venerdì 30 gennaio 2015
Ceriale (SV) che ne facciamo della colonia veronese?
Ceriale che fine ha fatto e sta facendo la Colonia Veronese?
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Un edificio in disuso e una spiaggia che dovrebbe ritornare in capo al comune. Afferma Fresia consigliere di Ceriale "la concessione demaniale relativa alla spiaggia, come prevede il regolamento, dovrebbe tornare in capo al comune, ma ancora non si è fatto nulla a tal proposito.Spazi tolti ai cittadini"
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La Colonia Veronese sul territorio cerialese - che consta di una struttura per l’accoglienza degli ospiti che il comune di Verona mandava a Ceriale in villeggiatura, e di una spiaggia privata di sua competenza – ormai è in disuso da almeno un paio d’anni e che fine ha fatto?
Afferma Simone Fresia consigliere di Ceriale che proprio su questo punto ha iniziato la sua spaccatura con la maggioranza per la quale deteneva proprio la delega al demanio “E’ una vicenda che da troppo tempo resta nel limbo. La proprietà (Enti pubblici veronesi come comune, provincia ) non è in grado di fare partire i lavori , complice il periodo di crisi degli enti locali e la concessione demaniale relativa alla spiaggia, come prevede il regolamento, dovrebbe tornare in capo al comune, ma ancora non si è fatto nulla a tal proposito”.
Continua Fresia “ La spiaggia è curiosamente lasciata in concessione privata, probabilmente nella speranza di un nuovo albergo che non si farà. Le spiagge pubbliche a Ceriale sono vistosamente diminuite, c’è una spiaggia che si chiama Acque Basse, nel centro che è stata dimezzata con la logica di attrezzarne una sua metà. Il che ha comportato , di fatto, la sua privatizzazione per metà, visto che è gestita da una società che copre le sue spese facendo pagare la tariffa sulle sdraio. Così ad Agosto avremo la metà della spiaggia libera, questo non va bene e dovremmo invece aumentare gli spazi demaniali di utilizzo pubblico e gratuito. Riottenere la spiaggia della Colonia Veronese potrebbe essere importante”.
Sulla colonia Veronese, dunque, se il rischio di una speculazione edilizia residenziale sull’edificio è stato scongiurato già dalla precedente amministrazione che aveva sottoposto a vincolo turistico alberghiero quei volumi, rimane aperta la questione circa la concessione demaniale della spiaggia che se fosse riottenuta dal comune prima dell’estate permetterebbe un aumento degli spazi dedicati a turisti e cittadini.
Tirreno Power.sindacato,padronato,comuni d'accordo solo su una cosa:carbone,carbone,carbone,...
Tirreno Power, vertice all’Unione Industriali per i contratti di solidarietà e la cassa integrazione
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Vado Ligure. Contratti di solidarietà e cassa integrazione. Sono i temi che saranno giovedì prossimo saranno al centro del vertice convocato all’Unione Industriali di Savona che vedrà al tavolo di confronto i sindacati, la Rsu e Tirreno Power. Una riunione da lacrime e sangue a 11 mesi dal blocco dei due gruppi a carbone decisi dal tribunale di Savona.
Per ora da Roma e dal governo non sono arrivati segnali per una nuova convocazione anche se da più parti si dice che il vertice tanto atteso potrebbe arrivare entro la prossima settimana. “La situazione della centrale di Vado Ligure è decisamente complessa – spiega Edoardo Pastorino, segretario provinciale della Uilcem – Nel corso dell’incontro all’Unione Industriali fissato per giovedì Tirreno probabilmente ci chiederà nuovi sacrifici e i contratti di solidarietà in essere potrebbero non bastare più”.
Sindacati, Rsu e lavoratori seguono con apprensione anche le vicende societarie e i rapporti fiduciari con le banche che rappresentano un salvagente per l’azienda e quindi anche per la sopravvivenza della stessa centrale vadese. “Ma – dicono – è necessario al più presto un intervento deciso da parte del governo. Lo ripetiamo da tempo e questo vertice non c’è ancora stato”.
