Il concetto di "cittadinanza partecipata" richiama la possibilità di incidere concretamente in un contesto sociale. Quello di educazione interculturalre, invece, allude alla pluralità e alla diversità socio-culturale e linguistica che può caratterizzare il livello organizzativo dei contenuti, del programma di studio e più in generale dei metodi di insegnamento. I concetti di cittadinanza partecipata e interculturalità spingono la scuola a porsi come obiettivo ultimo la formazione di personalità aperte, critiche. "La complessità del ruolo dell’insegnante - scrive Carla Podda in un saggio ospitato da Educazione democratica - non risiede nel fornire delle conoscenze o delle abilità meramente strumentali o operative, ma nella capacità di avviare un processo di costruzione di coscienze critiche fra gli studenti, creando e rappresentando nuovi modelli di convivenza e collaborazione, che non si limitino alla tolleranza, ma sappiano rielaborare nuove forme di cittadinanza".
di Carla Podda*
Verso la pratica della cittadinanza cosmopolita
La riflessione sui temi della cittadinanza concerne diversi ambiti culturali e fra questi, il sapere pedagogico rappresenta il fulcro capace di favorire un cambiamento sia nell’assegnare al soggetto un ruolo centrale nel processo formativo, sia nel favorire il decentramento e la valorizzazione delle diversità.
Nel trasferirsi dal livello della speculazione teorica alla pratica educativa quotidiana, l’idea di cittadinanza necessita dello scambio continuo tra differenti dimensioni al fine di formare ai valori civili riconosciuti dalla collettività. Non si pensa che sia semplice applicare il sapere teorico e pratico della cittadinanza, ciononostante si vuole qui riflettere sulla sua elaborazione in norme comuni e negoziabili, e sul ruolo della pedagogia, disciplina capace di orientare criticamente e dialetticamente una trasformazione in tal senso. L’epoca contemporanea ha introdotto livelli di problematicità che evidenziano la necessità di riqualificare i contesti di vita, presupponendo nuove forme di politica, non solo rappresentata, ma agita da tutti i cittadini.
Il modello unitario di cittadinanza basato sulla nazionalità, si rivela ormai anacronistico e inadeguato, eppure fatica ad affermarsi una nuova pratica della cittadinanza. La ricerca di «soluzioni locali alle contraddizioni globali» (Bauman 2005, 19), può essere avviata mediante la rinegoziazione delle norme condivise in favore dell’interesse comune. La prospettiva è quella della deterritorializzazione connessa all’implementazione del controllo politico sulle scelte globali.
Questa riflessività favorisce, dunque, la mediazione fra gli aspetti globali della specificità umana e la normatività locale e culturale, e guida verso l’estensione delle regole democratiche al governo delle questioni globali. In questa prospettiva la cittadinanza conduce sia alla riappropriazione della reale partecipazione politica, che alla ridefinizione dei diritti umani derivanti da una giustizia cosmopolita. Essa, infatti, ha come prerequisito la considerazione degli individui in qualità di persone morali e giuridiche appartenenti alla medesima società civile globale.
Il concetto di cittadinanza partecipata richiama la possibilità di incidere concretamente nella determinatezza del contesto storico e sociale, applicando l’insieme dei diritti di cui ogni persona è titolare in qualità di membro della comunità, implica pertanto una decisione per l’azione. Luigina Mortari richiama come questa pratica si correli all’assunzione della responsabilità politica, realmente diretta a migliorare i contesti esperienziali dei cittadini.
«Agire significa dare inizio a qualcosa di nuovo, dare vita a qualcosa di non ancora previsto. L’agire politico consiste sia nel fare cose (pràxis) sia nel dire cose (léxis), perché si agisce non solo con le azioni ma anche con le parole» (Mortari 2008, 15).
Ha origine così una cittadinanza come pratica cosmopolita che riconosce a tutte le persone i diritti umani, estendendo a ciascuno il diritto al rispetto morale. Affinché la cittadinanza cosmopolita possa divenire attiva occorre garantire ad ogni cittadino la possibilità di partecipare alle scelte globali in maniera diretta, costruendo istituzioni parallele ed autonome rispetto a quelle dello stato-nazione. In questo modo la riflessione sulla cittadinanza si trasmuta in prassi e, pur non astraendo e separando dall’appartenenza culturale, ricerca nuove forme di partecipazione. La riscoperta ed il recupero della partecipazione diretta, facilitano la sostituzione dei rapporti di potere, mediante l’instaurazione di relazioni di fiducia. Solo in questo modo è possibile attivare ogni cittadino a prender parte alle scelte globali e agevolare la genesi di istituzioni giuridiche e politiche parallele ed autonome rispetto a quelle statali.
