mercoledì 9 dicembre 2015

focus clima 2 basta con le energie fossili

OCUS CLIMA. Servono energie per non restare a secco

Parigini e turisti davanti ai blocchi di ghiaccio dell’operaIce Watch dell’artista danese Olafur Eliasson, esposta simbolicamente ieri davanti al Pantheon a Parigi in occasione della COP21. Il ghiaccio si è sciolto in pochissime ore. (ANSA/AP Photo/Jacques Brinon)
Carbone, petrolio, gas. Negli ultimi duecento anni sono stati il “fuoco” della società industriale, che grazie a queste fonti di energia ha creduto di poter correre all’infinito.
Ma è davvero così?
Di esaurimento delle risorse si parla ormai da decenni: l’espressione “peak oil” viene coniata nel 1956 per indicare il momento in cui le riserve petrolifere avrebbero raggiunto il culmine. Il concetto ha senso dal punto di vista geologico, ma a determinare la scadenza del picco concorrono un insieme di parametri tecnici, economici e politici difficili da valutare.
Mentre molti rapporti indirizzati al Congresso americano indicano che il peak oil si raggiungerà nel 2030, la compagnia francese Total lo colloca nel 2025, e l’Association for the Study of Peak Oil addirittura prima del 2020: quel che è certo è che il volume dei giacimenti scoperti tra il 1990 e il 2010 è già oggi inferiore a quello del consumo mondiale. Malgrado gli sforzi per evolvere verso un modello più sobrio e meno inquinante, si prevede che ancora nel 2030 il 90% dei bisogni energetici verranno soddisfatti da energie fossili. Su questo dato incide soprattutto la crescita dei consumi nelle economie asiatiche, che porterà i Paesi emergenti a raddoppiare la propria domanda di petrolio (per i Paesi Ocse è previsto invece un incremento di un terzo rispetto al livello attuale).
peakedoilQuali sono le alternative praticabili?
Più abbondante e meno inquinante del petrolio, il gas naturale potrebbe essere nel futuro l’”energia di transizione”, ma sconta diversi handicap. Il primo è di natura ecologica, dato che anche il gas contribuisce all’effetto serra. Il secondo è relativo ai costi elevati di trasporto, poco compatibili con la geografia della domanda: a tutt’oggi, l’85% del gas viene consumato dagli stessi Paesi produttori.
Paradossalmente, in un contesto di riscaldamento climatico anche la più inquinante delle risorse rischia di diventare una delle principali alternative: si tratta del carbone, che allo stato attuale fornisce il 40% dell’elettricità mondiale. Nei prossimi decenni si prevede che lo sfruttamento di questa risorsa fossile, abbondante e a buon mercato, continuerà ad aumentare a discapito delle preoccupazioni ambientali. Se infatti si può ormai eliminare l’80% del diossido di zolfo e degli ossidi di azoto che la combustione libera nell’atmosfera, le emissioni di CO2continuano a rappresentare un problema insormontabile.
C’è chi vede nel nucleare l’energia del futuro: con il riciclaggio del combustibile nei reattori di nuova generazione, quella atomica si assimila a una risorsa, se non rinnovabile, perlomeno sostenibile. La filiera nucleare fornisce il 6% dell’energia primaria nel mondo, che corrispondeva al 16% dell’elettricità nel 2010. Nonostante questo, l’atomo non diventerà né l’energia sostitutiva su scala mondiale, né quella della transizione. Oltre alle somme colossali che le centrali esigono in termini di investimento, resta irrisolta la questione della radioattività e del trattamento delle scorie e soprattutto quella del rischio catastrofe, rilanciata con forza dal disastro di Fukushima appena quattro anni fa.
La strada obbligata passa per le fonti rinnovabili, pur condizionate finora da costi elevati e limiti prestazionali che la tecnologia sta comunque riducendo in misura sensibile: idroelettrico, eolico, solare, biomasse e geotermia rappresentano una quota ancora limitata della produzione, ma con potenzialità di sfruttamento immense.
Accanto al progresso tecnico, la grande speranza per l’avvenire energetico si chiama riduzione degli sprechi. L’intensità energetica (cioè la quantità di energia consumata per unità di Pil) si è ridotta del 18,7% dal 1993 al 2011 in 112 Paesi. L’indice ha conosciuto un miglioramento sensibile anche in Cina, pur rimanendo inferiore ad altre regioni del mondo. Si calcola che le nazioni europee, per produrre la stessa quantità di ricchezza, utilizzino il 23% di energia in meno del Nordamerica, il 29% in meno della Cina e addirittura il 66% meno dei Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti.
Dal primo shock petrolifero del 1973, i Paesi Ocse hanno aumentato i consumi energetici solo del 10% a fronte di una crescita del Pil del 100%. Secondo le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), se nel 1971 erano necessari 560 litri di petrolio per generare 1000 dollari di Pil, già nel 2002 non ne servivano più di 380 litri. Da qui al 2020, le proiezioni indicano che questa cifra potrebbe abbassarsi fino a 300 litri. Numeri su cui è lecito coltivare buone speranze, a patto che il trend si rafforzi prima che il motore della Terra rimanga a secco.
Andrea Cascioli
a.cascioli@slowfood.it
Fonti

Nessun commento:

Posta un commento