lunedì 20 giugno 2016

decidiamo noi


Decidiamo noi. Donne e territori

by JLC
Contro i femminicidi e la violenza di genere hanno scelto di mettere in comune saperi, rabbia e desideri. Contro le agende della politica, orientate da austerity e logica dell'emergenza, hanno deciso di nutrire la loro forza collettiva con assemblee, gruppi di studio e cortei nei territori. Contro le quotidiane narrazioni dei media, che alimentano discriminazioni e nascondono le cause profonde del dominio patriarcale, hanno cominciato a riprendere parola e spazi pubblici. La rete romana di donne Io Decido, il 24 giugno sarà al Campidoglio per avviare un percorso in grado di intrecciare anche altre città, gruppi e territori e per gridare No alla chiusura dei Centri antiviolenza. Saranno in tante, "armate di creatività e di pentole, strumenti musicali e ogni altra cosa rumorosa" per squarciare "il silenzio delle omissioni e delle complicità"
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Assemblea pubblica della rete Io decido in piazza dell'Immacolata (San Lorenzo), a Roma (16 giugno 2016)
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di Pina De Girolamo
Le cicatrici della memoria si lacerano a ogni notizia. La rimozione non è mai totale.Non può nulla la sedazione patriarcale, contro una storia antica incarnata nei nostri corpi e nei sogni, che ci ricorda che siamo un genere oppresso da migliaia di anni. La comune oppressione oltrepassa le singole biografie, storie quotidiane di sessismo e violenza sempre più crudeli e aberranti, che i giornali manipolano senza morale, rispetto e  compassione. A ogni nuovo racconto, si risveglia il dolore che sovrasta l’antica sapienza, che le donne dei Cerchi ci hanno insegnato a ritrovare; la connessione potente con la terra, la conoscenza e il potere di guarire, la cura delle relazioni e della comunità, la trasformazione dei conflitti, dei rapporti di potere, oltre l’ego, il conflitto, il dominio.
Il patriarcato in ogni epoca sostanzia la sua dominazione in molteplici forme. È assassino, violento, abusante, ingiusto e sfruttatore; mandante culturale ed economico dietro ogni mano e mente di uomo omicida e violento. Il mandante della discriminazione, dell’ingiustizia, dello sfruttamento delle donne oggi è il capitalismo e le sue politiche neoliberiste. E ce lo ricorda il rappresentante dell’Onu Rashida Manjoo, che solo qualche anno fa, richiamava l’Italia a intervenire per garantire i diritti umani delle donne. “Il femminicidio è un  crimine di Stato tollerato dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita… è l’estrema conseguenza delle forme di violenza esistenti contro le donne”.
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Contro ogni parvenza giuridica di pari opportunità, le donne sono, in questo paese, discriminate e immerse in una cultura sessista strutturale, che produce violenza e morte. Ma come per un iceberg, le morti e le violenze intercettate sono solo la punta di una massa celata dall'acqua. Se cominciamo a decifrare i numeri della disuguaglianza di accesso al lavoro, al reddito, ai servizi, alla salute, alla cultura, alla casa; quelle determinanti della vita materiale, culturale, sociale ed economica in cui vivono sempre peggio, donne e uomini di questo paese; se osserviamo quella cultura diffusa, alimentata dai grandi media, dalla educazione e dalla pornografia della discriminazione imperante, vediamo chiaramente, cosa nutre, oltre ogni psicologia, la mano degli assassini, dei molestatori, abusatori, sfruttatori e la sottomissione femminile. Una enorme massa subacquea di un iceberg, che descrive cause e  responsabilità, viene sommersa dall’emergenza e crudeltà dei dati quotidiani.
Sappiamo che la violenza delle donne non ha colore, classe, cultura ma sappiamo anche che le condizioni materiali e culturali della propria esistenza sono determinanti nelle scelte e per la autodeterminazione della propria vita. E questo è tanto più determinante se si deve uscire da una relazione violenta o oppressiva.
