M5S: l'involuzione di un partito che non è pronto alla politica moderna
Pubblicato: Aggiornato:
Stamattina ho ascoltato sulle frequenze di Radio Radicale la diretta dell'assemblea dei parlamentari M5S in vista delle prossime elezioni del Quirinale. È compito di chi si occupa del fenomeno politico assistere ad ogni sua rilevante manifestazione, anche quanto lo spettacolo è impietoso, degradante, avvilente. Di non potersi scegliere l'oggetto da analizzare o su cui deve riflettere. Tanto più quando si tratta di un movimento/partito che ha ottenuto appena un anno fa un quarto del voto degli italiani, risultando primo nelle circoscrizioni Italia.
Bene. Sono state fatte svariate decine (forse un centinaio) di nomi in vista del votodella rapsodicamente presente "Rete", e potremmo soffermarci a lungo su quanti siano improbabili o, in realtà, pressocché sconosciuti ai medesimi intervenienti.
Ma è altro che mi ha colpito. La definitiva involuzione del movimento in una palestra di indignazione sterile, violenza verbale ed estremismo politico. La fine di una flebile speranza che almeno chi è aduso ad ascoltare i dibattiti parlamentari - nei quali hanno portato quasi sistematicamente disordine e villania - già considerava appesa ad un filo invisibile. Mi ha colpito quante volte è stato evocato il "sistema" come un nemico da abbattere, tanto che uno per tutti lo ha chiamato, perché non residuassero dubbi, "sistema di emme". Altro che il compagno Tsipras, Signori. Nelle voci di alcuni ho avvertito ancora una volta, con mio grande disagio, la stessa durezza e il disprezzo che sentii da bambino risuonare nelle parole degli estremisti nei primi anni '80 (e per fortuna in tempi sono cambiati). Nei più caciaroni, libertari e tolleranti una pessima caricatura e un involgarimento dei radicali degli esordi parlamentari, dei quali non hanno né struttura culturale né sapida goliardia. Poi ci sono gli scappati di casa, quelli capitati in parlamento per caso, gli eterni fuori corso, i nullafacenti. Quel che conta, in sintesi, è che in quasi tutti gli interventi riluceva superficialità, ignoranza e, al massimo, velleitarismo infantile. Del resto i ragionevoli se ne sono andati quasi tutti e i ritardatari si tengono coperti. Ecco un piccolo campione: Fraccaro: "dobbiamo indicare un nome che metta in difficoltà il sistema". Pagliani: un nome "che destabilizzi mister Bean", in grado di dargli "uno schiaffone", chiosando: "Mi fa un po' senso dirlo, ma il nome è quello di Bersani". Poi c'è lo scatenato senatore Airola, l'immarcescibile Daniele Del Grosso (quello che non vuole venire a parlare al "Nazzareno" da "Rentsi"; si veda il suo profilo Twitter)... Insomma, in un modo o nell'altro sono quasi tutti così.
Invano, anche nei giorni scorsi, si è sperato (ad es. Ignazi su "la Repubblica" del 30 dicembre 2014) che il M5S si fosse convinto ad essere della partita per le elezioni presidenziali e così sembravano orientarsi i capi-non capi. Ma nel loro caso, per citare Pino Daniele, "a speranza è semp' sola".
Streaming a corrente alternata, espulsioni del capo carismatico via blog come sentenze inappellabili e gogne pubbliche, un direttorio (ora anche un "comitato d'appello" sulle espulsioni decretate dalle "fatwa" di Grillo) nel partito dei "portavoce" dei cittadini dove uno-vale-uno. E poi le risse locali, l'emergere dei primi notabili locali in occasione delle regionali, l'emorragia continua (erano 163 alle politiche 2013, hanno perso in un anno già il venti per cento della loro - consistente! - pattuglia parlamentare, di cui quasi un terzo dei senatori). I minoritari - che poi sono quelli che non prendono la linea dai Capi - considerati dissidenti, poi insultati, infine - schmittianamente - additati sui social come "traditori". Perché ci sarebbe una Causa, ovviamente. Diciamolo chiaramente: tutto ciò non ha quasi nulla a che vedere con la trasparenza, la partecipazione e la democrazia. Non siamo ai privi vagiti di un neonato che si farà adulto. Siamo alle battute finali di un libro già anticipato dalle sue premesse. Un'eterogenesi iscritta in un movimento nato nella frustrazione, nella rabbia, nella coltivazione del complottismo, ma anche nella superficialità della cultura dello spettacolo e dell'immagine e nelle contraddizioni della transizione tecnologica. Certo che c'era anche del buono e del genuino: ci mancherebbe. Ma non c'è più. Ora tutti sanno e ognuno - e parliamo non solo dei parlamentari ma anche degli elettori - è chiamato a decidere dove essere.
Dovevano portare la buona politica dei cittadini nei Palazzi del Potere e constatiamo che sono fattore di imbarbarimento, veicolo di trasfughismo parlamentare e minaccia potenziale di instabilità politica. Rifiutando di partecipare alle consultazioni legittimamente promosse dal partito di maggioranza relativa, decidendo di essere ancora una volta contro un ineffabile "sistema", proponendo nomi ora grotteschi ora immaginati per provocare e dividere, si condannano ancora una volta all'impotenza e all'irrilevanza.
Intendiamoci. Durerà ancora anni ed anni. Ma il pallino non è più nelle loro mani. Se il paese nei prossimi mesi svolta spariranno nel giro di qualche lustro tra recriminazioni e veleni. Se langue, ebbene, resteranno in piedi ma, sia chiaro, senza alcun costrutto. Saranno gli altri ad aver sbagliato "più forte" (Damilano), non sarebbe certo merito loro. Perché inseguono la purezza e credono che la democrazia possa essere "diretta" mentre non hanno nulla da dire ad essere sempre e solo "diretti".
Perché rifiutano in blocco i partiti, la rappresentanza, la mediazione politico-parlamentare. In altre parole, la politica moderna. Sono un fenomeno insieme post-moderno e pre-moderno. Ecco perché prima le riforme, poi un uomo saggio ed equilibrato al Quirinale, sono le due pietre su cui il "sistema" si gioca tutto quasi. La sfida di una moderna democrazia europea.
Nessun commento:
Posta un commento