di esse, la Great Pacific Garbage Patch (Grande chiazza d’immondizia del Pacifico), è stata individuata nel 1997 dall’oceanografo Charles Moore all’incirca fra il 135º e il 155º meridiano Ovest e fra il 35º e il 42º parallelo Nord.
Il Mediterraneo, pur essendo un mare chiuso, sprovvisto delle potenti correnti che solcano gli oceani, non è esente da questo grave problema, come evidenzia “Beach Litter”, l’annuale indagine realizzata e curata da Legambiente per monitorare lo stato delle spiagge italiane.
In questo scenario si inserisce il progetto SMILE (Strategies for MarIne Litter and Environmental prevention of sea pollution in coastal areas), finanziato dall’Unione Europea tramite il programma Life+ e che ha coinvolto anche ARPAL, Legambiente Liguria e OPLA (Osservatorio Ligure Pesca Ambiente), che mira alla riduzione dei rifiuti marini nelle aree costiere. La loro presenza può mettere a rischio l’equilibrio degli ecosistemi e delle specie che li abitano. Dallo stato dell’ambiente in cui viviamo dipendono molti aspetti importanti della nostra vita quali la salute, la qualità della vita, l’economia del territorio.
Questa iniziativa riguarda il territorio dei comuni di Pietra Ligure, Magliolo, Giustenice e Tovo San Giacomo nella zona del Torrente Maremola, coinvolgendo 13mila abitanti, di cui circa il 70% a Pietra Ligure, centro del savonese che durante il periodo estivo raggiunge picchi di 50/60 mila presenze, con tutti i problemi che un tale afflusso turistico porta con sé.
Si tratta di un progetto di studio dei rifiuti che dal torrente giungono al mare e l’aspetto più interessante riguarda il coinvolgimento diretto dei cittadini. È stata infatti elaborata un’app, la prima in Europa, chiamata “Trashpic”, per inviare segnalazioni e fotografie alle amministrazioni o alla società incaricata, che, tramite la geolocalizzazione, ha potuto provvedere ad un rapido intervento.
Le tre campagne annuali di monitoraggio dell’ARPAL a partire dal 2014 hanno rivelato una prevalenza di rifiuti plastici, sempre tra il 70 e l’80% del totale censito. Tra le classi di utilizzo dei rifiuti, è stata evidente un’inversione di tendenza nella presenza di mozziconi di sigarette, che è passata da un 25% rilevato nel 2014 ad appena il 4% nel 2016. Un risultato ottenuto anche grazie alla campagna di sensibilizzazione promossa dal Comune nel periodo estivo, attraverso il progetto “Spiaggia parlante” (cartelloni a forma di fumetti installati sulle spiagge) e la distribuzione di posacenere portatili. Rimane tuttavia rilevante la categoria degli oggetti “non identificabili”, come ad esempio i frammenti di plastica di dimensione inferiore ai 2,5 cm, che si trasformano a loro volta in microplastiche (<5 mm), principali responsabili dell’inquinamento nella catena trofica delle specie marine.
«Il comune di Pietra Ligure è sensibile a 360° alle questioni ambientali – dichiara l’assessore all’Ambiente Paolo Fontana – e la Regione Liguria è rimasta soddisfatta al 100% e vuole espandere questo progetto ad altre aree».
Anche dalla sezione regionale di Legambiente l’entusiasmo è alto per i risultati di un progetto che «ha unito ricerca, innovazione, gestione ambientale e relazione con le comunità – commenta Santo Grammatico, Presidente di Legambiente Liguria – in una regione dove il rapporto tra costa e entroterra è particolarmente complicato. I torrenti sono stati considerati per troppo tempo solo come corridoi per ospitare infrastrutture stradali o utilizzati come discariche di rifiuti o reflui fognari da cittadini irresponsabili. Le attività di sensibilizzazione sviluppate hanno dato un grande contributo per iniziare a riflettere sul rapporto ecologico tra i materiali post consumo e i nostri torrenti, mettendo l’accento sulla necessità di migliorare la raccolta differenziata e tutelare i nostri corsi d’acqua dall’inquinamento e dal dissesto idrogeologico, aspetti che se vengono trascurati hanno un effetto devastante sui comuni costieri.”
