venerdì 28 agosto 2015

Saviano-De Magistris non sono il nostro SUD

Saviano-De Magistris: un bel match targato Sud

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SAVIANO DE MAGISTRIS
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Tra Saviano e de Magistris ha ragione il primo. Sbaglia il sindaco a dire che "fare letteratura unilaterale è proprio quello che le mafie vogliono". È la realtà a consegnare allo scrittore critica e pessimismo, è la storia a dire che non sbaglia. Il Sud è stato per decenni terra di conquista elettorale di centinaia di politici. Con promesse mai mantenute e milioni erogati a pioggia, un acquazzone di investimenti ciechi che ha desertificato le speranze e fertilizzato la criminalità organizzata.
"Con quello che abbiamo speso in sussidi di disoccupazione dalla fine della guerra avremmo potuto rendere le nostre città le più grandi opere dell'uomo sulla faccia della terra": sembra Salvini, invece è Keynes, in National Self-Sufficiency, 1938. Parlava dell'America, certo. Ma il concetto atterra oltreoceano e fotografa la politica meridionalista post boom economico. Una politica di liquidità, diretta a sostenere l'economia del Mezzogiorno, sulla carta una trama destinata al successo, nei fatti invece un tessuto diventato colabrodo perché incapace di allargare efficacemente la produzione, essendo questa sistematicamente sussidiata dall'esterno.
Un intervento illusorio, ingannevole, al quale pochi, ricordo per tutti Giuseppe Galasso "Il meridionalismo dovrebbe umiliarsi e pentirsi" chiedevano di porre fine. C'è una sintesi del nostro sud che ricordo, affascinato e addolorato: è frutto, ancora, del pensiero di Galasso, che Massimo Lo Cicero, brillante economista, napoletano come Saviano e de Magistris, scannerizza così: "Per guardare il sud bisogna essere strabici: guardare quello che rimane immobile e quello che si muove ma non vediamo, perché siamo troppo concentrati su quello che vediamo immobile. E vediamo quasi sempre povertà, incapacità amministrativa, delinquenza ed economia sommersa, tra le quali corre un incerto e labile confine". Una sintesi che, involontariamente, nutre l'affermazione di Renzi: "La retorica del sud abbandonato è autoassolutoria". Purtroppo c'è del vero in queste parole. Per questo, caro De Magistris, credere alla politica non è semplice. In tanti si chiedono come si può regolare un'economia dove lo Stato è il problema e non la soluzione.
E così la politica ritorna, ipnotica, con le sue eterne promesse. Eppure caro Saviano, stavolta, nonostante la stanchezza della nostra gente, forse stavolta, l'ultima, dovremmo consentire alla politica di (provare a) consegnarci il sud che ci meritiamo, ora o mai più, vorrei dire. Al netto della nostra autentica rabbia, delle nostre profonde lacerazioni.
P.s. Comunque, caro Roberto, ti sento usare toni particolarmente duri: se ti ho seguito con attenzione in questi anni, non cedere alle lusinghe del partito del rancore. Hai rifiutato, come me, l'iscrizione al partito del rimorso e del rimpianto. Evita di emulare Flaiano: "Una volta il rimorso mi seguiva, adesso mi precede".
E ricorda Tabucchi: "Il Dio del rimpianto non può abitare in un palazzo o in una casa sfarzosa, ma in una dimora povera come un singhiozzo che sta tra le cose di questo mondo con la stessa vergogna con cui una pena segreta sta nel nostro animo". Guarda avanti con gli occhi buoni che hai. Da uomo del sud te ne sarò grato.

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