Tirreno Power ricapitalizzata per andare avanti a carbone
Tirreno Power, c’è l’accordo con le banche: rifinanziamento da 300 mln
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Vado L. Le banche garantiranno la continuità aziendale del gruppo Tirreno Power, compresa la centrale a carbone di Vado Ligure che rimane ancora sotto sequestro giudiziaria. E’ indiscrezione che trapela sull’assemblea dei soci in programma oggi pomeriggio a Roma.
Per il gruppo di Tirreno Power il concreto rischio di insolvenza per assenza di liquidità, in una situazione debitoria molto esposta, 894 mln di euro e con la necessità di procedere ad una ricapitalizzazione tale da garantire sostegno finanziario alle attività industriali, affiancando una operazione bancaria che possa rifinanziare il gruppo energetico.
Nell’ambito della ristrutturazione del debito le banche creditrici si sono fatte avanti, assicurando sostegno finanziario fino al 2018. Una partita difficile e intricata, considerato che gli istituti bancari creditori di Tirreno Power sono diversi da Sorgenia e far quadrare il giusto “asset” non è stato semplice: senza contare la necessità di dare opportune garanzie ai soci e azionisti.
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Le banche entrano nel capitale del gruppo Tirreno Power, riconvertendo il 30% dei crediti nei confronti dell’azienda in partecipazioni azionarie dirette. Si parla di 250 mln di euro, con un rifinanziamento complessivo di 300 mln di euro (altri 50 mln arriverebbero direttamente dai soci). Quanto alla ricapitalizzazione si parla di 100 mln di euro.
E proprio oggi, nel corso dell’assemblea dei soci, si dovrebbe ratificare il nuovo accordo delineato nella complessa trattativa con le banche, ma che darà nuova solidità finanziaria al gruppo. Rimane l’incognita se la ricapitalizzazione prevista sarà sottoscritta o meno dagli attuali soci Gdf-Suez (50%), Sorgenia (39%), Iren (5,5%) e Hera (5,5%), con un possibile rimescolamento della compagine azionaria da cui il gruppo francese potrebbe uscire rafforzato.
riflettendo sul PD
Il metodo Mattarella ci libera dall'equivoco del Nazareno e ci riporta al mito fondativo del Pd
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L'intervento di Matteo Renzi all'assemblea dei grandi elettori Pd, pur nel solco di uno stile moderno di comunicare, agile e ironico, che può piacere o meno, conteneva uno spessore politico significativo. Anzitutto a partire dal forte richiamo alla nobiltà e alla moralità della politica, al senso di responsabilità. Parole care ai grandi leaders della prima Repubblica. Quella di Mattarella è una scelta importante. In una stagione di grandi trasformazioni e discontinuità essa segna un "ritorno ai principi". Rappresenta lo sforzo di ricerca di un 'mito' fondativo, che non può prescindere dalla storia della nostra Repubblica e dal motivo originario che è alla base della nascita del Pd.
Il "cambio verso" dunque, in questa fase, per uscire da un pericoloso stallo e per ritrovare slancio e robustezza di contenuti trae alimento dal migliore passato. Grazie a una buona impostazione e a un buon metodo di confronto e discussione interna al Pd stiamo sciogliendo l'equivoco che aleggia sul Patto del Nazareno. Equivoco sì, perché, mentre Berlusconi, come sempre, intende questo e altri patti come scorciatoie per sé e per le sue aziende, il Pd considera le larghe intese una condizione di realismo per le riforme istituzionali e per la modernizzazione dello Stato. Per lo stesso motivo: il bene del paese, un ritorno alle urne ora sarebbe sbagliato e inutile.
Mattarella è l'erede di una nobile tradizione che non piace a Berlusconi. Mi riferisco alCompromesso storico, alla lotta alla mafia delle classi dirigenti meridionali e alla profonda consapevolezza costituzionale che sta alla base della nostra democrazia. Tutti elementi che lo hanno portato alla Corte Costituzionale prima e ora al Quirinale.
