sabato 25 giugno 2016

ipotesi


I rischi di insistere sulla via elettorale

by Comune Info
Che non si tratti di rimuovere qualche mela marcia, dovrebbe essere una delle poche certezze assodate anche nel tempo del caos. La corruzione dei rappresentanti politici, in ogni angolo del mondo, non è il frutto di qualche isolata debolezza morale. E' una caratteristica sistemica. Chi viene eletto - certo, con le dovute eccezioni e sfumature - in genere non può far altro che gestire il modello esistente, un modello che in sostanza prevede una guerra delle istituzioni statali contro i popoli. In America Latina, lo chiamano estrattivismo. Non per il dominio dell'industria mineraria in Perù o di quella petrolifera in Brasile e Venezuela ma perché il capitale si "estrae" diversamente che un tempo. E qui, nell'Europa della Breaxit? Voi come chiamereste quel che è stato fatto ai pensionati greci? È a partire da questa funzione predatoria, segnala Raúl Zibechi, che devono essere compresi la corruzione, i tradimenti, la violazione dei diritti e tutti i misfatti di cui soffriamo ogni giorno. Per questo, è necessario comprendere che dedicare il grosso del tempo, delle risorse ma soprattutto delle speranze a questa politica vuol dire forse, come minimo, sbagliare strada. Non abbiamo imparato niente dalla crisi brasiliana: se un giorno riuscissimo a eleggere i buoni, cioè i nostri, le cose potrebbero cambiare davvero?
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Lula e Dilma esultano, il Pt ha vinto ancora e governerà. Il Brasile è lanciato verso un destino da potenza mondiale ma durerà molto poco. Foto  www.jb.com.br
di Raúl Zibechi
Il parlamento del Brasile presenta questo panorama: 313 dei 503 deputati sono accusati o condannati per corruzione; nella stessa situazione si trovano 49 senatori degli 81 che compongono il Congreso [Senato]. È un’eccezione nelle democrazie elettorali o tende a essere la norma?  Se ai rappresentanti eletti si applicassero le stesse norme che [si applicano] ai cittadini comuni, una parte considerevole di loro non starebbero scontando il carcere? Perché i rappresentanti del popolo hanno un tenore di vita molto al di sopra della media dei rappresentati?
Se concludiamo che la corruzione dei rappresentanti e delle cariche elette non è casuale ma una caratteristica sistemica, si impongono altre domande. Che rapporto ha la corruzione con il modello estrattivo, l’accumulazione per spoliazione, o meglio, con la quarta guerra mondiale? In un modello che distrugge l’umanità e la natura, non è, forse, comprensibile che gli incaricati a gestirlo si approprino di qualche moneta?
Tra la politica elettorale/istituzionale e la guerra c’è molto in comune. Entrambe sono in mano a mercenari. Quegli eserciti reclutati tra le popolazioni hanno ceduto il passo a corpi di combattenti che lottano soltanto per un salario, di certo molto alto. Non difendono paesi bensì imprese. Non sono guidati dalla logica della difesa dello Stato-nazione, ma della multinazionale che li assume. L’etica della guerra, che c’era, ha lasciato posto al freddo calcolo dei vantaggi.  I soldati che prima retrocedevano di fronte al furto o allo stupro, ora li utilizzano come tattica per  persuadere i nemici.
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Oggi il Brasile affonda nella crisi e nel golpismo parlamentare dell'opposizione al governo di Dilma. Foto: https://media.licdn.com
Perciò, è assurdo sorprendersi che i politici, e i generali, rubino o si facciano distratti  di fronte allo stupro o al genocidio. Si dirà che ci sono politici onesti. Diciamo che [sono] tanti quanti i generali umanitari. La politica elettorale/istituzionale, come la guerra, fa parte del meccanismo di spoliazione/quarta guerra mondiale. Quelli che la promuovono, è probabile che aspirino a occupare un posto là sopra.
Non è che la detta classe politica sia intrinsecamente corrotta. Il nocciolo del problema è che le istituzioni statali sono incaricate di gestire la guerra contro i popoli, che altro non è che l’estrattivismo. È a partire da questa funzione che devono essere compresi   la corruzione, i tradimenti, la violazione dei diritti delle popolazioni e tutti i misfatti che soffriamo quotidianamente.
Nelle istituzioni, i politici non possono far altro che gestire il modello esistente. In questo compito sono accompagnati dai grandi mezzi di comunicazione e dal sistema giudiziario, da un’importante accolita di accademici che si fanno chiamare intellettuali, da sindacalisti e da imprenditori. Per questo, è necessario comprendere che dedicare il grosso del tempo e delle risorse per questa politica è,  come minimo, sbagliare strada. Non abbiamo imparato niente dalla crisi brasiliana, come credere che  se eleggiamo i buoni, ossia i nostri, le cose possono cambiare?
Ci sono altre strade che vengono già percorse da diversi movimenti in differenti parti del mondo: dal Kurdistan siriano al Chiapas, dalle comunità autonome Mapuche alla Organización Popular Francisco Villa de la Izquierda Independiente, in una decina di quartieri/comunità del DF [Città del Messico]; passando per la rete di cooperative Cecosesola nello stato venezuelano di Lara, tra le molte altre iniziative che compaiono su queste pagine (quelle de la Jornada, ndt).
È evidente che l’alternativa alla via elettorale che porta alla gestione del modello, non può essere la lotta armata delle avanguardie. Gli esempi citati parlano della costruzione di poteri non statali, di poteri dei movimenti e delle popolazioni. Non si tratta di un cammino “alternativo”, meno ancora complementare alla strategia incentrata sul sistema elettorale. È una cultura politica diversa, ancorata all’etica e al lavoro.
Mentre la vecchia cultura politica consiste nell’amministrare il presente, questa si propone di creare il nuovo:  è il mondo nuovo realmente esistente. Al posto della rappresentanza colloca la presenza diretta delle comunità e delle popolazioni nella soluzione di tutti e di ciascuno dei suoi problemi. Il lavoro collettivo prende il posto del lavoro alienato; la comunità e lo spirito comunitario soppiantano l’organizzazione omogenea e gerarchica.
Si dirà che questa non è una novità, che da oltre due decenni lo stanno facendo gli zapatisti. Non nego l’ispirazione zapatista. Ma è ciò che si sta facendo, anche, nellaComunidad Acapatzingo di Iztapalapa; nei quartieri del Rojava, nel Kurdistan; nelle cinquanta cooperative che compongono la rete della Central de Cooperativas Servicios dello Stato di Lara (Cecosesola), in Venezuela. Per menzionare solo iniziative che coinvolgono migliaia di persone.
Ci sono inoltre decine, centinaia di iniziative su piccola scala, dagli orti comunitarie e le scuole autogestite nei quartieri e nei villaggi, alle centinaia di fabbriche recuperate in diversi paesi. Le grandi e le piccole [iniziative] hanno due cose in comune: non c’è spazio per la corruzione, poiché quelli che si corrompono vengono controllati in tempo dagli altri; sono il modo di resistere al modello estrattivo: però resistere creando e facendo.
All’inizio, abbiamo detto che l’estrattivismo è la guerra contro i popoli, perché, nel modello di spoliazione, questi popoli sono di troppo. Pertanto, abbiamo bisogno di spazi e di iniziative che ci garantiscano la vita in un mondo di morte.

Articolo pubblicato su Desinformemonos con il titolo Los riesgos de insistir en el camino electoral
Traduzione per Comune-info: Daniela Cavallo

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