di Laura Fano Morrissey
Il 20 novembre nella sede dell’Unione Donne in Italia (Udi) viene presentato il libro Stupri di guerra e violenze di genere. Sembra una presentazione come tante, il pubblico è composto principalmente da persone che dell’argomento già sanno. In sala sono presenti solo due uomini. Eppure, mano a mano che la presentazione e la discussione prendono corpo, ci si rende conto che questo libro, che potrebbe sembrare un testo di nicchia per gruppi femministi, contiene in realtà l’attualità più attuale. Quelle quasi cinquecento pagine raccolgono il senso spaventoso del nostro mondo, che si avvia ancora una volta, inesorabilmente, verso una guerra.
E poiché la presentazione avviene a solo una settimana dai fatti di Parigi e quando la Francia ha già bombardato Raqqa, la voce di chi prende la parola è carica di emozione e di turbamento perché sappiamo tutte che la guerra fa male sempre, ma fa male soprattutto alle donne.
Quel “libro degli orrori”, come lo ha descritto Ugo Melchionda (presidente Idos/Dossier Statistico Immigrazioni), ci pone di fronte alla terribile verità: lo stupro è parte integrante della guerra, il corpo delle donne è il bottino da conquistare o il luogo dove lasciare il marchio dell’umiliazione. Negli interventi si perde il senso del tempo, perché la guerra e l’orrore sono esattamente gli stessi in ogni caso studio analizzato. Le donne ciociare “marocchinate” durante la seconda guerra mondiale sono incredibilmente e spaventosamente simili alle bosniache vittime di pulizia etnica durante la guerra in ex-Jugoslavia, così come alle donne yazide rese schiave e stuprate dall’Isis.
Il tempo e il luogo perdono significato di fronte alla barbarie che la guerra porta con sé sempre e ovunque. E si fa ancora più chiaro che niente di tutto questo può essere spiegato attraverso l’antropologia, poiché non ci sono culture che spingono allo stupro e altre no; è l’istinto animale che prende il sopravvento, in società patriarcali così come in quelle meno patriarcali, durante la guerra vera e propria così come in operazioni di peacekeeping.
La tristezza e l’emozione sono forti in sala, aggravate dai venti di guerra che sentiamo avvicinarsi. E l’emozione raggiunge il culmine quando parla Luciana Romoli, ex partigiana che, nei primi anni Cinquanta, andava, insieme alla deputata e presidente dell’Udi Maria Maddalena Rossi, dalle donne della Ciociaria, le faceva parlare del trauma che le aveva marchiate a vita, e soprattutto cercava di convincerle che non avevano colpa per il dramma che le aveva colpite. Ancora una volta il tempo sembra non esistere, perché Luciana Romoli ce ne parla con le lacrime agli occhi come se tutto ciò fosse successo ieri, e in privato mi dice: “Come si fa a dimenticare tutto questo? Certe cose non ti lasciano mai”.
Questo libro è troppo importante per essere lasciato a circoli femminili, sebbene purtroppo solo le donne riescano a capirlo e a farlo proprio fino in fondo. È un libro che deve assolutamente raggiungere gli uomini, ancora considerati dalla narrativa ufficiale le figure centrali delle guerre, eroi caduti in combattimento e strappati alle loro case. In un momento tragico e incerto come quello che stiamo vivendo, questo libro potente e spaventoso deve raggiungere tutti, soprattutto i giovani, per farci riflettere sulla “banalità del male” e sulla necessità di rompere questo schema terribile che ha accompagnato finora la storia dell’umanità.
* Laura Fano è antropologa sociale, attivista e mamma. Ha lavorato per quindici anni nel settore della cooperazione internazionale. In libreria il suo libro “Invisibili? Donne latinoamericane contro il neoliberismo” (Ediesse, 2014).DA LEGGERE
Le donne ribelli di Siria
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mercoledì 9 dicembre 2015
rompere lo schema della violenza di genere
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