TURISMO E RIFIUTI: IL TRENTINO RISPONDE
I flussi turistici rappresentano spesso un problema per quanto riguarda la gestione dei rifiuti: mancanza d’informazione e un comportamento inadeguato del turista (soprattutto se occasionale) si riflettono spesso in un abbassamento della qualità della raccolta.
Questo problema si acuisce in quelle realtà che hanno lunghi periodi in cui il territorio accoglie nuovi abitanti “a tempo” come ad esempio le zone montane, che vivono sostanzialmente due differenti stagioni turistiche ogni anno: quella invernale, basata sul periodo di apertura degli impianti e limitata nello spazio, e quella estiva, che va a toccare il territorio nel suo complesso.
Il problema si autoelimina quando il turista soggiorna presso delle strutture alberghiere, le quali si occupano della separazione dei rifiuti. Per quanto riguarda le seconde case, in cui il turista viene coinvolto direttamente nella gestione del rifiuto che produce e che spesso deve adattarsi ad un sistema completamente diverso da quello a cui è abituato, la questione diventa più complessa e difficilmente controllabile da parte delle amministrazioni e delle società incaricate.
Due esempi di corretta gestione in comuni montani che vivono molti mesi di turismo all’anno vengono dal Trentino: la AMNU S.p.A. che opera sul territorio della Comunità Alta Valsugana e Bersntol e la FIEMME SERVIZI S.p.A. che si occupa della gestione del ciclo integrale dei rifiuti solidi urbani e della raccolta differenziata nell’omonima valle.
Entrambe le società hanno introdotto da tempo il sistema di tariffazione puntuale (e ancor prima il sistema di raccolta porta a porta), rispettivamente dal 2006 (anno in cui la totalità dei 18 comuni che AMNU S.p.A. serve sono passati a tariffazione puntuale) e dal 2007. Questo metodo contributivo, che sta prendendo piede in molte aree del Paese, prevede una parte fissa ed una variabile in base all’effettiva produzione di rifiuti (calcolata in base al numero di svuotamenti e, in alcuni casi, in base al peso reale del rifiuto conferito), incentivando il cittadino a differenziare il più possibile e ridurre la quantità di secco residuo. Tuttavia le due società hanno deciso una diversa modalità di applicazione del tributo. La parte variabile che i cittadini della Val di Fiemme pagano è legata agli svuotamenti del contenitore della frazione non riciclabile ed è quindi effettivamente differente per ciascun nucleo familiare, con una base minima sotto la quale non si può andare, mentre AMNU S.p.A. ha stabilito dal 2009 che tutti i comuni interessati devono pagare la stessa quota fissa e la stessa quota variabile, spalmando su tutto il territorio i costi indipendentemente dalla reale produzione del singolo individuo, una sorta di “socialismo del rifiuto”. «Abbiamo notato che le differenze erano minime tra i comuni – spiega il dott. Michele Casotti, responsabile commerciale di AMNU – l’unica differenza sono i costi dello spazzamento stradale, ovviamente un comune di 20mila abitanti come Pergine Valsugana ha una necessità diversa da uno di mille». Per le seconde case ci sono delle agevolazioni: la tariffa prevede d’ufficio 2 occupanti (in base ad una ricerca in media sono 2,5) ed una riduzione del 50% della parte variabile.
Poco più a nord invece, nella valle scavata dal torrente Avisio, la FIEMME SERVIZI S.p.A. ha invece varato il progetto turismo “per soddisfare le esigenze degli ospiti della valle che si trovano in difficoltà quando devono ripartire per tornare a casa”. «Dal momento che spesso le partenze non coincidono con i giorni di raccolta – chiarisce il dott. Andrea Ventura, direttore della società – è possibile esporre il sacco rosso contente il secco residuo prima della partenza. Allo stesso modo va utilizzata la “compobox”, una scatola di cartone per lo smaltimento del rifiuto organico e che ha la stessa funzione del bidone dell’umido». Ovviamente si tratta di una soluzione escogitata per venire incontro all’esigenza di gettare l’ultimo rifiuto al termine del soggiorno e per evitare che venga disperso sul territorio, durante la permanenza vanno comunque utilizzati i bidoni per il secco e per l’organico.
Queste buone pratiche di gestione dei rifiuti rispondono all’esigenza dei territori turistici che sono i più vulnerabili in questo senso, dovendo far fronte ad un aumento temporaneo di popolazione che usufruisce del territorio in tutti i suoi aspetti ed ovviamente genera rifiuti che spesso non vengono separati correttamente. In questo modo AMNU e FIEMME SERVIZI cercano di incentivare i fruitori occasionali a raccoglierli e separarli attentamente per preservare l’integrità del territorio.