Le politiche di austerità colpiscono le donne in primis, le costringono a rinunce e ad accettare i ricatti familiari, spesso per tutelare i figli. Senza reddito autonomo e con la responsabilità dei minori, tutte sanno che è  difficile scegliere alcunchè. Le condizioni di impoverimento delle donne emergono con dati inequivocabili, così come i dati di riduzione dell’accesso ai servizi, al  welfare, alla salute. Il 10-13 per cento della popolazione femminile vive in una condizione di povertà estrema, che conduce sovente a un processo di marginalità ed esclusione irreversibile. Il 15 per cento, delle oltre 55mila persone senza dimora, che vivono in Italia, sono donne e gli studi testimoniano che, nella gran parte dei casi, si tratta di donne fuggite da condizioni di oppressione e violenza domestica. Le donne, da sempre più longeve in questo paese, cominciano a morire prima degli uomini e accedono meno  alle cure.
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I Dati Istat 2016 descrivono il sistema di protezione sociale italiano che resta, tra quelli europei, ”tra i meno efficaci“. Il welfare di questo paese è noto, sta sulle spalle delle donne, che devono  conciliare lavoro e famiglia, assistenza, cura, quel lavoro di “riproduzione” di antica memoria marxiana, sempre più difficile da gestire. Schiacciate nel lavoro domestico e nella cura dei figli, solo il 51 per cento delle donne lavora, svolgendo soprattutto lavori partime e precari, contro il 74 per cento degli uomini; guadagnando 0,47 centesimi per ogni euro guadagnato da un uomo.
Una recente ricerca europea sintetizza il dato europeo: le donne percepiscono due mesi all’anno in meno di salario, anche  se  laureate.
Dopo la maternità continuano a lavorare solo 43 donne su 100 e 1 donna su 4 lascia il lavoro quando aspetta un figlio. Con una vita lavorativa discontinua e precaria, naturalmente, le donne si ritrovano da anziane con pensioni, già da fame, inferiori del 40 per cento da quelle degli uomini.
I numeri confermano quanto, ognuna di noi vive o ha vissuto sulla sua pelle.
Le politiche di questo paese contro la discriminazione sono inadeguate; le donne vengono aiutate poco e male e mal  protette dalle violenza e dal rischio di essere uccise.  Questo contribuisce a spingere al silenzio tante donne, come ricorda il Rapporto Onu sui Diritti delle donne contro la violenza e a lasciare che i fenomeni di discriminazione e violenza restino ancora in gran parte invisibili sino alle morti che divengono pasto per le cronache e i media.
In un sistema di istituzioni e regole frammentato, in cui le leggi per proteggere le vittime sono inadeguate e/o inapplicate, nella sostanza, si attende ancora che il Piano di Azione Nazionale contro la violenza si concretizzi e regolarizzi i suoi finanziamenti. Dove è finito?
Il piano è parte integrante degli interventi previsti dalla legge 119/2013 sul Femminicidio, una brutta legge securitaria e paternalista, che avrebbe dovuto sostenere con continuità i centri antiviolenza, progetti di formazione e sostegno all'emancipazione economica e sociale, iniziative di educazione e prevenzione culturale della violenza sessuale e di genere e così via. I finanziamenti sono invece, fermi al 2014 e, in molti casi, arrivati nelle casse regionali, si riducono o se ne perde traccia, in virtù di vincoli alla parità di bilancio delle singole regioni.
I centri antiviolenza, che vivono soprattutto grazie alla dedizione e alla militanza di tante donne, che si traduce in ore e ore di lavoro volontario, sono pochi e mal distruibuiti nelle diverse realtà regionali. La dipendenza da bandi e progetti o finanziamenti di privati e aziende rende l’esperienza dei Centri sempre più precaria. Quando arrivano i finanziamenti i centri si trovano a partecipare a bandi al ribasso, concorrendo alla pari, con soggetti che niente hanno a che fare né con la storia del movimento delle donne tanto meno con la cultura antipatriarcale, che ha dato origine ai primi Centri antiviolenza.
Le operatrici dei centri antiviolenza raccontano delle denunce inascoltate da parte degli operatori di polizia. Sono note, le lungaggini dei processi, oltre ogni sopportabilità. Luoghi e sentenze che si ritorcono dolorosamente anche  contro le donne, come ci ha ricordato recentemente l’ atroce sentenza delle violenze ad una donna alla Fortezza Da Basso di Firenze.
