Una finanziaria sbilanciata dalla parte sbagliataby Riccardo |
Presentato il XVII rapporto della campagna Sbilanciamoci!, dal titolo "Come usare la spesa pubblica per i diritti, la pace, l'ambiente". Secondo Sbilanciamoci! anche quest'anno, come nel 2014, "l'obiettivo del raggiungimento di bilancio è posticipato", inoltre "alla redistribuzione del patrimonio e del reddito il governo preferisce di fatto la redistribuzione delle diseguaglianze". Contro questa situazione il rapporto di Sbilanciamoci! propone una controfinanziaria di 35 miliardi di euro le cui direttrici principali sono, sul versante entrate: una riforma fiscale improntata all'equità e alla progressività con una spending review finalizzata a ridurre o eliminare la spesa pubblica inutile o nociva, "come quella militare"; sul fronte delle uscite un sostegno serio al reddito. Qui l'introduzione del rapporto.
di campagna Sbilanciamoci!
Niente da fare, sono in molti – la stragrande maggioranza – a dover attendere: i giovani disoccupati che vorrebbero lavorare o, almeno, avere un reddito minimo; molti dei lavoratori scippati dalla riforma Fornero della loro pensione alle porte; gli studenti in attesa di un piano nazionale per il diritto allo studio; i genitori in cerca di servizi per l’infanzia accessibili; i pensionati ai limiti della soglia di povertà e i lavoratori pubblici imprigionati in un contratto bloccato da almeno sei anni. Per loro nella Legge di Stabilità 2016 c’è poco o niente. In compenso c’è molto per le imprese. E ciò che trapela dalla Commissione Bilancio del Senato, dove la legge è in esame nel momento in cui scriviamo, non è niente di buono.
Qualcuno l’ha definita berlusconiana, altri, forse più acutamente, reaganiana. Sicuramente è iniqua, di corto respiro e priva di una strategia adeguata a rilanciare l’economia del paese, una brutta copia della Legge di Stabilità 2015.
Come quella dell’anno scorso, è presentata come una manovra espansiva. Oggi come allora l’obiettivo del raggiungimento del pareggio di bilancio è posticipato di un anno, questa volta al 2018. Bella notizia, potrebbe pensare chi, come noi, dall’esordio della crisi ha chiesto di abbandonare le politiche di austerità che hanno massacrato i paesi più deboli dell’Europa, primo fra tutti la Grecia.
Ma più che rinunciare all’austerità il Governo si limita a rallentare il passo: il rapporto deficit/Pil programmato nella Nota di aggiornamento al Def 2015 presentata a ottobre è del 2,6% per il 2015 e del 2,2 o del 2,4% per il 2016, dunque comunque inferiore al limite del 3% imposto da Bruxelles. Quello 0,2% di differenza in sospeso sul 2016 dipende dal riconoscimento o meno di quella clausola che propone spudoratamente all’Europa di usare i migranti giunti nel nostro paese per ottenere un’ulteriore flessibilità di bilancio pari a 3,1 miliardi di euro. L’ingegno si trasforma in beffa con la destinazione della concessione eventualmente ottenuta all’anticipazione al 2016 della riduzione della tassa sui profitti delle imprese, l’Ires, programmata a partire dal 2017.
Ma più che rinunciare all’austerità il Governo si limita a rallentare il passo: il rapporto deficit/Pil programmato nella Nota di aggiornamento al Def 2015 presentata a ottobre è del 2,6% per il 2015 e del 2,2 o del 2,4% per il 2016, dunque comunque inferiore al limite del 3% imposto da Bruxelles. Quello 0,2% di differenza in sospeso sul 2016 dipende dal riconoscimento o meno di quella clausola che propone spudoratamente all’Europa di usare i migranti giunti nel nostro paese per ottenere un’ulteriore flessibilità di bilancio pari a 3,1 miliardi di euro. L’ingegno si trasforma in beffa con la destinazione della concessione eventualmente ottenuta all’anticipazione al 2016 della riduzione della tassa sui profitti delle imprese, l’Ires, programmata a partire dal 2017.
Anche quest’anno, e qui la continuità con il passato purtroppo si allunga di molto, il Governo sceglie come priorità la riduzione delle tasse omettendo di dire che si tradurrà anche in un ulteriore taglio dei servizi pubblici. Sull’abolizione della Tasi “per tutti” il Presidente del Consiglio ha centrato la sua campagna di comunicazione, ben sapendo che, anche grazie alla delegittimazione delle istituzioni e al progressivo smantellamento dei servizi pubblici avvenuto in questi anni, questa misura potrà fare breccia su una buona parte della popolazione.
Alla redistribuzione del patrimonio e del reddito il Governo preferisce la redistribuzione delle diseguaglianze a vantaggio di chi si trova nelle posizioni più privilegiate: ricchi e imprese. Per queste sono previsti per i prossimi tre anni anche il “superammortamento” fiscale per investimenti in macchinari e attrezzature e l’abolizione dell’Imu agricola e sui macchinari imbullonati. Metà della manovra è destinata a impedire lo scatto delle clausole di salvaguardia che provocherebbero un aumento delle accise sui carburanti e dell’Iva, anche qui non risolvendo ma rinviando soltanto il problema agli anni successivi.
Ciò che sconcerta è che tutto questo viene fatto nella totale incapacità di controllare la finanza pubblica: della famosa spending review intelligente non si è vista nemmeno l’ombra, i tagli alla spesa pubblica proseguono ma sono quelli sbagliati.