La storia di Piersanti, suo fratello, è anche la sintesi di quel che di meglio è venuto dal governo locale e dalla selezione dei gruppi dirigenti locali dei grandi partiti della prima Repubblica. La storia è nota. Nel lontano 1979 quando Pio La Torre intervenne al congresso della Dc Siciliana denunciando la corruzione e la commistione di interessi criminali orbitanti nell'assessorato regionale all'agricoltura della giunta presieduta da Piersanti, quest'ultimo, nella sua replica, piuttosto che difendere i suoi uomini avrebbe dato ragione al leader comunista, annunciando una svolta nella gestione degli appalti pubblici e nella trasparenza della spesa pubblica.
Da lì sarebbe cominciata una rapida fase di cambiamento, che lo avrebbe trasformato tragicamente in un bersaglio e in una vittima di mafia. Due anni dopo sarebbe toccato a La Torre, a cui dobbiamo la legge sulla confisca dei patrimoni dei mafiosi. Moro era scomparso da qualche anno, ma il Compromesso storico era ancora l'opzione di fondo della parte migliore del Pci e della Dc.
Non mi ha stupito dunque che anche sui social network il nome di Mattarella abbia evocato valori così nobili e alti. Gli Italiani hanno a cuore le sorti del paese e sono disposti a riconoscersi nella politica quando essa è in grado di evocare i principi di una forte "religione civile"; a partire dalla legalità e dalla lotta senza quartiere alle ingiustizie. Per questo ritengo si possa dire che siamo davanti a un passaggio fondativo o rifondativo, anche e sopratutto del Pd.
Il metodo usato da Renzi per questa scelta ha funzionato e dovrebbe valere anche per altre cruciali questioni. A partire dalle grandi scelte di politica economica, di riforma del mercato del lavoro e a partire anzitutto dal nodo identitario del partito. Alla lucedei fatti di Grecia e dello scricchiolare del dogma dell'austerità voluto dalla Troika toccherebbe proprio al Pd, partito capofila del Pse, l'urgenza di un grande concorso di idee e programmi per la rigenerazione del Socialismo europeo.
Spero che questa volta, oltre al presidente del Consiglio, abile sismografo di ogni mutamento d'umore degli italiani, anche il Parlamento sia in grado di intercettare il sentimento del paese e uscire dall'atmosfera ampollosa del palazzo. Lo dobbiamo ai nostri padri e ai nostri figli.
dubbi sulle alleanze di Tsipras
tsipras e noi
giacomo pisani
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Tsipras non è riuscito ad ottenere la maggioranza di governo e, a tutta velocità, si è alleato con i Greci Indipendenti, partito di destra nazionalista anti-austerity.
Ora, molti sono concordi nell’affermare che, nonostante le ambiguità, sia questa l’alleanza più coerente, quella che più intimorisce la troika, l’Europa dei mercati finanziari e dell’austerity. Sappiamo bene quali sono state le ricette della troika di fronte alla crisi finanziaria: privatizzazioni, tagli al welfare e alla spesa pubblica, chiusura di scuole e ospedali. Il tutto fatto passare come una sorta di codice inespugnabile attraverso cui leggere la realtà, come lo schema in cui far tornare i conti. Non uno specifico modello di sviluppo e di conseguente risposta alla crisi, ma l’unica visione possibile della realtà, tanto da annullare spesso la dialettica politica, ritenuta nel migliore dei casi superflua, quasi sempre fonte di sprechi, furti al bene pubblico ecc. Di fronte alla necessità di far tornare i conti bastano i governi tecnici, quelli che sanno far giocare bene le categorie dei mercati finanziari per impedire di essere risucchiati dal debito e per far tornare gli stati competitivi in Europa. Noi, in Italia, abbiamo conosciuto in più forme la politica della tecnica e dell’emergenza da crisi finanziaria, e le larghe intese di Renzi sono solo l’ultima testimonianza della neutralizzazione della dialettica e dello scontro fra modi di progettare la realtà.
