Pubblicato il rapporto World Population Prospects: The 2015 Revision
L’Onu rivede le sue stime: ecco come cambierà la popolazione mondiale
E l'Italia? Svimez: «Nel Sud stravolgimento demografico, tsunami dalle conseguenze imprevedibili»
[30 luglio 2015]
Il tasso di crescita della popolazione mondiale ha già raggiunto il suo apice, e sta rallentando, ma quello che rimane è più che sufficiente per portare gli attuali 7,3 miliardi di cittadini del mondo (erano 1,6 all’inizio del 1900) a raggiungere quota 8,5 miliardi entro il 2030, 9,7 miliardi nel 2050 e 11,2 miliardi nel 2100. Numeri, quelli contenuti nell’appena pubblicato rapporto Onu World Population Prospects: The 2015 Revision, ritoccati tra l’altro al rialzo rispetto alle stime precedentemente diffuse dalle Nazioni unite.
Si tratta di una tendenza plasmerà il mondo a venire in modo diverso a seconda delle latitudini. Nel corso 2015-2050, spiega l’Onu, la metà della crescita della popolazione mondiale dovrebbe essere concentrata in soli 9 paesi: India, Nigeria, Pakistan, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Repubblica Unita di Tanzania, Stati Uniti d’America, Indonesia e Uganda. Di questi stati, elencati secondo la dimensione del loro contributo alla crescita totale della popolazione, soltanto uno appartiene all’Occidente (gli Usa, che nel 2050 avranno meno cittadini della Nigeria), mentre il gigante di oggi – la Cina, che oggi racchiude da sola il 19% degli esseri umani sul pianeta – sarà scavalcato dall’India.
Ma è l’Africa – dove la fertilità rimane alta, anche se già in declino – che dovrebbe rappresentare più della metà della crescita della popolazione mondiale tra il 2015 e il 2050. Il peso del continente sullo scenario globale è dunque inevitabilmente destinato ad aumentare, ma probabilmente non lo farà soltanto in meglio.
Come ha sottolineato John Wilmoth, direttore della divisione Popolazione del dipartimento degli Affari economici e sociali dell’Onu, «la concentrazione di crescita della popolazione nei paesi più poveri presenta una serie di sfide, rendendo più difficile sradicare la povertà e la disuguaglianza», e in definitiva per tagliare con successo gli obiettivi «della nuova agenda per lo sviluppo sostenibile».
Ma sarebbe miope quanto riduttivo limitarsi a concentrare l’attenzione sul numero delle nascite, quando – come ha ben spiegato su queste pagine il demografo Alessandro Rosina – il XXI sarà soprattutto il secolo dell’invecchiamento globale. In molte regioni del mondo la popolazione è ancora giovane: in Africa i bambini al di sotto dei 15 anni sono il 41% della popolazione, in America latina e Caraibi il 26%, in Asia il 24%. Nel mondo non ci sono mai stati tanti bambini quanti oggi. Ma il rallentamento della crescita della popolazione, a causa della riduzione complessiva della fertilità, fa sì che la percentuale di persone anziane aumenti nel tempo. A livello globale il numero di persone con età uguale o superiore ai 60 anni dovrebbe più che raddoppiare entro il 2050, e più che triplicare entro il 2100.
Il Vecchio continente lo diverrà ancora di più: è proprio la nostra Europa dove il 34% della popolazione avrà più di 60 anni entro il 2050, mentre Sudamerica e Asia arriveranno al 25% e l’Africa al 9%. Numeri che, inevitabilmente, contribuiranno a cambiare il peso delle potenze regionali sullo scacchiere globale, e che stanno già investendo in pieno l’Italia. La nostra popolazione è prevista in declino (dai 59,8 milioni di abitanti di oggi ai 56,5 del 2050 e i 49,6 del 2100), e sempre più anziana: come scrive oggi lo Svimez nel suo nuovo Rapporto sull’economia del Mezzogiorno (per il quale si paventa il rischio di un «sottosviluppo permanente»), nel 2014 «al Sud si sono registrate solo 174mila nascite, livello al minimo storico registrato oltre 150 anni fa, durante l’Unità d’Italia: il Sud sarà interessato nei prossimi anni da un stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili». Le tanto vituperate migrazioni, che contribuiscono a lenire l’invecchiamento della popolazione, da sole non possono bastare. Secondo l’Onu continueremo a farci i conti per lungo tempo (ricevendo più di 100mila migranti internazionali all’anno tra il 2015 e il 2050), ma in ogni caso i migranti che sbarcano sulle nostre coste non mirano a rimanere al Sud, e spesso neanche in Italia.
I cambiamenti in corso nella demografia mondiale sono imponenti, ed è centrale che entrino a far parte del dibattito pubblico: si riveleranno centrali nel modificare il nostro immediato futuro sotto molteplici e fondamentali aspetti, non ultimo condizionando l’intensità del cambiamento climatico e l’esaurimento delle risorse naturali. Tra appena 35 anni non solo i nostri figli e nipoti, ma noi stessi ci troveremo a fare i conti con 2,4 miliardi di persone in più. Per quanto sia possibile (e indispensabile) rendere più efficiente il nostro attuale modello di produzione e consumo, attingere a fonti energetiche e risorse rinnovabili, il pianeta non sembra in grado di reggere ancora a lungo una pressione antropica pari a quella attuale. Già oggi consumiamo risorse pari a 1,5 terre, ed è l’evidenza dei fatti a lenire l’impressionante mole di disuguaglianze economiche che grava oggi sul pianeta (Italia compresa), e a imporci di dismettere il consumismo dal vertice della nostra insostenibile piramide di valori.
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