Parigi: abbiamo bisogno del senso della proporzione
"A più di una settimana dagli attentati terroristici di Parigi del 13 novembre, ogni televisione e ogni programma di qualsiasi tipo sono totalmente dominati da un flusso continuo di notizie sull’argomento". Sono le parole di John Scales Avery; riportiamo qui un suo intervento, provocatorio, ruvido, che farà discutere. Ma è utile il confronto per non essere gregge.
di John Scales Avery* - 26 Novembre 2015
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Gli attacchi, che hanno provocato 130 morti e 80-99 feriti gravi, sono stati presentati dai mass media con una tale concentrazione isterica da fare tabula rasa di qualsiasi altra notizia. Il numero relativamente contenuto di morti non sembra avere valore. I mass media, controllati dalle Corporation, ci stanno derubando del senso della proporzione.
Con la conferenza sul clima, COP21, che sta per partire nella stessa città, il 30 novembre, abbiamo urgentemente bisogno di recuperare questo senso della proporzione. Il terrorismo è un grande pericolo per la civiltà umana e la biosfera? O si tratta di qualcosa di molto piccolo, che è stato portato ad una dimensione completamente sproporzionata dai media con l’obiettivo di vendere guerre e armi, di minare le libertà civili e di opprimere i cittadini?
Quali sono i veri pericoli? Qual è la loro portata in termini di persone coinvolte? La scienza è unanime nel dirci che ipericoli reali sono i cambiamenti climatici fuori controllo e le carestie e la fame su larga scala.
Proviamo a considerare cosa potrebbe accadere se la conversione al 100% da fonti fossili a energie rinnovabili non si compirà in pochi decenni. Sappiamo dagli studi dei geologi che ci sono stati cinque eventi di estinzione di massa durante ognuno dei quali oltre la metà degli organismi viventi si è estinta. Il maggiore di essi è stato il Permiano-Triassico, durante il quale il 96% di tutte le specie marine si sono estinte insieme al 70% dei vertebrati terrestri.
Se non passiamo velocemente dalle fonti fossili a quelle rinnovabili, rischiamo di passare il punto di non ritorno oltre il quale gli sforzi dell’uomo per controllare il cambiamento climatico saranno inutili. Se non agiamo in fretta c’è il rischio di andare verso una sesta estinzione di massa causata dall’uomo. La specie umana potrebbe sopravvivere migrando ai poli o nelle zone di alta montagna, ma la popolazione umana sarebbe poi calcolata in milioni, non più in miliardi. Ci sarebbe poi la tragica perdita della maggior parte delle specie vegetali e animali che conosciamo e cerchiamo di proteggere. E’ dunque possibile una conversione al 100% dalle fonti fossili a quelle rinnovabili? Tale cambiamento dovrà avvenire per forza nel giro di un secolo o poco più perché sono in via di esaurimento le riserve di carbone, petrolio e gas. Ma è vitale che si acceleri, che tutto accada entro pochi decenni per evitare di oltrepassare il punto da cui poi il cambiamento climatico diventerà incontrollabile. La speranza che questa rivoluzione energetica sia possibile tecnicamente arriva dalla fortissima crescita dell’energia solare ed eolica. Se questi tassi di crescita saranno mantenuti, la transizione verso l’energia rinnovabile può essere compiuta nei prossimi vent’anni.
E’ importante che a COP21 siano discussi anche i sussidi governativi attualmente versati alle aziende delle fonti fossili. Nel 2011 questi sussidi ammontavano a livello globale s oltre 500 miliardi di dollari rispetto ai soli 88 miliardi erogati per le energie rinnovabili. Queste proporzioni devono essere invertite e, anzi, i sussidi alle fonti fossili vanno totalmente aboliti. A pari condizioni (o quasi), le energie rinnovabili possono vincere semplicemente perché sono più convenienti rispetto ai combustibili fossili.
Riguardo alla guerra termonucleare, fino a che le armi nucleari non saanno completamente eliminate, ci sarà il pericolo continuo che una guerra catastrofica possa scoppiare accidentalmente o per calcoli sbagliati. Nel lungo periodo, la possibilità che un simile disastro non accade diviene incommensurabilmente piccola. E sarebbe una catastrofe ambientale, che colpirebbe le nazioni neutrali come quelle in guerra. L’agricoltura potrebbe risentirne a tal punto da arrivare ad una carestia globale che affliggerebbe la stragrande maggioranza della popolazione globale.
Infine, dobbiamo considerare anche il pericolo che lacarestia globale sia dovuta ai cambiamenti climatici, alla crescita della popolazione e all’esaurimento dei combustibili fossili dai quali oggi la moderna agricoltura dipende.
La speranza è che l’attenzione del mondo e dei delegati alla conferenza sul clima di Parigi non sia distratta da pseudo-pericoli e che si guardi seriamente ai pericoli reali che il mondo sta affrontando. Abbiamo urgentemente bisogno del senso della proporzione.
Per scrivergli: avery.john.s@gmail.com
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