La partecipazione ha un ruolo emancipativo ed eversivo:
«è radicale perché colma lo spazio fra chi governa e chi è governato, fra chi decide e chi subisce l’effetto delle decisioni, presuppone una delega di potere e di sovranità e dunque mette seriamente in discussione gli aspetti di potere consolidati» (Tarozzi 2008, 129).
Nella pratica della cittadinanza partecipata primeggiano gli aspetti culturali e cosmopolitici sulle istanze giuridiche, Claudia Secci afferma in proposito che:
«non sono le “carte in regola” a fare il cittadino, ma piuttosto la sua propensione a contribuire, come lavoratore, genitore, animatore, volontario, al funzionamento del luogo/comunità in cui abita» (Secci 2012, 145).
Foto di Adamo Banelli
L’intercultura come compito formativo ed educativo
La riflessione sulla pratica della cittadinanza, come già accennato, si qualifica come il compito primario della pedagogia contemporanea e induce a ripensare la questione relativa ai principi universali che fondano i diritti umani, e, in prospettiva pedagogica, attivano le risorse adeguate alla realizzazione ed alla gestione delle trasformazioni in atto.L’estensione del concetto di cittadinanza, trasferisce l’attenzione da un’immagine di uomo astratta, ideale ed universale, al riconoscimento delle differenze individuali e delle esperienze determinate, creando possibilità di dialogo interculturale. Infatti, il riconoscimento ad ogni essere umano dei diritti di cittadinanza comporta la riflessione sulle prospettive multiculturali, si correla strettamente alla questione interculturale ed alla ricerca di modalità relazionali idonee a favorire il confronto fra persone con stili di vita differenti.
«Piuttosto che considerare la cultura come sostanza, è più utile considerarla come una dimensione di fenomeni, una dimensione che si accompagna alla differenza situata e incarnata» (Appadurai 2001, 28).
La cultura oltre ad essere meramente oggettiva, poiché attribuita dall’esterno ad un gruppo, è dunque soggettiva, in quanto riguarda la persona nella sua specificità, senza attribuirle a priori concetti o pregiudizi. Essa è uno strumento euristico che conduce verso il fertile campo delle differenze. Il prefisso inter– nel termine intercultura, indica inoltre,
«la matrice fondativa della “reciprocità” interculturale, il suo essere terreno fecondo di negoziazione e di scambio, facendo risaltare la ricchezza e la produttività del confronto» (Pinto Minerva 2002, 13).
A livello teorico e pratico, mettere in relazione cittadinanza ed intercultura, introduce degli interrogativi sulle modalità afferenti alla costruzione sia di momenti partecipativi al governo del territorio, sia di situazioni capaci di sollecitare l’incontro e il dialogo.L’incontro interculturale reclama, infatti, scambi capaci di produrre reale interazione e comunicazione. Esso pertanto è regolato dalla difficilissima costruzione di un uomo nuovo e planetario:
«nella generale eclissi delle identità, il nostro primo dovere è di restare fedeli a quella che abbiamo costruito […], con una variante però, che essa va ritenuta non come il tutto ma come un frammento del tutto, di un tutto ancora nascosto nel futuro […]. Come il vero Dio, così anche il vero uomo èabsconditus» (Balducci 1990, 173).
Al fine di formare l’uomo planetario e di rendere più agevole la sua educazione, la pedagogia può ripensare tre categorie-guida dei processi formativi ed educativi, ossia la differenza, la relazione ed il dialogo.
La differenza è propria dell’esistenza e si pone come un valore da salvaguardare. Ad essa occorre ispirarsi per realizzare l’appartenenza all’humanitas, in quanto essa implica pluralismo, diversità, unicità. Rita Fadda scrivendo della natura relazionale dell’uomo sostiene che
«l’afferenza alla dimensione dell’humanitas, [è la] prima e fondamentale condizione per rendere possibile la differenza, il dispiegarsi dell’uomo come intenzionalità e progettualità, come apertura, trascendenza, protensione verso l’alterità e l’ulteriorità» (Fadda 2007, 14).