Il Fondo Sanitario Nazionale passa a 111 miliardi di euro nel 2016 rispetto ai 115 previsti nel Patto per la Salute 2014-2016, un taglio ulteriore di 2 miliardi rispetto a quanto programmato che si aggiunge a quello già effettuato con la Legge di Stabilità 2015, pari a 2,3 miliardi a partire dal 2016.
Contro la povertà si prosegue la strada delle misure frammentarie, stanziando risorse aggiuntive sicuramente significative rispetto al passato (600 milioni sul 2016 e 1 miliardo sul 2017), ma rinviando ancora una riforma organica destinata a introdurre una misura strutturale di sostegno al reddito. Per i Fondi Sociali l’unica novità positiva, ma ampiamente insufficiente, risiede nello stanziamento aggiuntivo di 150 milioni a favore del Fondo Nazionale per la Non Autosufficienza, mentre il Fondo Sociale Nazionale resta fermo alla dotazione di 312,5 milioni di euro definita nella Legge di Stabilità 2015. Evidentemente il modello di welfare che ha in mente il Governo è sempre più quello privatistico-aziendale: leggere per credere l’art. 12 della Legge di Stabilità che favorisce fiscalmente i servizi di welfare aziendali per l’erogazione dei quali incentiva l’utilizzo dei voucher.
In materia ambientale restano gli stanziamenti per le grandi opere (2,8 miliardi) e, nell’anno della Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, l’unico finanziamento specifico previsto è di 16,3 milioni di euro. In compenso gli allegati alla Legge di Bilancio confermano la scelta di investire nei sistemi di armamento, in primo luogo sugli ormai noti F-35: la mozione della Camera che ne chiedeva il dimezzamento è carta straccia. Nulla di fatto per gli attesi stanziamenti aggiuntivi per il Servizio Civile Nazionale, per il quale restano i 115 milioni di euro stanziati nel 2015.
Né sono previsti provvedimenti di contrasto all’evasione fiscale (stimata in 130 miliardi l’anno), anzi. Il Governo sceglie di fare un passo indietro rispetto alle (poche) scelte oculate fatte in anni recenti proponendo di innalzare a 3.000 euro la soglia del pagamento in contante: il modo migliore per incentivare l’elusione fiscale negli scambi di prestazioni tra privati, con grande gioia di quei professionisti che potranno ricattare più facilmente i loro clienti, abbassando il costo della prestazione se pagata in nero e dunque non tracciabile. Tanto meno si sceglie di estendere l’applicazione della Tassa sulle Transazioni Finanziarie grazie alla quale potrebbero entrare nelle casse dello Stato diversi miliardi di euro in più.
Infine, ma non certo per importanza, dei giovani disoccupati il Governo sembra proprio essersi dimenticato: qui il verso non è cambiato, nel senso che non c’è. Eccezion fatta per la previsione di sgravi contributivi per i neo-assunti nel 2016 (più ridotti rispetto a quelli previsti per quest’anno) e per l’assunzione manifesto di 1.520 “eccellenze” tra professori e ricercatori, non c’è traccia di un piano pubblico serio e lungimirante a sostegno del rilancio dell’economia e dell’occupazione. Del resto la strategia è sin troppo chiara: confidare nella congiuntura internazionale favorevole e negli investimenti privati che dovrebbero giungere grazie al progressivo taglio del costo del lavoro.
Ai circa 31,6 miliardi impiegati male della manovra del Governo, Sbilanciamoci! contrappone quest’anno una contromanovra di dimensioni più ampie – 35 miliardi di euro –, come sempre in pareggio. Le direttrici sono quelle che hanno contraddistinto le nostre contromanovre negli ultimi anni. Sul versante delle entrate: l’opzione per una riforma fiscale improntata all’equità e alla progressività e una spending review molto selettiva, finalizzata a ridurre o eliminare la spesa pubblica inutile e nociva.
Sul versante delle uscite: un intervento pubblico forte in campo economico a sostegno della buona occupazione, della riduzione delle diseguaglianze di reddito, economiche e sociali; un riorientamento profondo della spesa pubblica a beneficio del servizio sanitario nazionale, dei servizi pubblici di assistenza sociale, dell’istruzione, della ricerca pubblica, della cultura, della tutela dell’ambiente e delle forme di altraeconomia.
Con una novità: abbiamo scelto quest’anno di optare più coraggiosamente rispetto al passato per l’introduzione di una forma strutturale di sostegno al reddito che consenta di vivere in modo dignitoso anche a chi non è ancora entrato nel mercato del lavoro, ne è uscito prematuramente o ne fa parte in una forma che non assicura un reddito sufficiente.
La proposta segue e si inserisce nel contesto di una lunga riflessione collettiva sulla portata delle riforme del mercato del lavoro adottate nell’ultimo ventennio, raccolta nelWorkers Act, pubblicato nel giugno di quest’anno e scaricabile sul sito sbilanciamoci.info.
Il segnale che vorremmo lanciare, prima ancora che tecnico, è politico e culturale. Alla luce della crisi economico-finanziaria che ha segnato gli ultimi anni, ma soprattutto delle grandi trasformazioni che hanno interessato il sistema economico globale, i processi produttivi e la struttura del mercato del lavoro, sembra davvero giunto il momento di ripensare congiuntamente e in modo organico le politiche del e sul lavoro e il sistema di welfare di un paese che è ormai solo in Europa, insieme alla Grecia, a non avere nessuna misura di sostegno al reddito. Se non ora quando?
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