Il massacro degli studenti di Ayotzinapa ha avuto un'eco planetaria e ha messo definitivamente a nudo la collusione tra gli apparati dello Stato messicano e la criminalità organizzata dei narcos. Sono le istituzioni stesse ad essere marce e non solo chi le dirige. Come possiamo disfarcene? Non c'è consenso sulla maniera per farlo. Alcuni continuano a pensare che il solo mezzo siano le urne, qualunque altra via sarebbe illusoria o antidemocratica e violenta. Altri, molti altri considerano invece un'illusione proprio l'insistenza a confidare nel potere taumaturgico del voto e dell'ennesimo grande leader. Sono invece soltanto la resistenza all'oppressione e all'espropriazione delle facoltà di poter decidere in modo autonomo il proprio destino che possono produrre il cambiamento profondo e reale. Un cambiamento che non si fa con i governi ma si costruisce in basso: i nostri sogni non entrano nelle vostre urne
di Gustavo Esteva
Sappiamo già cosa fare. Adesso abbiamo bisogno di accordo su come e con chi farlo.
Con Ayotzinapa le classi politiche hanno perso la scarsa credibilità che avevano. Si è cristallizzato così un consenso creato da una lunga esperienza: dall'alto arrivano solo violenza, corruzione, impunità e incompetenza.
Un altro consenso è sorto accanto a questo: le istituzioni stesse sono marce, non solo chi le dirige. Non sono al servizio della gente né compiono le loro funzioni. Abbiamo bisogno di sostituirle.
Si estende, inoltre, un consenso che arriva da lontano. Negli ultimi decenni le classi politiche hanno adulterato e infine smantellato ciò che restava della Costituzione del 1917. Ce ne serve un'altra. O meglio: un meccanismo costituente che formuli dal basso un nuovo ordine sociale.
Per tutto questo dobbiamo concepire come disfarci di ciò che c'è e creare meccanismi democratici di transizione che prevengano e contengano il disordine e la violenza attuali.
Non c'è consenso sulla maniera di fare tutto questo. Tra coloro che condividono la convinzione che dobbiamo rimuovere i funzionari attuali e costruire altre istituzioni, alcuni pensano che l’unica maniera di riuscirci senza violenza è mantenersi all'interno degli argini attuali, attraverso il cammino elettorale e dei partiti. Secondo costoro, bisognerebbe utilizzare le urne perfino per squalificarle. Qualunque altra via sarebbe illusoria o antidemocratica e violenta. Sorge così una controversia profonda, perchémolte altre persone considerano illusorio e antidemocratico continuare a usare le urne, completamente inadeguate per ciò che si cerca. Ciò di cui sentiamo il bisogno è rompere gli argini attuali.
In questo dibattito, come in altre questioni, pesa un'antica tradizione che attribuisce a un leader o a un pugno di dirigenti la possibilità del cambiamento. Secondo Luis Gonzales y Gonzales, dal diciottesimo secolo si installa periodicamente alla guida del Messico "un pugno di persone (politici, intellettuali, impresari e sacerdoti), che sono quelle che principalmente distribuiscono il pane, pianificano e dispongono il cammino da seguire. Chi è stato responsabile del cambiamento sociale, sostiene, sono minoranze di comando, gruppi di uomini eletti, assemblee di notabili, non masse senza volto né capi-popolo di grande fama / sopravvalutati condottieri con soldati forniti di archibugio".[1]
Questa visione della nostra storia, che ignora i milioni di uomini e donne comuni che hanno speso la vita nei cambiamenti avvenuti nel paese, o che li considera masse obbedienti, manipolate o controllate, costituisce una tradizione solida che si è attualizzata nell'era della globalizzazione e dei mezzi di comunicazione di massa. Si continua a cercare un leader o almeno un partito o un gruppo. Devono costituire la minoranza reggente, un corpo dirigente disciplinato e articolato. Senza di loro cadremmo nel disordine e nella violenza e sfumerebbero i cambiamenti che cerchiamo.
Una vigorosa corrente tenta di farla finita con questa tradizione e propugna la costruzione dal basso, per opera di uomini e donne ordinari, senza leader, illuminati, esperti, avanguardie o partiti.
È vero che un pugno di uomini ha assunto la rappresentanza di tutti i messicani da quando è nato il paese. Morelos affermò che era sentimento della nazione essere governata dalla minoranza meticcia. Questo sentimento prevalse tra coloro che forgiarono il nuovo ordine sociale, espresso nella Costituzione del 1824, emarginando i popoli indigeni che rappresentavano allora un terzo della popolazione ed erano stati i principali protagonisti della lotta rivoluzionaria per l'Indipendenza. Nello stesso modo, le elite successive trasformarono i loro stessi ideali e interessi nel modello su cui doveva formarsi la volontà nazionale. Il rituale delle elezioni, che si mantenne perfino durante la dittatura per legittimare il patto sociale imposto dall'alto, non è mai riuscito a compensare questa assenza della maggioranza. La volontà generale non può ridursi al raggruppamento statistico di voti individuali, per eleggere persone o definire politiche. "I miei sogni non entrano nelle vostre urne", hanno detto bene gli indignados in Spagna.
Non è un documento che ci ricostituirà come nazione o ci permetterà di ricostruire la convivenza e il tessuto sociale, anche fosse formulato con senso sociale e ardore patriottico dalle migliori menti del paese. Come diceva Lasalle, le questioni costituzionali non sono questioni di diritto ma di potere. Si tratta di definire chi lo possiede e come si articola e si costruisce la volontà generale: dall'alto o dal basso, con elezioni che lo delegano tutto ad alcuni... o senza, con un governo autonomo.
Davanti all'immensa tragedia nazionale, nessuna assemblea di notabili può assumere la transizione e meno ancora determinare nuove direzioni o maniere di ricostruirci. La sfida consiste nell'ottenere che i diversi soggetti sociali che dal basso stanno resistendo all'espropriazione e all'oppressione siano finalmente quelli che conducono la trasformazione. Lungi dal rappresentare caos e disordine, confidare nella saggezza e nell'esperienza che dal basso si sta accumulando è l'unica alternativa al caotico disordine che caratterizza questa fase della storia della nazione e che continuerà se noi continuiamo a arrenderci all'ingegneria sociale imposta dall'alto.
In questo momento, abbiamo bisogno anche che certe persone, un pugno forse, siano garanti morali della transizione, agglutinino consenso e nutrano intellettualmente il cambiamento. Il governo non sarebbe nelle loro mani, ma in quelle della gente stessa, che vigilerebbe, controllerebbe e ricostruirebbe le istituzioni. La democrazia starebbe così dove deve stare: dove sta la gente. E sarebbe questa a sostenere l'ordine sociale e farsi bastione contro il caos e la violenza attuali.
[1] Nel testo originale: adalides archibujados. Espressione tratta da un’opera storica di Ortega y Gasset (ndt)
Fonte: la Jornada Titolo originale: Llegó la hora |
giovedì 29 gennaio 2015
i soggetti del cambiamento
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento