L’ENEL
SE NE VA, MA IL NUOVO OSPEDALE ARRIVA?
Come sta Spezia? Un lungo soggiorno di lavoro in Africa mi ha
necessariamente portato lontano anche con la “testa”: non solo
per il grande impegno che il lavoro ha comportato, ma anche e
soprattutto perché l’Africa è una terra che ti entra dentro,
coinvolgendoti totalmente (ho raccontato questa esperienza non solo
nelle venti puntate del “Diario do centro do mundo” su questo
giornale, ma anche nelle interviste “Giorgio Pagano in stile
africano” e “Pagano a Sao Tomè per la cooperazione, con un
occhio a Spezia”, leggibili su
www.associazioneculturalemediterraneo.com).
Tuttavia, luce elettrica e connessione a internet permettendo,
qualcosa ho seguito, e ora sto leggendo un po’ di rassegna stampa.
Due sono le notizie che mi hanno colpito di più: la dismissione
dell’Enel e le difficoltà a realizzare il nuovo ospedale.
Sull’Enel
ho letto l’intervista del 27 giugno alla “Nazione” del
direttore di Enel Italia Carlo Tamburi, i cui contenuti erano stati
anticipati da Daniela Patrucco del Comitato SpeziaViaDalCarbone, che
aveva partecipato all’assemblea dei soci di Enel. Tamburi è stato
chiaro: i due gruppi a metano vanno subito chiusi e dismessi, perché
il gas costa troppo, mentre “il gruppo a carbone resterà in
esercizio molto probabilmente fino al 2021, data di scadenza
dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA)”. Perché Tamburi
ha usato il termine “probabilmente”? Perché teme nuove direttive
europee, oltre quelle che entreranno in vigore nel 2016, che
impongano “ulteriori investimenti per migliorare le performance
ambientali dell’impianto, di proporzioni tali da risultare
antieconomici”. Comunque oltre il 2021 non si andrà, e Enel pensa
all’affare: “Pensiamo che un sito come questo, già utilizzato e
dotato di infrastrutture e di una logistica efficiente, possa
esercitare una capacità attrattiva notevole per chi abbia idee e
soldi da investire”. Da investire anche per la bonifica, i cui
costi Enel non vorrebbe accollarsi, ma quantomeno condividere con i
partner investitori.
L’elaborazione
ecologista aveva già da tempo chiarito la scelta della dismissione
era ineluttabile, oltre che giusta. Da un lato abbiamo troppa
energia: la potenza installata in Italia è più del doppio di quanto
il Paese richieda. Dall’all’altro lato, il carbone produce danni
all’ambiente: questo torrido 2015 ci dimostra quanto stia crescendo
l’effetto serra creato dal consumo degli idrocarburi. Uno studio
condotto dalla Bloomberg -una multinazionale dei mass media, non
un’associazione ecologista - sulle fonti energetiche per i prossimi
25 anni, conferma il primato delle rinnovabili in un futuro non
troppo lontano. Entro il 2026, il costo del fotovoltaico si
dimezzerà. Entro il 2040, quasi 4.000 miliardi di dollari saranno
investiti nel fotovoltaico, principalmente sui tetti delle case.
L’energia solare rimpiazzerà le fonti di energia tradizionali.
Prima della metà del secolo, il 13% dell’elettricità mondiale
proverrà dai generatori fotovoltaici installati negli edifici.
Grazie alla maggiore efficienza, il consumo di elettricità globale
aumenterà solo dell’1,8% annuo contro il 3% dal 1990 al 2012, e
nei Paesi dell’Ocse addirittura diminuirà. Gli idrocarburi non
scompariranno, dice lo studio, solo nei Paesi in via di sviluppo.
La
prima riflessione da fare è questa: nonostante tutto ciò, la scelta
della dismissione non è arrivata dal Ministero dell’Ambiente,
dalla Regione o dal Comune. L’abbiamo saputo dall’Enel! Sul
“Secolo XIX” è stata fatta nei giorni scorsi un’inchiesta sul
tema “chi detiene il potere a Spezia”, e gli intervistati si sono
divisi nel citare gli uomini politici. Ma la vicenda Enel è
emblematica: il potere è nelle mani dell’economia! I politici
vanno in tv, fanno interviste e twittano, litigano tra loro o spesso
fanno finta di litigare: ma a comandare è l’economia. La politica
è relegata ai margini delle grandi scelte, e inevitabilmente al suo
interno le distinzioni tra destra e sinistra sfumano, perché i
politici sono sempre più subalterni al potere del denaro. Qualcuno è
corrotto, tanti altri hanno una subalternità di carattere
psicologico e culturale. I cittadini si fanno sviare da una politica
molto teatralizzata, e pensano che sia essa a detenere il potere, ma
non è così. Il Presidente dell’Autorità Portuale è considerato,
nell’inchiesta, il più potente: ma in realtà nel porto comanda
molto di più la Contship che lui.