La differenza rappresenta la risorsa umana e formativa principale, richiama la cura e la responsabilità insite nella pedagogia del volto (Fadda 2009, 49-50).
La relazione è apertura che lega le differenze nella pluralità della realtà, infatti permette di esperire l’afferenza e l’identità ma anche l’irriducibile singolarità e la differenza. La relazione inizia con un incontro ed ha per presupposti l’ascolto, la comprensione e la comunicazione, si rivela pertanto imprescindibile in prospettiva pedagogica.
«Quando il rapporto interpretativo coinvolge due soggetti umani (come è il caso del rapporto formativo-educativo) uno degli elementi fondamentali di mediazione è proprio la relazione e la comunicazione, la rete infinita di rimandi contestuali ed extra-testuali che i comunicanti percorrono, giovandosi delle proprie pre-comprensioni» (Fadda 2002, 141).
Il dialogo si configura come quella particolare forma di comunicazione capace di originare comunità più ampie mediante il coinvolgimento del singolo e l’apertura ad una pluralità di significati e prospettive (Fadda 2002, 151). Lo scambio dialogico è fondamentale nella formazione dell’identità, Rita Fadda sottolinea come esso non debba essere omologante, ma debba rispettare l’alterità della persona, al fine di comprenderla ed interpretarla senza invadere le parti del sé che la persona non vuole rivelare (Fadda 2002, 153). Il dialogo dispone i soggetti in quello spazio che Franco Cambi definisce «spazio dell’incontro» che rappresenta la
«crescita umana guidata dalla comunicazione e dall’agire argomentativo, che sono -alla fine- i veri principi più propriamente umani della formazione umana dell’uomo» (Cambi 2005, 196).
La proposta interculturale è, pertanto, attenta a sviluppare le tre categorie guida alla luce dei cambiamenti del presente. In questa prospettiva, l’alterità non è unicamente quella di colui che è prossimo, vicino, simile, ma si estende includendo le generazioni future, il lontano, il diverso, lo straniero. Si tratta di un percorso complesso dal punto di vista cognitivo per la complessità di riconoscere la specificità di differenti realtà, e dal punto di vista emozionale per lo sforzo necessario al superamento del senso di insicurezza innescato da ciò che appare come sconosciuto (Santerini 2008, 147).
Il percorso formativo capace di incrementare competenze nei tre ambiti non si sviluppa in autonomia: ha bisogno per la sua realizzazione di pratiche educative appropriate che prendano avvio nell’istituzione scolastica, introducendovi una sorta di rivoluzione culturale. Si costruisce così l’intercultura come
«sfida radicale alla mentalità corrente e comune, radicata nelle convinzioni della tradizione e diventata un habitus mentale dell’uomo occidentale» (Cambi 2001, 15).
Di conseguenza la scuola ha come obiettivo ultimo la formazione di personalità aperte, critiche. In qualità di agenzia formativa ha il compito di realizzare l’uguaglianza tra i cittadini e può contribuire alla formazione dell’identità in contesti multiculturali se valorizza la diversità e promuove il rispetto dell’altro. Essa è la comunità di diversi che deve integrare senza omologare, far comunicare nel riconoscimento reciproco, creando incontro e dialogo.
Il difficile compito della scuola, e più in generale dell’educazione, è quello di salvaguardare la diversità nell’unità della specie, contribuendo alla costituzione di
«un pensiero policentrico capace di tendere all’universalismo non astratto, ma consapevole dell’unità/diversità umana e […] di un pensiero policentrico nutrito dalle culture del mondo» (Morin 2001, 64).
Il sistema scolastico ed extrascolastico: il ruolo del docente quale promotore delle pratiche interculturali e di cittadinanza attiva
L’educazione è responsabile della formazione di cittadini competenti dal punto di vista sociale e politico (Bertolini 2003, 35). Nel formare all’autonomia, al senso critico, alla responsabilità, si riducono i rischi di conformazione a modelli di vita e di pensiero, individuali e collettivi, già predisposti, in favore della condivisione; si evitano, inoltre, le situazioni in cui gli allievi debbano unicamente produrre oggetti o performance da misurare. Nel ripensare il ruolo degli adulti, in particolare degli educatori e degli insegnanti, Martha Nussbaum sottolinea come sia loro compito:
«mostrare agli studenti come sia bella e interessante una vita aperta al mondo, quanta soddisfazione si ricavi dall’essere cittadini che si rifiutano di accettare acriticamente le impostazioni altrui, quanto sia affascinante lo studio degli esseri umani in tutta la loro reale complessità e l’opporsi ai pregiudizi più superficiali, quanta importanza abbia vivere fondandosi sulla ragione piuttosto che sulla sottomissione all’autorità» (Nussbaum 2001, 95).
