la laicità e l’europa
paolo bonetti
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Si ripete spesso che l’identità morale e culturale dell’Europa è intimamente legata alla storia del cristianesimo. Qualcuno aggiunge anche l’ebraismo, altri ribattono che non bisogna dimenticare il mondo classico e ci sono anche quelli, bontà loro, che non si dimenticano dell’illuminismo. In questi giorni insanguinati dalla violenza islamica di Parigi, abbiamo visto che si sono moltiplicate le citazioni di Voltaire anche da parte di chi, in altri casi, preferisce rimuoverle. Eppure dovrebbe apparire a tutti ben chiaro che la vera identità dell’Europa e della civiltà americana, che è una propaggine di quella europea, è legata proprio al principio della laicità, quello che separa rigorosamente la sfera religiosa da quella politica. Se è vero che Cristo ha detto che bisogna dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, è altrettanto vero che per molti secoli le chiese cristiane (le protestanti non meno della cattolica) non hanno preso in considerazione questa esortazione di colui che esse considerano il loro fondatore e hanno, invece, perseguitato eretici e non credenti, combattuto guerre sanguinose, preteso di imporre con la forza della legge civile le loro particolari dottrine religiose e morali anche a coloro che non le condividevano.
E’ stato lo Stato laico, libero dalle ingerenze ecclesiastiche, che ha finalmente consentito di porre fine alle guerre di religione, proclamare la libertà di coscienza, riconoscere ai cittadini alcuni fondamentali diritti civili che sono non solo l’essenza della nostra civiltà, ma anche il suo giusto orgoglio. Questo non dobbiamo mai dimenticarlo, quali che siano state, in certi periodi, le colpe degli stati nazionali europei: senza laicità non ci può essere né tolleranza né rispetto paritario dei diritti. Lo stesso cristianesimo, che pure è portatore di un’etica della carità, è stato spesso, fino a tre secoli fa, duramente intollerante e aggressivo, finché lo Stato laico, nel riconoscere la piena libertà religiosa, non lo ha però costretto a restare nell’ambito che gli compete.
Il dramma dell’Islam sta proprio nella mancanza di quella separazione fra politica e religione che per noi europei è ormai un principio che nessuno osa più mettere in discussione. Naturalmente anche lo Stato laico ha avuto le sue crisi sanguinose, quando la laicità si è separata dai principi giuridico-istituzionali del liberalismo e si è identificata con le intolleranti religioni secolari del nazifascismo e del comunismo. In questo caso, a impedire la separazione fra politica e fede, non erano più le religioni della trascendenza, ma ideologie che avevano assunto il carattere delle fedi e esigevano un’obbedienza incondizionata. Il liberalismo, come è stato giustamente detto, è l’arte della separazione, la capacità di tenere ben distinti i diversi ambiti della vita sociale: solo così è possibile salvaguardare le fragili libertà degli individui.
Ma c’è una considerazione che vorrei ancora fare e che potrà magari risultare sgradita a chi non la intende nel suo giusto significato: noi siamo naturalmente dalla parte di quei giornalisti che sono stati massacrati a Parigi dal fanatismo dei terroristi islamici, perché nessuna violenza è ammissibile e non ci possono essere limiti alla libertà di stampa se non quelli che gli stessi giornalisti pongono responsabilmente a se stessi. Ma proprio questa inderogabile autonomia e piena libertà di coloro che esercitano una professione così delicata, deve indurre ciascuno di noi a esercitarla con quell’etica della responsabilità che evita o cerca di evitare reazioni che finiscono con l’innescare una spirale della violenza non più controllabile. Non è un invito alla viltà e alla resa, lo è anzi alla vigilanza e alla fermezza nel difendere con energia le istituzioni della civiltà laico-liberale. Se però vogliamo vivere in un mondo ormai inevitabilmente plurale nelle fedi e nella culture, cerchiamo di tener conto delle sensibilità e dei valori anche di coloro che sentiamo molto lontani da noi e dal nostro universo morale. E ricordiamoci anche che i “diversi” sono, a loro volta, diversi fra loro. Non mettiamoli tutti, a forza, nello stesso calderone.
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