Per
dimostrare di esistere davvero, la politica dovrebbe intanto
anticipare il più possibile la chiusura dei gruppi a carbone. Sono
stato molto critico, nel 2013, quando il Ministero dell’Ambiente,
d’accordo con Regione e Comune, concesse l’AIA: l’autorizzazione
avrebbe dovuto essere molto più vincolante dal punto di vista
ambientale, per esempio prescrivendo la chiusura del gruppo a carbone
entro i primi tre anni. Ora è tutto più difficile, ma non
dimentichiamo un punto chiave: l’AIA avrebbe dovuto basarsi su una
Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario, a sua volta
basata anche su uno studio epidemiologico dell’area interessata.
Tutto ciò a Spezia non c’è stato, o c’è stato in modo carente.
Il Comune, quindi, supportato dalla Regione, potrebbe e dovrebbe
giocare un ruolo molto più incisivo, puntando sulla questione della
salute dei cittadini.
L’altro punto per un
“riscatto” della politica è quello di un utilizzo dell’area
bonificata per un nuovo tipo di sviluppo, che dia lavoro rispettando
l’ambiente. Non c’è dubbio che l’area debba restare
produttiva. Che un Presidente, sia pure dimissionario, dell’Unione
Industriali abbia proposto, come ha fatto Giorgio Bucchioni su “Città
della Spezia” a fine settembre, di realizzare il nuovo stadio
nell’area Enel o in quella limitrofa della polveriera militare, mi
è sembrato quantomeno bizzarro. A parte il fatto che è molto più
semplice ampliare il Picco, e semmai mitigare i problemi viabilistici
in viale Fieschi trovando un’intesa con la Marina, mi domando: ma
se vogliamo, come città, continuare a produrre cose senza pensare di
vivere solo di economia immateriale, dove produciamo queste cose se
non in aree industriali dismesse, vicine all’autostrada, al porto e
alle altre aree industriali? Il punto è: quali cose produrre in
quest’area dalle enormi potenzialità? L’accento va certamente
posto sulla lavorazione delle merci che arrivano in porto e sulla
nautica da diporto, ma anche sulle fonti rinnovabili -con
un’auspicabile presenza in forme del tutto nuove di Enel- e più in
generale sulle produzioni innovative e green. Senza dimenticare che
sarà destinato ad altre funzioni il grande molo che nel porto è
utilizzato dalle carboniere, il che rende possibile quantomeno
discutere di una questione che finora nemmeno poteva essere posta: la
realizzazione della stazione marittima a Levante. Da questo punto di
vista è positivo che il Sindaco e l’assessore alla Sostenibilità
ambientale abbiano affermato nei giorni scorsi che “la programmata
dismissione della centrale Enel impone l’avvio di un confronto
nella città per definire, con il coinvolgimento di tutte le parti
interessate, scenari futuri condivisi e capaci di assicurare nuove
forme di sviluppo per il nostro territorio” (“Città della
Spezia”, 30 ottobre). Ritorna, insomma, l’esigenza della
“strategia”. La solleva, su un altro tema, quello del riuso delle
aree militari, anche la segretaria della Uil Nadia Maggiani, che in
un’intervista alla “Gazzetta della Spezia” del 17 ottobre
propone un di lavorare a un “progetto di ampio respiro, a una
strategia complessiva” che riunisca attorno a un tavolo permanente
tutti gli attori istituzionali e sociali. Si riaffaccia, insomma, il
tema della politica e non dell’economia come vettore. Cioè il tema
della politica come deliberazione partecipata e discorso pubblico per
le scelte condivise della collettività. Il che richiede non solo
“tavoli” sui singoli temi separati tra loro ma anche una sede
unitaria di progettazione territoriale del governo locale che
certamente non si sostituisca al mercato, ma offra un luogo per la
sintesi tra pubblico e privato e contribuisca a creare mete
collettive, una visione del futuro nella quale possano riconoscersi
non solo gli operatori privati ma tutti i cittadini spezzini.
