mercoledì 27 gennaio 2016

agire e ribellarsi

Possiamo ribellarci solo facendo

by JLC
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di Danilo 
Non più tardi di una settimana fa mi sono ritrovato proprio con un redattore di Comune a difendere la parola sviluppo, quasi che nominarla fosse un tabù. Sono perfettamente cosciente che parole simili, come del resto crescita, progresso, tecnologia possano evocare scenari inquietanti. Gli stessi termini legati a sviluppo umano, crescita personale acquisiscono tutto un altro significato. La tecnologia è comunque progresso, dipende sempre dall’uso che se ne fa.
Personalmente allora potrei contestare il termine ribellarsi, contro chi dovremmo ribellarci? Dovremmo forse farlo contro il prossimo? Contro noi stessi? Sì perché cipiaccia o meno la causa di tutto ciò che ci circonda siamo semplicemente noi. O siamo degli eremiti totalmente avulsi dalla società oppure, nel nostro piccolo, più o meno tutti, abbiamo contribuito a questo stato di cose. È assurdo che ci ribelliamo, che contestiamo tutto ciò che abbiamo contribuito tacitamente a realizzare con il nostro assenso o semplicemente volgendo lo sguardo dall’altra parte nel nostro totale disinteresse.
Allora piuttosto facciamo! Questo sì che è un termine importanteNoi tutti occidentali belli pasciuti (oramai non più tanto o quanto meno l’esserlo sta diventando simbolo di disagio e povertà, quella dei paesi ricchi)! Abbiamo contribuito a questo stato di cose. Abbiamo contribuito affinché questo Moloch, questo mostro: il capitalismo incontrollato regnasse ovunque. Questo sta provocando ingiustizie, guerre, danni forse ormai irreversibili al Pianeta, sta affamando porzioni di popolazione sempre maggiori ritenute superflue, inutile e imbarazzante surplus di Umanità.
Abbatterlo? troppo pervasivo, troppo potente! L’unica alternativa che abbiamo è fare, costruire un altro modo di fare economia (anche questa una brutta parola) accanto a quella corrente. Un’economia basata sulla produzione di servizi e prodotti, che sia responsabile e sostenibile, sia nei confronti dei lavoratori, sia dei consumatori, sia dell’ambiente. Un’economia che abbia come obiettivo non il profitto ma il pieno lavoro, la dignità, il rispetto dell’ambiente. Servizi e beni durevoli, eventuale noleggio e non possesso, aggiornamento, manutenzione, riuso, riciclo e non rottamazione programmata. Una economia circolare basata sull’utilità, non sullo sfruttamento. Insomma lavoro cooperativo (quello vero, non quello così camuffato), di comunità, con finalità sociali. Lavoro responsabile nei confronti di tutta l’Umanità, non solo nei confronti dei propri concittadini, corregionali, connazionali.
Smettiamo di essere ipocriti, basta parlare di buone intenzioni, consumare insensatamente, comprare da imprese di cui non si conosce la filiera produttiva, la responsabilità sociale ed ambientale. Basta sostenere associazioni o Ong dove l’apparato organizzativo è più oneroso di quanto effettivamente dedicato ai progetti, solo per mettere a posto la nostra coscienza. Basta pensare di riuscire a produrre il cambiamento nel nostro tempo libero. Facciamo, ma facciamolo veramente, con tutti noi stessi.
Ritengo che questa sia l’unica via d’uscita, il tempo stringe, ma se c’è una possibilità è questa: attivarci per creare un’alternativa e sperare che venga scelta da quella massa critica che può produrre il cambiamento, che deve produrre il cambiamento. Non possiamo sapere se faremo in tempo o se sarà sufficiente, ma almeno potremo affermare di averci provato. Questo è vero sviluppo, è vera crescita personale.

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