Le lotte degli scorsi decenni in Italia hanno cambiato direzione alla storia delle donne ma stiamo velocemente e drammaticamente tornando indietro. Si tratta ormai di contrastare una guerra in atto. L’omissione di interventi, politiche, servizi adeguati a combattere ogni discriminazione, abuso, violenza;  la mancanza di interventi a sostegno alle scelte e alla autodeterminazione delle donne è una responsabilità dello Stato di cui chiedere conto. Cominciamo a dirlo forte. Non ci sono più altre strade, alcuna scorciatoia.
Sono necessari finanziamenti stabili, spazi di donne e centri antiviolenza in ogni municipio, case, reddito e servizi per sostenere le donne aduscire dalla spirale della violenza. Insiemealla formazione di operatori e operatrici, medici e insegnanti, agli interventi di educazione socio affettiva nelle scuole, alle denunce della stampa per attività discriminatoria, al moltiplicarsi delle azioni comunicative e di informazione e aldiffondersi di gruppi di autocoscienza di uomini come quelli di Genderclub e Maschile plurale, che contribuiscono a creare una nuova cultura maschile, è necessario contrastare le politiche neoliberiste che il capitalismo patriarcale fa pagare alle donne.
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È necessario respingere la logica dell'emergenza, articolare insieme proposte concrete, tornare a prendere parola per spezzare il circolo della violenza, la punta dell’iceberg dell’oppressione e l’insieme delle condizioni che determinano la libertà di scelta, il diritto alla autodeterminazione e a una vita degna di essere vissuta per tutte. Sono necessari interventi di sostegno al reddito, sostanziali, per tutte le donne; in primis per le donne maltrattate e a rischio, ma anche per le donne precarie e con reddito basso. Un reddito che contrasti le povertà e la dipendenza economica dalla famiglia e dai partner, un reddito per scegliere; contrastare con forza le politiche di riduzione e privatizzazione dei servizi pubblici; rivendicare un reddito per il lavoro gratuito di cura e domestico che le donne svolgono nella famiglia e una pensione anticipata per tutto il lavoro gratuito svolto sino ad ora.
Non può esserci cura al dolore di tutte, né fine della violenza, né cambiamento se nonestendiamo e connettiamo la nostra intelligenza e forza collettiva come sta avvenendo in queste settimane nei cortei territoriali e nelle assemblee come ad esempio quella del 16 giugno a Roma (in piazza della Immacolata).
Rigettando le logiche della delega si è presa parola contro le lettere di sgombero, convenzioni non rinnovate, conflitti tra enti locali, vendite del patrimonio che a Roma, una delle città con il più alto numero di femminicidi, potrebbero a giorni vedere la chiusura di tanti spazi e centri antiviolenza della città. Si è riaffermato, con determinazione, il rifiuto della logica dei bandi e il rigetto della delibera 140 che rischia di fermare le attività del Centro Dalia, Assolei, Lucha Y Siesta allo spazio delle Cagne Sciolte, lo sportello Una stanza tutta per sè, così come di tanti preziosi spazi sociali della città.
Differenti nelle comunanze, metteremo insieme intelligenze, saperi, rabbia e desideri per cambiare l’ordine del discorso e le agende della politica, scardinare le retoriche dominanti costruire momenti di incontro nazionali, gruppi di studio, mobilitazioni, assemblee, con l'obiettivo di costruire una piattaforma contro il sessismo, la discriminazione, la violenza maschile sulle donne che ci porti, in tante, nelle strade il prossimo 25 novembre.
Appuntamento per tutte e tutti alla seconda assemblea pubblica, convocata dalla Rete Io Decido, il 24 giugno al Campidoglio, alle 16,30, per avviare questo percorso e dire No alla chiusura dei Centri antiviolenza della città. Armate della nostra creatività e di pentole, strumenti musicali e ogni altra cosa rumorosa che squarci il silenzio delle omissioni e delle complicità.
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L'adesione di Pina De Girolamo alla campagna Facciamo Comune insieme:
"Sosteniamo questa esperienza bellissima: un giornale comune che ti fa sentire parte, che accende speranza e nutre i saperi del cambiamento, connette, allarga, ti fa sentire parte di un cammino (comune) con molti, tanti, molti più di quelli che immaginavamo. Grazie amici di Comune per questo infaticabile e prezioso lavoro. Vi voglio bene, vi sono grata. Avete bisogno di aiuto: eccomi e come me tanti, ne sono certa"

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