ordo sul clima spiegata da Parigi
«Il mondo chiede qualcosa di meglio». La protesta di sindacati, ambientalisti, giovani e indigeni
[10 dicembre 2015]
Ieri è stata pubblicata l’ultima versione (ulteriormente modificata oggi, entrambe in allegato) del progetto di accordo di Parigi, e il testo è insoddisfacente. La“Giusta transizione” è solo nel preambolo e i diritti umani lo sono addirittura fra parentesi, quindi c’è il serio rischio che possano essere cancellati dal testo definitivo. Il nuovo progetto lascia tutte le questioni chiave irrisolte: gli obiettivi a lungo termine, il meccanismo di revisione, gli impegni finanziari per il dopo 2020, la differenziazione fra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo, il trasferimento tecnologico. È ancora tutto da definire.
Un paio di esempi per capire meglio. Nell’articolo 3 sugli Obiettivi collettivi di mitigazione a lungo termine si ripropongono come opzioni alternative: una riduzione delle emissioni del 40-70% o del 70-95% rispetto ai livelli del 2050, per raggiungere le zero emissioni di gas a effetto serra alla fine del secolo o nel 2050. All’Art. 6 sulla Finanza si afferma invece che i paesi sviluppati dovranno prevedere [nuovi] [aggiuntivi,] [adeguati,] [prevedibili,] [, accessibili] e [sostenuti in scala-up] risorse finanziarie per aiutare lo sviluppo dei paesi in via di sviluppo per quanto riguarda la mitigazione e l’adattamento. Se si considera che tutto quello che è scritto fra parentesi può ancora essere cancellato ne risulta che i paesi sviluppati dovranno prevedere risorse finanziarie per aiutare i paesi in via di sviluppo senza alcun riferimento concreto a tempi e quantità.
I negoziati vanni avanti ma i leader mondiali non stanno, al momento, dando nessuna risposta concreta alle richieste del movimento per il clima. La giustizia climatica è una necessità drammaticamente urgente ora, non alla fine del secolo. I popoli del sud e del nord del mondo pretendono giustizia sociale, piena occupazione, sicurezza alimentare, autodeterminazione. I leader mondiali dovrebbero mettere da parte una volta per tutte gli egoismi nazionali, gli interessi dei produttori fossili e della finanza e guardare alle richieste dei propri popoli.
Il rispetto dei diritti umani, la tutela del lavoro, la creazione di nuova e dignitosa occupazione, l’accesso al cibo, all’acqua e all’energia per tutti; non si tratta di questioni di secondaria importanza che possano essere relegate, forse, in qualche vago accenno nel preambolo dell’accordo. Non c’è alcuna ambizione nell’accordo di Parigi se l’obiettivo di 1,5 °C (o 2°C) resta solo un’enunciazione di principio mentre i contributi volontari ci porteranno sulla strada di un aumento oltre i 3 °C e non si prevede nessun meccanismo di revisione obbligatoria.
Non è questo l’accordo che vogliamo. Per questo il movimento sindacale, i movimenti sociali, i popoli indigeni, i giovani, le associazioni ambientaliste hanno messo in atto un’azione all’interno della Cop subito dopo la pubblicazione della nuova bozza di accordo (vedi fotogallery). Prima seduti a terra e poi in marcia per i corridoi della Conferenza per protestare contro la completa inadeguatezza del testo contro la crisi climatica. Per chiedere giustizia climatica ora, per dire che il mondo chiede qualcosa di meglio che questo misero testo.
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