Cnr, in Italia il 21% del territorio rischia di trasformarsi in un deserto
Il fenomeno legato a cambiamenti climatici e cattiva gestione del territorio: «Le conche di polvere sono un punto di non ritorno»
[26 agosto 2015]
La parola deserto evoca nell’immaginario comune scenari di una bellezza crudele quanto lontana. La spiazzante vastità del Sahara, con le dune sovrastate sotto un tappeto di stelle. Ma di deserti ne esistono in realtà molti, lontani dallo stereotipo: c’è il deserto sabbioso e quello roccioso, quello di ghiaccio come quello di sale. E poi c’è l’Italia.
«Le aree siccitose coprono oltre il 41% della superficie terrestre e vi vivono circa 2 miliardi di persone», e tra queste vaste aree potrebbe presto essere ricompresa una fetta assai rilevante dell’Italia. Lo ricorda Mauro Centritto, direttore dell’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e coordinatore della conferenza che questo tema vuole invece portare all’attenzione dell’opinione pubblica e degli stakeholder: “Siccità, degrado del territorio e desertificazione nel mondo”, a partire dalle ore 14.30 di oggi presso il Padiglione Italia di Expo- Milano.
«Se si guarda all’Italia – sottolinea Centritto – gli ultimi rapporti ci dicono che è a rischio desertificazione quasi 21% del territorio nazionale, il 41% del quale si trova nel sud. Sono numeri impressionanti che raccontano di un problema drammatico di cui si parla pochissimo».
Eppure il processo di desertificazione trascina con sé implicazioni di vasta portata, oltre alla polvere. «Il 72% delle terre aride ricadono in paesi in via di sviluppo, la correlazione povertà-aridità è dunque chiara», evidenzia Centritto. E la diffusione di questi territori sempre più inospitali acuirebbe ovviamente le ondate migratorie in atto: «Ad essere colpiti dalla siccità sono infatti i paesi del bacino Mediterraneo, tra i più fragili dal punto di vista ambientale e antropico. Molte persone che arrivano da noi non fuggono dalla guerra, ma da aree rese invivibili dalla desertificazione, sono rifugiati ambientali. E il loro numero è destinato a crescere esponenzialmente nel prossimo futuro. Occorre un approccio sistemico al problema, capace di riportare in equilibrio ecologico i territori a rischio».
Guardando all’estendersi della desertificazione all’intero dei confini italiani, però, ai problemi legati al riscaldamento globale si legano indissolubilmente quelli inerenti la cattiva gestione del suolo. «Entro la fine di questo secolo le previsioni parlano, per il bacino del Mediterraneo, di aumenti delle temperature tra 4 e 6 gradi e di una significativa riduzione delle precipitazioni, soprattutto estive: l’unione di questi due fattori genererà forte aridità. Paradossalmente – spiega Centritto –, mentre per mitigare i cambiamenti climatici sarebbe sufficiente cambiare in tempo la nostra politica energetica, per arrestare la desertificazione questo non sarà sufficiente, poiché il fenomeno è legato anche alla cattiva gestione del territorio”, aggiunge Centritto. “Le conseguenze di quest’inadeguata gestione sono sintetizzate nella espressione inglese Dust bowlification, da dust, polvere, e bowl, conca. È un concetto differente dalla desertificazione, giacché anche i più estremi deserti sono comunque degli ecosistemi (le aree aride includono il 20% dei centri di biodiversità e il 30% dell’avifauna endemica), mentre le conche di polvere sono un punto di non ritorno».
Lungo lo Stivale, le aree più a rischio sono ovviamente quelle del Sud. In Sicilia quelle che potrebbero essere interessate da desertificazione «sono addirittura il 70%, in Puglia il 57%, nel Molise il 58%, in Basilicata il 55%, mentre in Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%». Ma un recente studio promosso dalla Commissione europea mette in evidenza come il nord Italia e buona parte dell’Europa centrale siano interessate quest’anno da fenomeni siccitosi come non se ne vedevano dal 2003. I rischi sono alti e diffusi, ma le risposte – sia per i cambiamenti climatici sia per un miglior uso del suolo – già ampiamente disponibili per affrontarli. Manca la volontà politica di portarle avanti.
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