Di fronte a questa Europa, Syriza e i Greci Indipendenti sembrano essere una buona alternativa. Anche il partito di destra è contro la troika e l’austerity, la radicalità della proposta di Tsipras sembra salva. Eppure esistono due modi per opporsi alla troika e al pensiero calcolante che guida la razionalità dei mercati e della finanza. Esiste una visione espansiva, che rifiuta la mortificazione della dignità delle persone per rimettere al centro i bisogni, in tutta la loro molteplicità. E’ una visione che assume la complessità di una società caratterizzata oggi da una grande eterogeneità, anche a livello produttivo, e che riconosce i diritti fondamentali delle persone al di fuori delle disponibilità finanziarie. Rimette al centro le persone in carne e ossa, traducendosi in un processo costituente che ribalta la prospettiva e favorisce un adeguamento delle istituzioni ai bisogni materiali di tutte quelle soggettività eccedenti che chiedono cittadinanza, oltre le maglie dell’austerity. Sono disoccupati, lavotatori autonomi, precari, migranti, operai, studenti, lavoratori della conoscenza, ecc. Rifuggendo qualsiasi rivendicazione corporativa, una proposta politica radicale deve oggi porre la centralità dei diritti al di fuori del mercato, comprendendo quindi un welfare universale che renda tutti liberi di vivere e di autodeterminarsi. Per fare questo, deve rompere con l’assolutizzazione del privato che, in questi anni, ha legittimato l’autorità pubblica in operazioni di privatizzazione sempre più ampia, cancellazione dei beni comuni, sgomberi, sfratti, rimessa sul mercato del soddisfacimento dei diritti fondamentali. E’ necessario, dunque, garantire che l’accesso ai beni e ai servizi indispensabili alla giustiziabilità dei diritti sia strappato alla dimensione negoziale, così come il welfare e i diritti sociali. Ciò induce anche ad un ripensamento dei modelli di gestione dei beni, improntato sulla cooperazione e sulla condivisione, che costruisce in maniera inclusiva nuove istituzioni in grado di soddisfare le esigenze che maturano nel contesto sociale ed economico. La vittoria di Tsipras può portare a livello trans-nazionale il conflitto, opponendo insieme ad altri soggetti costituenti, come Podemos, un’Europa dei diritti all’Europa dei mercati.
Ma esiste anche un altro modo, diametralmente opposto, per opporsi alla troika ed invocare ugualmente l’uscita dalla crisi e dall’austerity. E’ la chiusura identitaria, il richiamo al valore delle proprie tradizioni e della propria cultura contro l’imperativo dei mercati, che mette costantemente in pericolo l’identità collettiva. In tal modo si oppone all’austerity e alle logiche della finanza una politica nazionalista, chiusa e fortemente verticista, che rimetta al centro i diritti escludenti del proprio popolo, e magari anche di una certa razza o di una certa religione. Quello dei Greci Indipendenrti è un partito conservatore, noto per le battaglie per la diffusione dei valori della Chiesa greco-ortodossa, contro i matrimoni omosessuali, nazionalista, contrario all’immigrazione e ai senzatetto. Parecchie sono le affinità con Marine Le Pen e con altri partiti di estrema destra.
Si ricorderà come anche il pensiero nazista fosse contro la tecnica e il pensiero calcolante proprio del mercato e propugnasse una valorizzazione del Geist, della storicità dello spirito tedesco. Esistono sempre due modi per ribadire la storicità delle categorie del modello economico e sociale dominante. Uno è pericolosissimo, terribile. E’ quello che assolutizza un modo di essere annullando qualsiasi apertura alla diversità. L’altro, invece, rifiuta qualsiasi visione corporativa o identitaria per fare dell’apertura all’alterità il fattore di decostruzione di qualsiasi visione assoluta. Riconoscendo la diversità, costruisce spazi comuni di relazione e di progettazione del futuro. Sono due visioni irrimediabili, che si scontrano da secoli, o forse da sempre. Non ci sono larghe intese che tengano, è la dignità di tutti contro la discriminazione e il razzismo. Ed è importante scegliere da che parte stare.
