di Andrea Fumagalli
Opera meritoria, quella dell’editore Laterza di raccogliere e ripubblicare gli articoli che Luciano Gallino (scomparso lo scorso 8 novembre) ha pubblicato su «la Repubblica» a partire dall’inizio della crisi economica mondiale del 2008. Il titolo dell’opera, Come (e perché) USCIRE DALL’EURO ma non dall’Unione Europea (con uscire dall’euro scritto in rosso e a caratteri cubitali) è invece fuorviante. Oltre a strizzare l’occhio (per ragioni dimarketing?) alla vulgata populista di vedere nella moneta unica europea l’origine di tutti i nostri mali, il titolo fa riferimento all’ultimo articolo, inedito: Modesta proposta per uscire dall’Euro ma non dall’Unione Europea, terminato di scrivere l’8 ottobre 2015: esattamente un mese prima della morte di Gallino. Un articolo di 16 pagine su un totale di poco meno di 200, che invece parlano di tutt’altro e, più precisamente, delle politiche economiche che in Europa e in Italia, nel nome del dogma dell’austerità, hanno peggiorato la crisi economica anziché risolverla, creato iniquità sociali, smantellato il sistema di welfare, precarizzato il lavoro, impoverito l’Italia e l’Europa a vantaggio delle oligarchie burocratiche e finanziarie.
Torneremo più avanti a parlare di quest’ultimo articolo. Per il momento ci soffermiamo sul contenuto del libro, che vede raccolti ben 45 articoli, suddivisi per tematiche e distribuiti su tre parti. L’introduzione è composta da un saggio, di estrema chiarezza e semplicità, che analizza la nascita del pensiero neo-liberista, a partire dalla fondazione della Mount Pèlerin Society nel 1947 sul lago di Ginevra, per opera di economisti come Maurice Allais, Ludwig Von Mises, Milton Friedman e Walter Eucken (il padre dell’ordo-liberismo tedesco) e di filosofi come Karl Popper. È immediato il rimando all’ordo-liberismo tedesco all’indomani della Grande Guerra, come momento di incubazione dell’attuale pensiero nei-liberista; così come è immediato il riferimento alla nascita della bio-politica di Foucault (ancorché non citato nell’articolo).
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La prima parte, invece, si sofferma sugli aspetti finanziari e su come la crisi dei sub-prime abbia colpito in primo luogo l’economia reale. In questi primi articoli, redatti all’inizio della crisi, in Gallino sopravvive l’idea (forse la speranza) che proprio la crisi potesse in qualche modo contrapporsi alla crescente finanziarizzazione dell’intero sistema economico: Come salvare l’economia dalla finanza, 25 maggio 2010). Ma tale speranza è veloce a morire: nel momento stesso in cui Gallino, riprendendo uno dei temi classici della sua ricerca, analizza il perdurante declino dell’industria italiana. Tale declino è imputabile alla scarsa propensione all’investimento in ricerca e sviluppo della classe imprenditoriale italiana, alla sua miopia nel perseguire un profitto a brevissimo termine, risparmiando sui costi piuttosto che investire in qualità, alla ridotta dimensione delle imprese e ai costi troppo elevati del sistema creditizio.
La seconda parte della raccolta ha come tema l’Europa liberale. La denuncia del Finanzcapitalismo (Einaudi 2011) va di pari passo con l’impietosa analisi delle misure di politica economica da quelli che Gallino impietosamente non ha remore nel definire «i quattro governi del disastro» (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi). Una logica che come sappiamo ha favorito il lato dell’offerta, precarizzando il lavoro a vantaggio dei profitti e della rendita, a discapito del welfare state, dei consumi e quindi della domanda. In tal modo si è favorita una recessione economica che è stata la causa principale della crescita del rapporto debito/PIL, in una spirale viziosa da cui non siamo ancora usciti. Il paradosso è che Renzi non sembra accorgersi che in Italia il processo di precarizzazione è di gran lunga più avanzato che nel resto d’Europa, e che un ulteriore intervento in tale direzione avrebbe portato alla fine del dualismo del lavoro tra insider e outsidser, rendendo la precarietà una forma generalizzata, strutturale e istituzionalizzata. Tutti/eoutsider: come si è puntualmente verificato.
Ed è proprio la deregulation del lavoro a essere oggetto della terza e ultima parte del libro, dal significativo titolo Tanta fatica per nulla…, caratterizzata da tre «senza»: senza lavoro, senza denaro, senza stabilità. In queste pagine si affrontano i temi della disoccupazione, dei salari troppo bassi, dell’eccessiva precarietà del lavoro. Gallino ha buon gioco nel sostenere che queste tre carenze sono alla base della bassa produttività del lavoro e delle difficoltà delle imprese italiane nel rimanere competitive nelle filiere internazionali. E che le politiche del lavoro, ultimo il Jobs Act, lungi dal rappresentare la soluzione, costituiscono invece il problema.
Molto netta è la posizione di Gallino riguardo l’Euro, che viene esplicitata per la prima (e unica) volta nell’inedito saggio conclusivo che chiude la raccolta. Questo testo necessita di essere approfondito, anche perché si discosta da analoghe proposte di abbandono dell’Euro sulla base di argomentazioni poco rigorose e assai populiste, oggi assai di moda. In primo luogo, il ragionamento di Gallino non è antieuropeista. Infatti dichiara che è cosa buona e giusta per l’Italia rimanere nell’Europa (e siamo sicuri che manterrebbe tale posizione anche riguardo il dibattito di questi giorni sulla Brexit). Gallino critica la moneta unica – l’Euro – in quanto strumento inadeguato per favorire la costruzione di un’effettiva unità europea. Disfarsi dell’Euro per fare un’Europa più forte, dunque. Principalmente per due motivi. Il primo ha a che fare con la perdita della sovranità economica e monetaria. Secondo Gallino «il costo economico, politico e sociale della sovranità perduta a causa dell’euro supera il costo di uscirne». Oltre a questo Gallino fa notare che oggi, grazie all’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea, modificato dal Trattato di Lisbona (entrato in vigore il 1 dicembre 2009), è possibile per un singolo stato dell’Eurozona poter recedere in modo negoziato dall’appartenenza all’Unione Monetaria Europea, ma non dall’Unione Europea.