- - -
Mi ha colpito, infine, un
articolo di Renzo Raffaelli sul “Secolo XIX” del 14 settembre,
dal titolo “Quale ospedale? Nessuno lo ha capito”. Scrive
Raffaelli: “Nel 2016 inizierà il percorso che porterà al nuovo
ospedale. Ma quale ospedale avremo? Dipende, come noto, dal bacino di
utenza. Quello spezzino, 220.000 abitanti, con le nuove disposizioni
consente un ospedale provinciale, ridimensionato rispetto a quello
attuale. Il Sant’Andrea, con questi numeri, perderebbe divisioni
importanti come medicina nucleare e dovrebbe rassegnarsi a un Dea
(Dipartimento di emergenza e accettazione) di primo livello. Per
ampliare il bacino di utenza è necessario dunque fare delle alleanze
guardando verso il Tigullio o verso Massa-Carrara. Questa necessità
è nota a tutti da tempo: ma che cosa si è fatto fino a oggi? Quali
politiche sono state messe in campo?”. Domande precise, che non mi
pare abbiano avuto ancora risposte precise da parte della Regione e
dei Comuni. L’unica cosa che ho letto è che tre Comuni spezzini
hanno chiesto di passare dalla nostra Asl a quella del Tigullio! Ma
senza queste risposte rischiamo di costruire un ospedale senza sapere
che cosa conterrà.
Resta poi aperto il nodo
delle risorse, che in parte dovranno essere reperite vendendo
l’attuale ospedale. Ma qualcuno comprerà il Sant’Andrea? E che
cosa vorremmo al suo posto? Stiamo parlando di un’area chiave della
“nuova città”, punto di interconnessione tra l’area ex Ip, che
sta alle sue spalle, e Calata Paita, che le sta davanti. Ma nell’area
ex Ip c’è solo il centro commerciale, non si sente più parlare
del grande parco urbano ma solo dell’area per i luna park e i
circhi. Mentre la restituzione di Calata Paita alla città è avvolta
nelle nebbie. Il Piano Regolatore del Porto non ha fatto un passo in
avanti in otto anni, ora leggo che si può finalmente partire con
l’espansione del porto a levante. Ma a tre condizioni, che sono
alla base del PRP: che le Marine del Canaletto e di Fossamastra e le
attività dei mitilicoltori abbiano spazi equivalenti; che siano
attuate le prescrizioni ambientali; e che la città abbia in cambio
Calata Paita. Tutto si lega, non può esserci un tassello senza
l’altro. Insomma, la domanda “come sta Spezia?” ci spinge,
innanzitutto, a riprendere, in forme nuove, la strada della
partecipazione e della condivisione.
Post scriptum
Ho affrontato il tema
dell’Enel nei seguenti articoli, leggibili su
www.associazioneculturalemediterraneo.com
“Caro Orlando servono
profonde modifiche all’AIA Enel”, Il Blog di Mastro Geppetto 24
giugno 2013
“La partita Enel
decisiva per il futuro”, Il Secolo XIX, 13 luglio 2013
“Enel, metano al posto
del carbone”, Città della Spezia, 1° settembre 1013
“Enel e gas serra,
conto alla rovescia”, Il Secolo XIX, 13 luglio 2014
Per qualche settimana le
fotografie della rubrica saranno ancora fotografie di Sao Tomè e
Principe. La foto odierna in alto è in realtà una foto scattata a
Ginevra da Enrico Amici il 24 ottobre scorso, in occasione del 70°
anniversario dell’Onu. Nel Parco del Palazzo delle Nazioni è stata
inaugurata la grande scultura di Michelangelo Pistoletto “Rebirth”,
ispirata al simbolo dell’infinito, composta da 193 pietre che
rappresentano gli attuali Stati membri delle Nazioni unite. “Rebirth”
è il simbolo della rinascita, della creazione di un nuovo mondo di
armonia attraverso il dialogo tra gli opposti. Ogni pietra porta
inciso il nome del Paese che rappresenta: la foto è della pietra di
Sao Tomè e Principe. Con “Rebirth” esprimo la vicinanza alla
Francia, nel nome dell’armonia e del dialogo, della civiltà e
della cultura, della libertà e della democrazia.
lucidellacitta2011@gmail.com
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