laicità ed Europa
la laicità e l’europa
paolo bonetti
1 commento
Si ripete spesso che l’identità morale e culturale dell’Europa è intimamente legata alla storia del cristianesimo. Qualcuno aggiunge anche l’ebraismo, altri ribattono che non bisogna dimenticare il mondo classico e ci sono anche quelli, bontà loro, che non si dimenticano dell’illuminismo. In questi giorni insanguinati dalla violenza islamica di Parigi, abbiamo visto che si sono moltiplicate le citazioni di Voltaire anche da parte di chi, in altri casi, preferisce rimuoverle. Eppure dovrebbe apparire a tutti ben chiaro che la vera identità dell’Europa e della civiltà americana, che è una propaggine di quella europea, è legata proprio al principio della laicità, quello che separa rigorosamente la sfera religiosa da quella politica. Se è vero che Cristo ha detto che bisogna dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, è altrettanto vero che per molti secoli le chiese cristiane (le protestanti non meno della cattolica) non hanno preso in considerazione questa esortazione di colui che esse considerano il loro fondatore e hanno, invece, perseguitato eretici e non credenti, combattuto guerre sanguinose, preteso di imporre con la forza della legge civile le loro particolari dottrine religiose e morali anche a coloro che non le condividevano.
E’ stato lo Stato laico, libero dalle ingerenze ecclesiastiche, che ha finalmente consentito di porre fine alle guerre di religione, proclamare la libertà di coscienza, riconoscere ai cittadini alcuni fondamentali diritti civili che sono non solo l’essenza della nostra civiltà, ma anche il suo giusto orgoglio. Questo non dobbiamo mai dimenticarlo, quali che siano state, in certi periodi, le colpe degli stati nazionali europei: senza laicità non ci può essere né tolleranza né rispetto paritario dei diritti. Lo stesso cristianesimo, che pure è portatore di un’etica della carità, è stato spesso, fino a tre secoli fa, duramente intollerante e aggressivo, finché lo Stato laico, nel riconoscere la piena libertà religiosa, non lo ha però costretto a restare nell’ambito che gli compete.
Il dramma dell’Islam sta proprio nella mancanza di quella separazione fra politica e religione che per noi europei è ormai un principio che nessuno osa più mettere in discussione. Naturalmente anche lo Stato laico ha avuto le sue crisi sanguinose, quando la laicità si è separata dai principi giuridico-istituzionali del liberalismo e si è identificata con le intolleranti religioni secolari del nazifascismo e del comunismo. In questo caso, a impedire la separazione fra politica e fede, non erano più le religioni della trascendenza, ma ideologie che avevano assunto il carattere delle fedi e esigevano un’obbedienza incondizionata. Il liberalismo, come è stato giustamente detto, è l’arte della separazione, la capacità di tenere ben distinti i diversi ambiti della vita sociale: solo così è possibile salvaguardare le fragili libertà degli individui.
Ma c’è una considerazione che vorrei ancora fare e che potrà magari risultare sgradita a chi non la intende nel suo giusto significato: noi siamo naturalmente dalla parte di quei giornalisti che sono stati massacrati a Parigi dal fanatismo dei terroristi islamici, perché nessuna violenza è ammissibile e non ci possono essere limiti alla libertà di stampa se non quelli che gli stessi giornalisti pongono responsabilmente a se stessi. Ma proprio questa inderogabile autonomia e piena libertà di coloro che esercitano una professione così delicata, deve indurre ciascuno di noi a esercitarla con quell’etica della responsabilità che evita o cerca di evitare reazioni che finiscono con l’innescare una spirale della violenza non più controllabile. Non è un invito alla viltà e alla resa, lo è anzi alla vigilanza e alla fermezza nel difendere con energia le istituzioni della civiltà laico-liberale. Se però vogliamo vivere in un mondo ormai inevitabilmente plurale nelle fedi e nella culture, cerchiamo di tener conto delle sensibilità e dei valori anche di coloro che sentiamo molto lontani da noi e dal nostro universo morale. E ricordiamoci anche che i “diversi” sono, a loro volta, diversi fra loro. Non mettiamoli tutti, a forza, nello stesso calderone.
