La linea rossa delle musulmane keniote
La rivolta contro l’ennesima strage: un gesto di coraggio, di generosità e di speranza per tutto il mondo.
I commentatori americani dicono che non tutti i musulmani sono terroristi ma che tutti i terroristi sono musulmani. Forse la loro sintesi è un po’ rude e sbrigativa ma, come è solito del loro stile, centrano il nucleo del problema. Il dramma è che la politica è fatta di complessità che spesso, troppo spesso, i politici Usa non riescono a dirimere o a gestire, almeno in politica estera. Oggi il problema del terrorismo è più ampio, più articolato e non lo si può sbrigare con slogan e battute demagogiche e populiste che purtroppo raggiungono la “pancia” delle persone.
E’ successo che il 21 dicembre in Kenya un pullman di cittadini normali che stava attraversando la contea di Mandera (nella zona nord-orientale al confine con la Somalia) è stato attaccato da alcuni terroristi di Al Shabaab (La gioventu’, ramificazione somala di Al Qaeda). Dopo i primi colpi di mitra hanno costretto gli occupanti a scendere dal pullman. L’intenzione era chiara: dividere musulmani e cristiani per procedere ad un nuovo tragico eccidio dei seguaci della Chiesa di Roma. Quando il terrorismo deflagra in tutta la sua violenza persegue quasi sempre un ideale che giustifichi ila drammaticità delle sue imprese. In Kenya era successo nel settembre 2013 al Nakumat Westgate di Nairobi (67 morti), come l’anno scorso quando furono trucidate 28 persone su un bus, e ancora nell’aprile scorso all’Università di Garissa (148 vittime, per lo più studenti).Tutto sempre in nome di una fede, di un Dio (per noi improbabile) cui dedicare tutto questo sangue.
il Kenya, per sua natura, è uno stato laico che consente tutte le confessioni: protestanti (40%), cattolici (25%) altre (11%). I Musulmani sono l’11% concentrati soprattutto sulla Costa.E’ da escludere comunque che si tratti di una terra di estremisti. La conferma di questa tesi la si ricava proprio dal proseguito dell’ultimo fatto di cronaca.
Mentre i terroristi continuano a urlare e a sparare, succede sul pullman tra le persone annichilite dalla paura, le donne islamiche offrono il loro velo alle cristiane, si scambiano i vestiti per rendere più arduo il compito di dividerle a vista. Intanto altri urlano agli uomini di Al Shabaab che quei motori che si sentono in lontananza altro non sono che i mezzi della polizia che di solito scortano i viaggi a rischio. Una reazione perlomeno insolita, certo strana che quantomeno disorienta quegli sciagurati armati fino ai denti. Il conducente della Mecca bus company (rimasto ferito) ha detto che per i terroristi era impossibile riuscire a fare la decimazione che si erano proposti e poi soprattutto si sono impauriti quando i musulmani hanno gridato loro che avrebbero dovuto sopportare la vendetta degli abitanti della zona che, pure se fedeli all’islam, non avrebbero mai accettato di capire. Così alla fine costoro se la sono data a gambe.
E’ una notizia che non ha trovato molto risalto nell’informazione mondiale. Il presidente Uhruru Kenyatta ha detto con orgoglio che il senso di Patria ha prevalso sull’appartenenza religiosa. Crediamo piuttosto che finalmente dalla gente comune sia uscita con forza la voglia di non farsi trascinare nella bolgia dell’ideologia. Spesso alle comunità musulmane si rimprovera di non prendere le distanze dall’estremismo con una fermezza convincente. Come ha scritto su the Nation, Charles Onyango-Obbo, un commentatore ugandese, da qualche parte in Kenya si è deciso che i terroristi non avrebbero vinto, che i musulmani kenioti hanno tracciato una linea rossa che cambierà la storia del terrorismo.
E ci piace che questa piccola grande rivolta sia nata proprio dalle donne, che dietro quei veli, hanno dimostrato di essere piccole Grandi Donne.
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