NEWS DAL TERRITORIO
Con riferimento alla pessima legge sui centri storici siciliani, approvata all’unanimità dall’Assemblea regionale siciliana, lo scorso 7 luglio 2015, riteniamo opportuno, se non necessario, aggiungere ulteriori considerazioni. Come abbiamo già sostenuto (http://www.italianostra.org/?p=42675), noi di Italia Nostra siamo convinti che le cosiddette “Norme per favorire il recupero del patrimonio edilizio di base dei centri storici” rappresentino lo strumento funzionale per aggirare piani e regole fondamentali, per rimuovere quelle analisi storiche e urbanistiche imprescindibili per comprendere le diverse, specifiche realtà territoriali. Noi riteniamo che esse costituiscano un attacco speculativo senza precedenti. Insomma: una legge che ci riporta indietro di 60 anni. Pertanto, nel confermare la nostra più decisa opposizione a questa legge, qui ricordiamo i principi – fondamentali e attuali – della Carta di Gubbio.
La Carta di Gubbio è la dichiarazione di principi sulla salvaguardia e il risanamento dei centri storici, approvata nel settembre 1960. In questo documento si approvò la necessità di un’urgente ricognizione e classificazione preliminare dei centri storici con la individuazione delle zone da risanare e l’imprescindibile necessità di considerare tali operazioni come premessa allo stesso sviluppo della città moderna e quindi la necessità che esse facessero parte dei piani regolatori comunali, come una delle fasi essenziali nella programmazione della loro attuazione. La Dichiarazione finale fu approvata all’unanimità, a conclusione del Convegno nazionale per la salvaguardia e il risanamento dei centri storici (Gubbio 17-18-19 settembre 1960). Il convegno fu promosso da un gruppo di architetti, urbanisti, giuristi, studiosi di restauro; da parlamentari e dai rappresentanti di diversi comuni italiani. L’estensione a scala nazionale del problema trattato fu unanimemente riconosciuta. Fu invocata pertanto un’immediata disposizione di vincolo di salvaguardia, atto a sospendere qualsiasi intervento, anche di modesta entità in tutti i centri storici, dotati o no di piano regolatore generale, prima che i relativi piani di risanamento conservativo fossero stati formulati e resi operanti. E si riconobbe la necessità di fissare per legge i caratteri e la procedura di formazione dei piani di risanamento conservativo, come speciali piani particolareggiati di iniziativa comunale, soggetti ad efficace controllo a scala regionale (e nazionale), con snella procedura di approvazione e attuazione. Detti piani avrebbero fissato modalità e gradualità di tutti gli interventi su suolo pubblico e privato, sui prospetti e all’interno degli edifici, da attuare esclusivamente mediante comparti, ciascuno dei quali rappresentasse un’entità di insediamento e di intervento. Rifiutati i criteri del ripristino e delle aggiunte stilistiche, del rifacimento mimetico, della demolizione di edifici a carattere ambientale anche modesto, di ogni diradamento e isolamento di edifici monumentali attuati con demolizioni nel tessuto edilizio, e evitati in linea di principio i nuovi inserimenti nell’ambiente antico, si affermò che gli interventi di risanamento conservativo, basati su una preliminare e profonda valutazione di carattere storico-critico, dovessero essenzialmente consistere in: consolidamento delle strutture essenziali degli edifici; eliminazione delle recenti sovrastrutture a carattere utilitario dannose all’ambiente e all’igiene; ricomposizione delle unità immobiliari per ottenere abitazioni funzionali e igieniche, dotate di adeguati impianti e servizi igienici, o altre destinazioni per attività economiche o pubbliche o per attrezzature di modesta entità compatibili con l’ambiente, conservando al tempo stesso vani ed elementi interni ai quali l’indagine storico-critica abbia attribuito un valore; restituzione, ove possibile, degli spazi liberi a giardino ed orto; istituzione dei vincoli di intangibilità e di non edificazione.
Si ravvisò altresì la necessità che la valutazione storico-critica dovesse, per omogeneità di giudizi, essere affidata ad una commissione regionale di alto livello e che la redazione dei piani di risanamento e dei comparti, da affidare a tecnici qualificati, avvenisse in stretta connessione con la commissione regionale – appunto – e con i progettisti dei piani regolatori. Si suggerì che la pubblicazione dei piani di risanamento conservativo si avvalesse di una procedura particolare, in cui fossero previste forme di pubblicità estesa, come, ad esempio, la contemporanea esposizione in sede regionale oltre che locale, al fine di consentire osservazioni qualificate e l’esame delle osservazioni con l’intervento di particolari competenze. Si affermò che nei progetti di risanamento una particolare cura dovesse essere posta nell’individuazione della struttura sociale che caratterizza i quartieri e che, tenuto conto delle necessarie operazioni di sfollamento dei vani sovraffollati, fosse garantito agli abitanti di ogni comparto il diritto di optare per la rioccupazione delle abitazioni e delle botteghe risanate, dopo un periodo di alloggiamento temporaneo, al quale avrebbero provveduto gli Enti per l’edilizia sovvenzionata. In particolare dovevano essere rispettati, per quanto possibile, i contratti di locazione, le licenze commerciali ed artigianali ecc., preesistenti all’operazione di risanamento. Infine, per la pratica attuazione di tali principi, si invocò un urgente provvedimento di legge generale che, assorbendo i due disegni di legge del senatore Umberto Zanotti Bianco (primo presidente di Italia Nostra) ed altri e dell’on. Giuseppe Vedovato, risolvesse in modo organico la complessa materia e stabilisse: le modalità e il finanziamento per il censimento dei centri storici; la programmazione delle operazioni alla scala nazionale; le modalità per la formazione dei piani esecutivi di risanamento conservativo, secondo i principi enunciati, affidando ai Comuni la responsabilità delle operazioni per la loro realizzazione; le procedure per la disponibilità dei locali durante le operazioni di risanamento, ivi comprese le modalità per la formazione dei consorzi obbligatori e per un rapido svolgimento delle pratiche di esproprio o prevedendo anche la sostituzione, da parte del Comune, di Enti o di cooperative, ai proprietari inadempienti o che ne facessero domanda; l’entità e le modalità di finanziamento delle operazioni, preferenzialmente risolto con la concessione di mutui a basso interesse ai Comuni interessati con eventuale garanzia dello Stato e con facoltà del Comune di graduare il tasso di interesse proporzionalmente al grado di utile ricavato dall’operazione, con eventuale contributo a fondo perduto nei casi di accertata e notevole diminuzione di valore dell’intero compatto; le modalità per la perequazione dei valori economici delle singole proprietà all’interno di ogni compatto; la possibilità, da parte degli Enti dell’edilizia sovvenzionata, di partecipare alle operazioni di risanamento. A conclusione dei lavori, il Convegno di Gubbio riaffermò la necessità che gli auspicati provvedimenti relativi alla salvaguardia e al risanamento dei centri storici, improntati ai principi enunciati, formassero un unico corpo di norme legislative facente parte, a sua volta, come capitolo fondamentale, del Codice dell’urbanistica.
Dunque, è chiaro che il nostro discorso sui centri storici non debba condurre ad una nuova Carta di Gubbio ma, semmai, ad un peculiare libro bianco, che puntualizzi e illumini in ordine alle nuove procedure messe oggi in campo (non soltanto in Sicilia – ovviamente), in nome del “fare” e nella logica sempre più rozza e pressante delle contemporanee liberalizzazioni.
Leandro Janni – Presidente del Consiglio regionale di Italia Nostra Sicilia
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