L'Europa della ragione
l’europa della ragione
paolo bonetti
2 commenti
Consentitemi di tornare sulla questione della libertà e della laicità, dopo le stragi di Parigi e i molti commenti che hanno generato e continuano a produrre. Francamente mi pare che si stia facendo anche molta retorica, con inviti insensati a una specie di guerra santa contro l’Islam da parte di alcuni e con l’esaltazione dei giornalisti di Charlie-Hebdo come campioni della nostra civiltà da parte di altri. Per parte mia resto fedele alla celebre frase attribuita a Voltaire: “non condivido quello che dici, ma difenderò fino alla morte la tua libertà di dirlo”. I giornalisti del settimanale francese facevano onestamente il loro mestiere, ma certe loro vignette non mi sono mai sembrate particolarmente intelligenti e rispettose verso le convinzioni altrui. Ma avevano tutto il diritto di esprimersi come meglio credevano, la satira non è tenuta al rispetto di certi valori morali o estetici. Quelli che li hanno uccisi hanno violato il principio fondamentale dell’etica laica e liberale e vanno condannati senza se e senza ma.
Faremmo, però, un grosso errore a farne l’emblema della nostra civiltà ed ad assumere atteggiamenti di condanna indiscriminata nei confronti della religione islamica come di ogni altra religione. Non tutti cristiani sono uguali e questo vale anche per i seguaci di altre fedi. Certo, come ho già detto, l’islamismo presente ancora il grave problema della mancata distinzione fra sfera politica e sfera religiosa (per non parlare della condizione di oggettiva subordinazione delle donne), ma il nostro dovere è quello di cercare pazientemente e responsabilmente di far leva su quelle componenti del mondo islamico che si rendono conto della necessità di collaborare per salvare la pace e migliorare così le condizioni di vita dei loro popoli. Poi ci sono gli estremisti e i professionisti del terrorismo, ma guai se entrassimo nella logica perversa di contrapporre alla loro intolleranza la nostra intolleranza e un rinnovato spirito di crociata. Fermezza certamente nel combattere i pericoli del fondamentalismo islamico, ma, per carità, nessuna retorica di una identità europea concepita alla maniera dei vecchi e rovinosi nazionalismi.
scegliere il Presidente della Repubblica ripartendo da Rodotà
ripartire da rodotà
giovanni vetritto
5 commenti
Tra pochi giorni si riapriranno i giochi dell’elezione presidenziale, in un clima solo apparentemente più disteso rispetto a due anni fa.
Allora, evidentemente, l’esito di elezioni politiche senza vincitori rendeva la scelta sul nuovo inquilino del Colle inestricabilmente intrecciata con la scelta di una soluzione politica che consentisse di superare l’empasse. Prodi, e in un senso tutto diverso, auspicato su queste colonne (vedi http://www.criticaliberale.it/news/104411), Rodotà, avrebbero significato la difesa della pur imperfetta democrazia dell’alternanza costruita alla meno peggio dopo la sconfessione, con i Referendum Segni dei primi anni ’90, del proporzionalismo repubblicano originario. Marini, e poi Napolitano, avrebbero evidentemente segnato la perpetuazione (e, per così dire, la stabilizzazione) delle “larghe intese” inaugurate dalla deliberata strategia di Napolitano a sostegno del Governo eccezionale presieduto da Mario Monti. Una strategia che aveva ben altre alternative, dato il diffuso sostegno popolare, in quella fase, ad una ipotesi di “Governo dei cittadini” affidato allo stesso Monti, magari un po’ populista ma ipoteticamente orientato a troncare con una classe dirigente ormai del tutto delegittimata; e che invece il Presidente volle in continuità con una cultura da “solidarietà nazionale” che è tipica dell’esperienza politica dei partiti eredi del compromesso storico (e della sua personale in misura somma).