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È possibile che le politiche di austerity imposte dalla Troika ad alcuni paesi membri abbiamo avuto un costo superiore ai costi che avrebbe comportato una loro uscita dalla moneta unica (anche se tale calcolo è solo stimabile ex ante). Ma non è questo il punto.L’Euro, come ci ricorda lo stesso Gallino, è uno strumento, non un fine. Occorre quindi chiedersi chi sia a usare questo strumento, e a qual fine.
La risposta viene fornita da Gallino nelle precedenti 170 pagine del libro. La moneta – qualunque moneta – è di per se stessa uno strumento di gerarchia economica. È l’esemplificazione dei rapporti sociali di forza in atto. Il punto è dunque che non è sufficiente modificare la moneta-strumento, magari consentendo un maggior grado di libertà di scelta nelle politiche economiche e sociali attraverso una maggiore sovranità monetaria, se poi tali politiche e tale sovranità restano condizionate e vincolate dalle oligarchie finanziarie, ovvero da coloro che hanno oggi il potere di determinare e definire le convenzioni monetarie-finanziarie dominanti, quelle che indirizzano l’attività speculativa laddove viene ritenuto più conveniente, a prescindere dall’illusoria autonomia di una banca centrale, qualunque essa sia (Fed, BCE o nazionale).
Il secondo argomento a favore dell’abbandono dell’Euro è, secondo Gallino, il fatto che la moneta unica è costituita in massima parte da «denaro-credito», ossia «denaro creato dal nulla dalle banche private e dalla BCE»: il «denaro-credito» si contrappone (sovrastandolo di gran lunga) «al denaro-pieno, che è quello costituito dal denaro creato unicamente dalla Banca Centrale di uno Stato, oppure appoggiato all’oro (o all’argento), ovvero alla produzione di beni reali di cui rappresenta il valore».
Nel periodo del paradigma fordista, il capitalismo era un’economia monetaria di produzione. Ora, in tempo di capitalismo bio-cognitivo, è un’economia finanziaria di produzione. Non c’è accumulazione senza indebitamento. Ai tempi del fordismo, l’indebitamento veniva generato dalla creazione di moneta ex-nihilo (dal nulla, ovvero moneta-credito), emessa dalla Banca Centrale. Dopo il collasso di Bretton Woods e la fine della parità aurea (35 $ per un oncia d’oro), la moneta perde la sua unità di misura tangibile, si smaterializza al 100 per cento e diventa pura «moneta-segno». L’unità di misura del valore della moneta non esiste più. Questa è l’essenza della finanziarizzazione degli ultimi trent’anni, che ha segnato il primato della speculazione finanziaria (privata, ovvero gestita dalle oligarchie finanziarie) come fonte di creazione di moneta sul monopolio di emissione di creazione della moneta da parte delle Banche Centrali.
Contrariamente a quanto sostiene Gallino, il «denaro-credito» non è più tale, si trasforma in «denaro-finanza» e il «denaro-pieno» diviene retaggio del passato. Non c’è più nessun rapporto con l’oro. Il «denaro-finanza» è oggi creato dalla speculazione finanziaria come moneta «dal nulla», in grado di attivare un moltiplicatore finanziario autonomo capace di influenzare le dinamiche della produzione e la dinamica della domanda aggregata e della distribuzione del reddito. È l’esito della preminenza della produzione immateriale e della cooperazione sociale (general intellect), che travalica ogni forma di misurazione tangibile.
L’Euro è figlio di questa evoluzione. Pensare di ritornare al «denaro-pieno» è andare contro la storia. Da questo punto di vista, qualunque moneta – anche se creata da un monopolio di emissione di una Banca centrale – è comunque soggetta al potere delle convenzioni (speculative) dettate dall’oligarchia finanziaria. In quest’ottica la questione politica che dobbiamo porci è, a mio avviso, la seguente: è possibile, Euro o non Euro, creare ambiti per un’autonomia finanziaria in grado di definire un ambito di azione auto-organizzata che non dipenda dal biopotere dei mercati finanziari? È possibile creare spazi per un’autonomia costituente? È possibile una moneta del comune, complementare e alternativa, in grado di creare le condizioni per un’autodeterminazione delle scelte di vita e di auto-valorizzazione di un modello antropogenetico dell’essere umano per l’essere umano, finalizzato alla creazione di valore d’uso e non di scambio?
Sentiremo la mancanza di un intellettuale come Luciano Gallino. Un intellettuale criticodel presente, che oggi ci interroga sulla stessa figura dell’intellettuale: specie tanto più in estinzione quanto più prona alle chimere dell’accettazione acritica, comoda e servile del presente.
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Luciano GallinoCome (e perché) uscire dall’Euro ma non dall’Unione EuropeaLaterza, 2016, 202 pp., € 15
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Fonte: alfabeta2.it (titolo completo originale Euro sì o Euro no? Modeste proposte di Luciano Gallino) |
lunedì 27 giugno 2016
un euro senza anima
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