Ama il prossimo tuo. Don Milani e lo scandalo della prossimità
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Io sono non un rappresentate della comunità - è un'espressione molto forte - sono un amministratore, nel senso che mi è stato attribuito il compito di servire, attraverso l'amministrazione, una comunità. Credo che anche questo servizio si può fare, svolgere, con più forza, con più determinazione se dietro esiste una fede, una passione, un profilo profondo di idee e di cultura. Non si fa una buona politica - anche intesa come amministrazione - se non c'è dietro un insieme di idee, di aspirazioni, una visione del mondo. Per questo è importante leggere, discutere, abitare la città - nel senso di polis - essere cittadini dello stato prima che funzionari.
Parlando di Don Milani, traendo occasione dall'uscita imminente del Meridiano(Mondadori) delle suo opere, l'attenzione corre alla Chiesa fiorentina, al cattolicesimo di questa città che tanto ha influenzato la politica, il pensiero, le azioni, che tanto è stato anche elemento di dialogo tra le persone, tra le forze politiche, tra chi si è messo al servizio della collettività. Io penso che in Don Milani c'è una grande attualità di cui c'è bisogno ancora, c'è una profondità di cui abbiamo bisogno per ripartire, ritrovare un nuovo slancio nel nostro impegno sociale, nel nostro impegno quotidiano. Un grande aiuto ci viene dato adesso dalle affermazioni che ha fatto lo stesso Papa Francesco quando a Roma, nella piazza, ha indicato Don Lorenzo Milani come un grande educatore italiano. Il pellegrinaggio degli italiani a Vicchio, a Barbiana, è ancora una cosa che attrae giovani, attrae intellettuali. C'è qualcosa di speciale in quel luogo disadorno e appartato, qualcosa che da lì è riuscito a parlare a tutto il Paese e a tutta la Chiesa. Vorrei partire dalla Chiesa, dalla periferia.
Don Milani prima si impegna a San Donato, vicino Calenzano, poi a Barbiana, nel Mugello, e mette al centro la questione dell'educazione vera via per salvare i ragazzi, per dare loro una prospettiva, una dignità. Li conosce un per uno, li chiama per nome. Siamo ben al di là della massificazione, del trattare tutti allo stesso modo. Sono "persone" nel senso inteso dalla nostra Costituzione. Quello che è davvero forte è come da quei luoghi 'semplici' e quotidiani si parli al Paese. C'è da parte sua un investimento sulla parola come strumento di dignità. Questo lo accomuna ad altri intellettuali italiani (penso a Gramsci, a Pasolini) che sottolineano come la mancanza della 'parola' sia l'elemento che rende subalterni le classi più umili. Da qui il suo sforzo di operare questa educazione alla parola, questo apprendimento della parola come strumento di emancipazione, di liberazione di se stessi, di consapevolezza. Qui insomma la lezione vera di questo grande prete che, io penso, non era un politico nel senso stretto. Sarebbe assai sbagliato fare un'operazione di appiattimento politico del suo ricco profilo. Quando scrive Don Milani non è un sindacalista, nemmeno un insegnante, piuttosto si definisce un maestro mosso anzitutto dall'idea di salvare i ragazzi. Al centro ci sono i ragazzi in carne e ossa che lui vuole salvare, che conosce e che chiama per nome. Ecco c'è un'attualità in questa lezione. Allora qual è la lezione secondo me che, con molta umiltà, possiamo prendere da lui? Noi ancora abbiamo molti ragazzi che non hanno parola nelle nostre scuole. Abbiamo gli immigrati, a Prato sono ormai il 25%, il 50%. Al punto nascita di Prato nascono ormai 50% figli di immigrati e 50% sono figli di indigeni, anche questi però piuttosto mescolati negli ultimi decenni. Ma non solo Prato, c'è anche tutta la Toscana, metafora d'Italia. Questi ragazzi hanno una parola più debole. Anche i rom hanno una parola più debole. Inciampano sulla parola. E senza parola non c'è dignità. Questo mi sembra il punto su cui anche la politica dovrebbe fare più attenzione, mostrare più coraggio, senza ideologismi, senza fughe in avanti.
Ci sono delle fughe in avanti e contrapposizioni ideologiche che non fanno bene perché oscurano la questione fondamentale. Su alcuni temi si può pensare anche in modo diverso, difforme, è normale, ma mai oscurare la questione fondamentale: nella nostra regione, nel nostro Paese ci sono migliaia e migliaia di ragazzi (persone) che non hanno ancora una parola adeguata. Questo mi sembra il punto più interessante, ancora vivissimo, dell'impegno di Don Milani verso i ragazzi, delle sue polemiche, del suo amore verso questa situazione. Anch'io credo poi che non a caso lui abbia come forte riferimento la Costituzione, la Costituzione viene citata 7 volte nella "Lettera ai Giudici", come documento fondante, e 4 volte nella "Lettera a una Professoressa". A me convince molto questo riferirsi alla Costituzione. La Costituzione è stato un punto altissimo in cui pensieri diversi si sono incontrati e l'impronta del pensiero cattolico è stata fondamentale. Quell'umanesimo cristiano in grado di confrontarsi con gli altri umanesimi. Infine l'ultima questione, lo scandalo di Don Milani che parla a tutti noi, anche ai non credenti. Don Milani che proviene da una famiglia borghese accetta l'ubbidienza e invita alla disubbidienza. Sembrerebbe una contraddizione. In tempi in cui la politica è fortemente messa all'indice, ma non solo la politica: la crisi ha prodotto il rancore, ha prodotto la separatezza tra una parte del popolo e chi si propone come guida, come maestro, sia esso nell'una o nell'altra istituzione.
La forza del messaggio di Don Milani è che a questa crisi della politica, della rappresentanza, si risponde vivendo con coloro che si vogliono rappresentare. E questo è lo scandalo. Lo scandalo della prossimità ai bisogni. È quello che forse interroga la coscienza di tutti noi anche nel presente, anche di chi si mette in un impegno pubblico, di chi si mette a fare politica. Lui, Don Milani, diventa forte perché vive lì, perché è accettato dentro l'organizzazione. L'ubbidienza come attesa e speranza perché quell'organizzazione che è nella storia ma anche fuori da essa punta ad una liberazione, alla salvezza degli uomini. Poi possiamo essere più o meno d'accordo, ma questa grande fede e questo grande credo lo motivano nell'ubbidienza disobbediente e nello stare a fianco dei suoi ragazzi. Una provocazione che è ancora di grandissima attualità. C'è davvero da domandarsi come una nuova grande fede - i cattolici questa fede già l'hanno; ma le fedi si interpretano, da un punto di vista laico, anche per i non credenti - può rimotivare a un impegno di rappresentanza che sia anche un impegno di vicinanza, senza il quale questo amore non scatta. Questa provocazione interroga tutti noi che abbiamo anche questi ruoli importanti nella vita pubblica, che sentiamo sempre più allargarsi la distanza tra noi e un popolo che è in sofferenza. È un interrogativo a cui ognuno di noi troverà il modo di rispondere nel corso della vita e della sua presenza quotidiana nella società e nell'impegno che svolge.
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