Oggi il quadro pare a prima vista diverso: il presunto trionfo elettorale di Renzi alle ultime elezioni europee (un clamoroso 40% dei voti espressi, che però, occorre sempre ricordarlo, diventa poco più di un misero 20% degli aventi diritto), dà l’idea superficiale di un sistema politico ormai stabilizzato, nel quadro del quale la scelta sul prossimo inquilino del Colle più alto possa rivelarsi meno critica.
Nulla di più falso.
La situazione politica è estremamente preoccupante. Ormai meno della metà degli elettori trova uno straccio di offerta elettorale nella quale riconoscersi, magari a malincuore, e quindi la netta maggioranza di loro diserta le urne. Con buona pace dell’idea dei fogli excel richiesti al predecessore Letta, Renzi col suo governo alterna soltanto rinvii, provvedimenti stantii di protezione degli interessi consolidati (dai concessionari autostradali ai cementificatori del territorio, dai padroni delle ferriere agli appropriatori del demanio balneare), e gaffe monumentali, lasciando la gran parte degli italiani privi di soluzioni politiche mentre i problemi si fanno di giorno in giorno più grandi e il Paese si impoverisce. Il “cambio di verso” è un espediente labiale che nasconde la più assoluta continuità con i disastri degli ultimi decenni. Tutto ciò non per caso, ma come conseguenza diretta e inevitabile delle larghe intese, della loro logica di blindatura di classi dirigenti estrattive prive ormai di una legittimazione maggioritaria, della loro consequenziale inevitabile funzione di paralisi a qualsiasi rinnovamento democratico, del quale il Paese avrebbe invece estremo bisogno.
Il tutto, non dimentichiamolo, sullo sfondo di un mondo impazzito, nel quale il “mercato di 500 milioni di europei” diventa una dittatura di élite bancarie e interessi nazionali, le religioni tornano a mostrare la loro più autentica feroce faccia di intolleranza e aggressività, gli esclusi si rifugiano in una exit dal sistema che assumerà sempre più caratteri violenti e antidemocratici, il laissez faire assurto a idolo intoccabile acuisce i conflitti tra realtà statuali anche europee, con il rischio del risorgere di nazionalismi anche bellicisti (ricordiamo a noi stessi fino alla noia che ciascuna delle fasi storiche di deregulation senza limiti e di apertura dei mercati a spese di minimi requisiti di eguaglianza sostanziale si è conclusa con un sanguinosa guerra, anche mondiale).
Ecco perché la scelta del prossimo Presidente diventa di importanza cruciale, perché rappresenta la riproposizione del dilemma tra una blindatura, chissà per quanti anni, dell’attuale sistema consociativo (con le sue conseguenze politiche appena descritte), in chiave centrista e conservatrice, e la riapertura di una vera dialettica democratica ma soprattutto liberale, che renda nuovamente contendibile il potere, doverosamente limitato e instabile il suo esercizio (a tutela delle nostre libertà, da quella sessuale a quella di vivere o morire, da quella fiscale ed economica a quella di scelta politica consapevole), finalmente controllabili e licenziabili democraticamente le sue oligarchie.
Se questo è il quadro, è evidente che il nome che verrà proposto e votato ci dirà da subito in che direzione ci muoviamo. Un Veltroni, un Fassino, un Bassanini, un Marini, un Mattarella, un Amato avrebbero riconoscibili da subito le stimmate del consociativismo di nuovo conio, e verranno respinti rumorosamente (come si deve in democrazia) dai 4 gatti liberali che animano queste colonne. Perfino un Prodi di compromesso votato anche da Berlusconi lascerebbe ben poco tranquilli nella prospettiva descritta. Un uomo dei “poteri ombra” come Sabino Cassese, evidentemente autocandidato nelle ultime settimane, avrebbe un senso diverso e potrebbe almeno schiudere qualche maggiore speranza di prospettiva, ma riaprirebbe ben poco, nell’immediato, i giochi democratici nella pesante crisi di sistema che viviamo.