Alla pedagogia spetta il compito di vigilare criticamente sull’utilizzo dei metodi e degli strumenti che, in ambito scolastico ed extrascolastico, vengono impiegati con l’obiettivo di formare una coscienza critica negli educandi, che consenta loro delle opportunità di partecipazione libera e consapevole. La finalità è quella di formare opinioni autonome, capaci di pensiero divergente e scelta, valorizzando la coscienza democratica, condizione indispensabile per ogni democrazia. Il recupero del senso originario dell’istanza politica e formativa, dunque, passa attraverso l’educazione che costituisce il mezzo idoneo a favorire l’accesso ad un pensiero divergente e meno esposto alla manipolazione. Una pedagogia attenta alla formazione di soggetti situati nel contesto storico e capaci di coltivare la differenziazione al suo interno, è capace di sostenere l’intera crescita della persona umana, prende pertanto avvio fin dal contesto scolastico, ed è fortemente coinvolta nei processi di educazione degli adulti, formali e non formali.
La cittadinanza partecipata crea coesione sociale e l’agire educativo concorre nella ricerca di nicchie di riconoscimento idonee a rappresentare soggettività capaci di appartenere ed abitare il mondo, come cittadini attivi ed elaboratori di senso. La prospettiva della cittadinanza partecipata si configura dunque, come un passaggio essenziale per la creazione di una società e di una scuola aperte alla diversità e alla gestione dell’eterogeneità, non solo orientate a cercare risposte alle emergenze e ai bisogni speciali.
Nel mondo della scuola, l’educazione può definirsi «interculturale» quando considera la pluralità e la diversità socio-culturale e linguistica che caratterizza il livello organizzativo dei contenuti, del programma di studio e dei metodi di insegnamento. In ciascuna disciplina, pertanto, vengono adottate differenti prospettive, confrontate e analizzate in modo critico. L’idea essenziale è quella di rispettare e valorizzare ogni espressione socio-culturale e linguistica.
Nello specifico, la scuola italiana si struttura in modo tendenzialmente inclusivo in quanto, dal punto di vista normativo, è aperta a tutti gli alunni: riconosce le loro differenze e offre a ciascuno pari opportunità. Nonostante questi aspetti positivi, il sistema scolastico continua a resistere alle mutazioni introdotte dalla pluralità e dalla multiculturalità. L’integrazione richiede che vengano predisposte misure supplementari dirette agli alunni stranieri, ma non può limitarsi a questo accorgimento. Si evidenzia una mancanza generale dal punto di vista strategico, per quanto concerne gli aspetti correlati alla comunicazione, e dal punto di vista della pianificazione per quanto concerne la proposta di attività che implichino l’incontro e il dialogo fra gli studenti. Infatti, le esperienze sono spesso autoreferenziali, demandate alla libera iniziativa dei singoli docenti o basate sulla gestione del bisogno del momento e non sul vissuto quotidiano.
L’interculturalità, così come la cittadinanza partecipata, non possono essere considerate come nuove discipline da aggiungersi alle altre, esse richiedono, infatti, una prospettiva globale, che abbracci diverse dimensioni esistenziali e una prospettiva trasversale che implichi il coinvolgimento dell’intero mondo scolastico, dalla scuola dell’infanzia all’università. Già nel 1972 Jean Piaget, anticipando le attuali riflessioni in merito ed interrogandosi sul diritto all’educazione, scriveva:
«è dunque evidente che l’educazione internazionale non potrebbe limitarsi ad aggiungere agli insegnamenti ordinari un insegnamento in più […] bisognerebbe rendere internazionale tutto l’insegnamento. […] Di questa disposizione mentale dovrebbe permearsi l’insegnamento nel suo insieme» (Piaget 2000, 127).