TARIFFAZIONE PUNTUALE: SUCCESSO ANCHE A TREVISO
Treviso è un comune capoluogo di oltre 80mila abitanti: una realtà complessa, articolata e difficile da gestire rispetto alla stragrande maggioranza dei comuni italiani. Eppure Treviso è un comune “Rifiuti Free”, con una produzione di rifiuto secco residuo di 60 kg (era a 270 kg) annui pro capite, ed una percentuale di raccolta differenziata attestata all’85%.
Il merito di questi buoni risultati è ovviamente di una buona gestione a livello politico locale e sicuramente di Contarina SpA, la società che ne è stata incaricata a partire dal settembre 2013. Il primo passaggio per far diventare Treviso un comune virtuoso è stato il passaggio dal cassonetto stradale alla modalità di raccolta differenziata dei rifiuti di tipo domiciliare, il cosiddetto porta a porta. Per la città si trattava di una sfida notevole, soprattutto per via della complessità e della conformazione di un centro storico importante e da rispettare, senza tralasciare le numerose peculiarità urbanistico-architettoniche della città. Tra le varie soluzioni individuate da Contarina, vi è un sistema parallelo di raccolta dotato di mezzi specifici, l’EcoBus (servizio che funziona come un vero e proprio autobus che può raccogliere fino a 2 tipologie di rifiuti per volta, con fermate da 30 minuti a orari prestabiliti ed è studiato per garantire un servizio capillare) e l’EcoStop (particolare mezzo che staziona per 1 ora in punti fissi prestabiliti e può raccogliere tutte le tipologie di rifiuto: secco non riciclabile, carta, umido, vetro, plastica e lattine).
Il passaggio successivo è avvenuto a partire dal 1 luglio 2014 con l’avvio della tariffazione puntuale su tutto il territorio comunale facendo così di Treviso il primo capoluogo italiano ad applicare il principio comunitario “paga quanto produci”, con la commisurazione della tariffa rispetto all’effettiva produzione di rifiuti per ogni tipo di utenza.
Per garantire la buona riuscita del passaggio da raccolta a cassonetto stradale a raccolta porta a porta con tariffa puntuale, è stato indispensabile progettare una strategia comunicativa volta a comprendere da un lato le esigenze tecniche e dall’altro le richieste e le perplessità dei cittadini, chiamati a modificare abitudini e comportamenti quotidiani.
La tariffa puntuale, come avviene quasi ovunque dove viene applicata, prevede una parte fissa ed una variabile. Nel caso del capoluogo veneto la prima incide del 60% e viene calcolata in base al numero di componenti del nucleo familiare, mentre il restante 40% sul servizio effettivo, ossia in base al numero di svuotamenti. Su ogni contenitore del rifiuto secco è installato un transponder. Il codice univoco contenuto nel transponder viene letto tramite un dispositivo dove vengono registrati anche la data e l’ora dello svuotamento. Questo modello vuole quindi premiare il cittadino attento e responsabile alle tematiche ambientali, calcolando quindi la tariffa in base alla quantità di rifiuto secco non riciclabile prodotto.
L’utente è stato, quindi, responsabilizzato ad effettuare una precisa raccolta differenziata mediante i contenitori distribuiti dall’azienda. Il tutto ha generato e genera benefici non solo dal punto di vista ambientale ma anche a livello economico, in quanto i proventi dell’azienda vengono reinvestiti per il contenimento delle tariffe. A supporto delle iniziative della società arrivano i numeri che premiano questa scelta: nel 2015 infatti, la tariffa media applicata da Contarina si è attestata sui 188€, ben al di sotto della media nazionale (304,80€).
Secondo un’indagine commissionata dalla società, questo nuovo modello di gestione non solo funziona, ma riscuote un notevole successo tra i cittadini, facendone una vera e propria “case history”, un esempio che funziona e che può essere replicato in altre realtà urbane. La ricerca di Contarina ha evidenziato come oltre i tre quarti (77,7%) dei cittadini intervistati siano soddisfatti (di questi il 39,8% ha risposto molto soddisfatto) delle modalità di raccolta e di pagamento del contributo.
Il caso di Treviso rappresenta l’ennesimo esempio di come il passaggio ad una tariffazione puntuale sia la strategia vincente nella buona gestione dei rifiuti, soprattutto in quanto si incentiva realmente il cittadino a prendervi parte e a prendersi cura del proprio territorio e di come sia possibile applicarlo anche a realtà eterogenee come può essere una città.
I COMUNI RIFIUTI FREE IN TOSCANA SONO TARGATI PUBLIAMBIENTE
Sono 14 i comuni della Toscana presenti nel Dossier Comuni Ricicloni 2016. Quattordici comuni Rifiuti Free sparsi tra le province di Pistoia (4 comuni) e Firenze (10) che insieme raggruppano all’incirca 220mila abitanti. Il servizio di gestione dei rifiuti in questi comuni è svolto da Publiambiente S.p.A., azienda empolese tra le prime in Toscana per quanto riguarda la raccolta differenziata, con una media di bacino del 65% e punte vicine al 90 nei comuni in cui è attivo il servizio di raccolta domiciliare.
L’attività primaria dell’azienda si esplica innanzitutto nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti solidi urbani: dalla raccolta allo smaltimento, all’avvio al recupero e riciclo delle varie materie, contando 7 centri di raccolta, 2 stazioni ecologiche e 9 cantieri operativi dislocati nel circondario Empolese Valdelsa, nel Pistoiese, nella Valdinievole e nella zona del Mugello.
Tra il 2008 ed il 2012 Publiambiente ha avviato in 15 comuni, per un totale di circa 230 mila abitanti, il servizio di raccolta 'porta a porta' applicando la tariffazione puntuale, che per la prima volta introduceva il principio europeo “chi inquina paga”, facendo dipendere l'ammontare del pagamento al comportamento di ciascuna utenza.
Tuttavia, a partire dal gennaio del 2013 la TARES e, successivamente, la TARI hanno imposto di legare la determinazione della tariffa esclusivamente alla superficie dell’immobile ed al numero dei componenti del nucleo familiare, facendo venir meno i principi introdotti con la tariffazione puntuale e ripristinando il metodo cosiddetto normalizzato. «Ciononostante – spiega Paolo Regini, Presidente di Publiambiente S.p.A. – per salvaguardare gli ottimi risultati raggiunti e non disperdere l'impegno che i cittadini avevano profuso fino a quel momento, Publiambiente, insieme alle Amministrazioni Comunali, ha messo a punto un sistema di riduzioni tale da preservare il principio di equità introdotto con la tariffazione puntuale, prevedendo fino al 30% di abbattimento sull’intera tariffa per le famiglie e le aziende virtuose che differenziano correttamente e mantengono il numero degli svuotamenti del contenitore dei rifiuti indifferenziati entro certi parametri. In questo modo, è stato possibile consolidare i successi raggiunti sul piano della sostenibilità ambientale e contenere le tariffe per i cittadini».
Il comune più virtuoso tra quelli che hanno affidato la propria gestione dei rifiuti a Publiambiente è quello di Monsummano Terme, situato nella parte centro-orientale della Valdinievole. Il comune, con una popolazione che supera i 20 mila abitanti, ha una produzione di RSU annuale pari a 33,7 kg per abitante ed una percentuale di raccolta differenziata pari all’86,79%.
«Il modello organizzativo è ottimo – sintetizza l’assessore all’Ambiente Andrea Mariotti – e la cittadinanza è stata particolarmente recettiva». Da quando la società empolese ha avviato il sistema di raccolta porta a porta sul finire del 2012, dopo il primo anno di avvio, si è registrato un calo dei costi sia per l’amministrazione che per i cittadini. «Nonostante tutto – ci tiene a precisare l’assessore – nonostante la stangata della TARES, siamo riusciti a garantire un risparmio per i nostri cittadini, con una diminuzione del 3% nel 2016. Questo grazie anche al centro di raccolta localizzato nel territorio comunale (nella frazione di Cintolese) gestito direttamente da Publiambiente e che, dati gli ottimi risultati finora raggiunti, ha già ottenuto un permesso per l’ampliamento».
Il modello di gestione di Publiambiente, unitamente ad un sistema tariffario realmente equo e premiante, ha consentito a tutti i Comuni di raggiungere alti livelli di raccolta differenziata ed abbattere in maniera significativa la quantità dei materiali da avviare in discarica, facendo di questa parte di Toscana un'eccellenza a livello nazionale e non solo.
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