Per questo Critica rilancia sempre e solo un nome, lo stesso già fatto due anni fa: Stefano Rodotà, uomo libero, lontano dai compromessi e dai debiti di appartenenza all’establishment in decomposizione; difensore della separazione dei poteri di ascendenza liberale più ancora che della centralità del parlamento iscritta nella Costituzione del 1948 (fino a prova contraria da rispettare almeno finché non verrà cambiata, a dispetto di certe macchiettistiche strumentalizzazione della ben diversa teoria della “costituzione materiale” di Mortati). Uomo infine, giova sottolinearlo, aperto al futuro, all’innovazione, ai nuovi attori sociali, al rinnovamento delle élite, alla contendibilità del potere.
Uomo sconfitto due anni fa a dispetto di un evidente diffuso gradimento popolare, tuttora alto nei sondaggi, con le conseguenze che anche un cieco può giudicare.
Quest’ultimo punto appare dirimente. Se si vuole tentare di ricondurre faticosamente il Paese sul sentiero di una democrazia liberale non plebiscitaria e non compromissoria occorre riannodare le fila laddove sono state insensatamente troncate dalla sciagurata strategia politica degli ex pci e dei loro nuovi sodali neocon.
Prima che lo sfascio della nuova legislazione elettorale e del nuovo autoritarismo costituzionale ossifichi la crisi attuale per decenni, occorre ripensare la scelta di quella notte sciagurata. Con Rodotà Presidente.
solo il Parco del Finalese può valorizzare i monumenti di Capo Noli (SV)
L’eremo di Capo Noli ? Sia un fiore all’occhiello del Parco del Finalese
L’ex sindaco di Noli, Carlo Gambetta, nell’ultimo numero di Trucioli – 22 gennaio 2015 -, si complimenta per la notizia ufficiale, affissa all’albo pretorio del Comune, del vincolo monumentale della Soprintendenza all’eremo del comandante De Albertis ed auspica che un domani il “responsabile istituzionale” possa giungere alla musealizzazione del sito.
Io vorrei che invece si giungesse in tempi rapidi alla messa in sicurezza degli immobili presenti poiché lo stato di manutenzione è veramente grave. Nel contempo il sito, raggiungibile tramite il Sentiero del Pellegrino, ideato dal sottoscritto e parte oggi del Sentiero Liguria della Regione, investe anche due importanti chiese ultramedievali (S.Giulia e S.Margherita) per cui l’intera zona deve essere messa in sicurezza in tempi brevi. Nel contempo l’assenza di una strada di facile utilizzo rende l’eremo un sito di difficile raggiungibilità ed anche passibile solo di interventi di restauro di notevole costo. Io credo che l’unica soluzione sia ipotizzabile nella creazione del Parco del Finalese in cui l’eremo potrebbe divenire uno dei punti più rilevanti per la valorizzazione del SIC di Capo Noli e magari si giustificherebbe la raggiungibilità a piedi o a dorso di mulo divenendo anzi uno dei motivi più interessanti di questa zona e della sua valorizzazione.
Si sa però che l’idea del parco non trova molti sostenitori fra gli enti locali della zona per cui temo che l’eremo sia destinato ad una lenta decadenza, a meno che non intervenga un benefattore privato di cui oggi non si vede traccia all’orizzonte.
Danilo Bruno
Nota di redazione
RIPROPONIAMO UN FOTOSERVIZIO PUBBLICATO DA TRUCIOLI.IT NEL 2013. NON IMPORTA SE SIAMO STATI I PRIMI, IN SOLITUDINE, A RIPROPORRE UNO SCANDALO IGNORATO. QUALCUNO SI E’ FINALMENTE MOSSO E NON CI INTERESSANO LE PRIMOGERNITURE, ABBIAMO SVOLTO IL NOSTRO DOVERE DI GIORNALISTI CHE INFORMANO, CRITICANO, PROPONGONO E QUALCHE VOLTA POSSONO SBAGLIARE: Luciano Corrado
Ecco il servizio come venne presentato e pubblicato.
DEDICATO AI QUATTRO SAGGI DI NOLI: COME SI VALORIZZA IL PATRIMONIO ARTISTICO E TURISTICO. CON L’INCURIA, IL DEGRADO DIFFUSO, L’ABBANDONO DEI TESORI STO
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