Occorre saper modificare i metodi formativi, con attenzione alle differenze personali, al lavoro collaborativo non solo fra docenti, ma anche fra alunni, fra studenti e docenti, e fra famiglie e docenti. Le strategie d’insegnamento devono implementare la collaborazione per costruire strutture, affini a ciò che si chiama rete, implicando una bidirezionalità di scambi concettuali e la ricerca di strategie che pur valorizzando le singole discipline, unifichino le prospettive particolari in una visione trasversale.
La predisposizione di una formazione specifica degli adulti che operano nel contesto scolastico diviene essenziale per praticare un’educazione alla cittadinanza democratica, fondata sulla valorizzazione dell’interazione e della partecipazione. In questo senso, la pedagogia deve indirizzare la scuola, non tanto a ritenere contenuti ed insegnamenti, ma a preparare ad acquisire competenze applicabili in contesti diversi, nel mondo del lavoro, ma anche nella vita privata e nella sfera personale, ambiti nei quali è necessaria la capacità di adattarsi ai cambiamenti in corso.
L’insegnante, come adulto in formazione, deve essere protagonista attivo del cambiamento rispondendo a complessi interrogativi, attraverso l’utilizzo di differenti possibilità di azione educativa che richiedono capacità decisionali e competenze teoriche e operative. La complessità del ruolo dell’insegnante, infatti, non risiede nel fornire delle conoscenze o delle abilità meramente strumentali o operative, ma nella capacità di avviare un processo di costruzione di coscienze critiche fra gli studenti, creando e rappresentando nuovi modelli di convivenza e collaborazione, che non si limitino alla tolleranza, ma sappiano rielaborare nuove forme di cittadinanza.
Da questa prospettiva, lo sviluppo della professionalità del docente non può essere statico o ancorato a modalità obsolete di trasmissione contenutistica, bensì deve articolarsi in modalità dinamiche e responsabili, volte a costruire conoscenze utili ad informare la prassi. La formazione iniziale avvia verso un’azione intenzionale che definisce la strutturazione della professionalità: il confronto con la realtà scolastica, durante il tirocinio e l’inserimento lavorativo, induce a riflettere sulla pratica dell’insegnamento. In questo modo si costruiscono percorsi volti a far esperire a tutte le persone che vivono il contesto scolastico, occasioni di incontro e di dialogo, spazi aperti a tutti nei quali è possibile proporsi e partecipare alla vita del territorio nel quale si vive.
La scuola può insegnare a conoscere le diversità e vederle, non come minaccia, ma come fonte di crescita:
«la scuola deve educare al rapporto tra identità e alterità. L’identità è la risposta che ogni persona elabora nel rapporto con gli altri; l’alterità è percepita come il superamento di ogni differenza che ci separa dagli altri» (Nanni, Abbruciati 1999, 30-31).
Il rapporto fra uguaglianza e differenza si gioca dunque, non più sul piano della contrapposizione, ma su quello della cooperazione. La scuola dovrà favorire l’apprendimento degli strumenti utili alla reale fruizione dei diritti umani ed alla partecipazione di tutti al dialogo.
Franca Pinto Minerva, considera le pratiche interculturali come una molteplicità di esperienze di apprendimento e di relazione che conducono a conoscere e incontrare altre culture, finalizzando tale conoscenza alla costruzione di un reale dialogo interculturale e cooperazione, mediante la continua scoperta di analogie e di differenze (Pinto Minerva 2002). Si crea così un reciproco arricchimento che prende avvio dalla conoscenza dell’alterità.
L’implementazione della percezione dell’unità della specie umana, non ne annulla le diversità, ma incoraggia la capacità decisionale e la scelta di tutti i membri della società, valorizzando il sentimento di appartenenza ad una cittadinanza planetaria.
«Un’avventura comune travolge gli umani, ovunque essi siano devono riconoscersi nella loro comune umanità, e nello stesso tempo devono riconoscere la loro diversità, individuale e universale» (Morin 2001, 47).
Nel tentativo di raggiungere obiettivi così importanti, occorre riflettere ancora sul compito dell’insegnante come modello positivo di adultità. L’adulto, il docente in particolare, può predisporre risorse capaci di facilitare la pratica della cittadinanza attiva e i processi interculturali, nella misura in cui si propone come esempio positivo. In questa prospettiva, forse nessuno più di Hannah Arendt ha trovato parole e pensieri così profondi e densi di significato:
«l’insegnante si qualifica per conoscere il mondo e per essere in grado di istruire altri in proposito, mentre è autorevole in quanto di quel mondo si assume la responsabilità. Di fronte al fanciullo è una sorta di rappresentante di tutti i cittadini adulti della terra, che indica i particolari dicendo: ecco il nostro mondo» (Arendt 1999, 247).
