di Franco Arminio*
- Viviamo in una democrazia zippata, dove tutti parlano e questo parlare produce solo altre parole. È l’apocalisse del chiasso inconcludente, dell’agonia ciarliera. La Rete è una nave che ti imbarca anche se non ti presenti al porto. E allora si tratta di navigare controcorrente in questo mare senz’acqua, dove sembra finta perfino la vita più convinta. Bisogna combattere contro l’autismo corale, darsi cura di accendere focolai di condivisione nella realtà più che nel virtuale.
- Dobbiamo difendere il diritto all’uguaglianza, difendere le ragioni dei deboli, in Italia e altrove. Questo lavoro ha una sua urgenza civile, ma è anche una necessità interiore. Ci vuole una politica scrupolosa e lirica.
- Abbiamo bisogno di conflitto e di anima. Ci vuole un impegno commosso per questa terra e per tutte le creature che la abitano. Mettere nella politica qualche furbizia in meno, qualche incanto in più.
- La politica deve avere un sapore di alba, di operai che vanno al lavoro, di gente che sa fare il pane e riconosce il vento. La politica deve drenare l’egoismo dalla pozzanghera dell’attualità.
- Conoscere un luogo e abitarlo, questo è importante. Sapere a che punto è il grano, come stanno le vacche, che fine faranno le api. Sapere dove stanno le sorgenti, dove fanno il nido gli uccelli, conoscere i colori delle porte chiuse.
- Più che la foga della crescita, ci vorrebbe il culto dell’attenzione. Attenzione a chi cade, al sole che nasce e che muore, ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato. Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.
- Aiutare i vecchi. Aiutare le persone che vivono nelle periferie e nei paesi più sperduti e affranti. Democrazia e dolore. Considerare che oggi il margine può essere più fecondo del centro. La politica deve sapere più di altipiani che di palazzi romani.
- La politica difenda i malati, i beni comuni, la bellezza, la comunità dei vivi e dei morti, degli italiani e degli stranieri, degli animosi e dei contemplativi. Abbiamo bisogno di strategie per assicurare reddito a chi non ce l’ha, ma anche di conservare paesaggi inoperosi, luoghi salvi dalla catena del consumare e del produrre.
- Politica e poesia intrecciate ogni giorno, in ogni luogo. È un lavoro per anime nuove. Molti lo stanno già facendo. Non stanno in parlamento e non è importante che ci vadano, c’è già un fare luminoso che accade nelle mille italie che ancora resistono. L’Italia deve essere la federazione di queste gioiose resistenze, di queste piccole luci circondate da un mare di buio.
- Si muore e prima di morire tutti hanno diritto a un attimo di bene. Bisogna ascoltare con clemenza, bisogna coltivare il rigore e lottare fino a rimanere senza fiato. Diffidiamo degli opinionisti, l’Italia ha bisogno di percettivi. Cediamo la strada agli alberi.
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* Paesologo, scrittore e poeta, altri suoi articoli sono qui. Questo decalogo è apparso sulla sua pagina facebook
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