Riferimenti bibliograficiAppadurai A. (2001), Modernità in polvere. Dimensioni culturali della globalizzazione,Meltemi, Roma.Arendt H. (1999), Tra passato e futuro, Edizioni Garzanti Libri, Milano.Balducci E. (1990), L’uomo planetario, Edizioni di Cultura della Pace, Fiesole, Firenze.Bauman Z. (2005), Fiducia e paura nella città, Bruno Mondadori, Milano.Bertolini P. (2003), Educazione e politica, Raffaello Cortina Editore, Milano.Cambi F. (2001), Intercultura: fondamenti pedagogici, Carocci, Roma.Cambi F. (2005), Le pedagogie del Novecento, Laterza, Roma-Bari.Fadda R. (2002), Sentieri della formazione. La formatività umana tra azione ed evento,Armando, Roma.Fadda R. (2007), L’io nell’altro. Sguardi sulla formazione del soggetto, Carocci, Roma.Fadda R. (2009), Un modello italiano di pedagogia critica. Presupposti, sviluppi, problemi aperti, In Per una pedagogia critica. Dimensioni teoriche e prospettive pratiche, a cura di E. Colicchi, Carocci, Roma.Jabès, E. (1991), Uno straniero con, sotto il braccio, un libro di piccolo formato, SE, Milano.Morin E. (2001), I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano.Mortari L. (2008), Educare alla cittadinanza partecipata, Bruno Mondadori, Milano.Nanni A. Abbruciati S., (1999), Per capire l’interculturalità. Parole chiave, in Quaderni dell’Interculturalità, n. 12, EMI, Bologna.Nussbaum M. (2001), Coltivare l’umanità. I classici, il multiculturalismo, l’educazione contemporanea, Carocci, Roma.Piaget J. (2000), Dove va l’educazione, a cura di A. Granese, Armando, Roma.Pinto Minerva F. (2002), Intercultura, Laterza, Roma-Bari.Santerini M. (2006) Educazione civica, educazione alla cittadinanza, educazione alla convivenza civile, in Spadolini B., (a cura di), I problemi dell’educazione, Armando, Roma.Santerini M. (2008), Pedagogia interculturale e nuova cittadinanza, in Pedagogia e vita, n. 1, pp. 133-149.Secci C. (2012), La politica come tema e dimensione dell’educazione degli adulti. Gramsci, Capitini, Freire, Liguori, Napoli.Tarozzi M. (2008), Per una cittadinanza planetaria, attiva, interculturale, in Aa. Vv. Educare alla cittadinanza partecipata, a cura di L. Mortari, Bruno Mondadori, Milano, pp. 121-140.Carla Podda Dopo la laurea in Scienze dell’Educazione ha realizzato diverse esperienze lavorando come educatrice con bambini ed adolescenti di strada in Nicaragua e con adulti interessati da disturbi psichiatrici, in Friuli Venezia Giulia ed in Sardegna. Nel 2010 ha condotto una ricerca negli Istituti Secondari della Repubblica di Macedonia, iniziando una collaborazione che continua tutt’oggi con la Professoressa Rita Fadda e la Professoressa Claudia Secci dell’Università degli Studi di Cagliari. Ha pubblicato, con Alessia Carta:Educazione degli adulti e dialogo interculturale: esperienze in Macedonia, in Per una relazionalità interculturale. Prospettive interdisciplinari, a cura di Cacciatore G., D’Anna G., Diana R., Santoianni F. (Mimesis, 2012); The Effects of Active Methodologies on the High Schools Student’s Pro-social Behaviour: Theachers’ Views, in Issues on Education and Research (Atiner Edizioni, 2012); Cittadinanza democratica in costruzione: lettura dei rapporti di «esclusione/inclusione» in Macedonia, in Ricerche di Pedagogia e Didattica (7,1 2012). È abilitata all’insegnamento delle discipline pedagogiche e specializzata per le attività di sostegno agli alunni interessati da disabilità.
Educazione Democratica, anno V, numero 10, giugno 2015
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giovedì 9 luglio 2015
formare cittadini del mondo
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