domenica 5 luglio 2015

riforme e liberismo


Ci vogliono le riforme. Il regime del liberismo

by JLC
precari
di Alain Goussot*
Angela Merkel dice "Ci vogliono le riforme!", la signora Christine Lagarde del Fondo mometario internazionale commenta "Ci vogliono le riforme!", Mario Draghi della Banca centrale europea grida "Ci vogliono le riforme!", Matteo Renzi come un pappagallo ripete "Ci vogliono le riforme!". La domanda è: ma di cosa stanno parlando?
Le riforme sono quelle volute dalla grosse società finanziarie e dalle corporations anglo-americane: meno Stato e più mercato, meno diritti per i lavoratori e più libertà di sfruttamento per gli imprenditori, meno diritti costituzionali e più diritti privati per le multinazionali, meno eguaglianza e più libertà per i ricchi, meno bene pubblico e più beni privati per chi se lo può permettere, meno solidarietà e più egoismo in nome dell'autorealizzazione e delle competenze individuali, meno solidarietà e più competitività considerata come motore dello sviluppo economico, distruzione della scuola pubblica poiché l'istruzione è pericolosa, più darwinismo sociale (se ne ce la fai è colpa tua e non di un sistema d'ingiustizia) quindi esclusione e marginalizzazione dei poveri e di quelli che lo diventano, più schiavitù e meno libertà autentica, più alienazione e dipendenza e meno autonomia e autonomia reciproca, prima l'accumulazione di capitale e di denaro e dopo le persone, i diritti umani sono solo una cosa secondaria nella gerarchia dei valori delle riforme di cui parlano.
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Le riforme di cui ci parlano hanno una ideologia bene precisa: quella neoliberista nata alle fine del '700 con la nascita del capitalismo e che troviamo teorizzata da Adam Smith con la "mano invisibile del mercato" come regolatore dei rapporti umani e perfezionata negli anni Settanta dai Chicago boys di Milton Friedman: si potrebbe anche dire roba vecchia (per rispondere a chi parla di Karl Marx come se fosse un ferro da buttar via) che ci fa tornare indietro di cent'anni. Insomma diseguaglianze, ingiustizia, arricchimento dei ceti ricchi e impoverimento dei lavoratori, distribuzione dal basso verso l'alto della ricchezza, mercificazione di tutti i rapporti umani, la precarietà come regola di vita con un surrogato di consumismo lì dove è ancora possibile, concorrenza e competitività tra esseri umani, competitività che alimenta il razzismo e la xenofobia ideologie molto utili per un capitalismo finanziario che deve dividere gli sfruttati scatenando la guerra tra loro.
Ecco in quale logica si collocano le riforme di cui i dirigenti politici si riempiono la bocca in Europa: quelle riforme sono una vera guerra sociale dichiarata dalle classi dominanti della borghesia finanziaria e dei loro servili commessi nei governi contro le classi popolari e lavoratrici del continente. Basta vedere il Job's Act, la controriforma della scuola, una legge elettorale autoritaria, la privatizzazione di bei collettivi come acqua, mare e territori nonché beni artistici (vedi lo Sblocca Italia) e finalmente un cambiamento della Costituzione rendendola sempre meno democratica.
Il senso delle riforme? Sono delle contro riforme che peggiorano la condizione sociale e storica delle classi popolari e lavoratrici ridiventate, come diceva Antonio Gramsci, delle "classi subalterne".
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*Alain Goussot è docente di pedagogia speciale presso l’Università di Bologna. Pedagogista, educatore, filosofo e storico, collaboratore di diverse riviste, attento alle problematiche dell’educazione e del suo rapporto con la dimensione etico-politica, privilegia un approccio interdisciplinare (pedagogia, sociologia, antropologia, psicologia e storia). Ha pubblicato: La scuola nella vita. Il pensiero pedagogico di Ovide Decroly (Erickson); Epistemologia, tappe costitutive e metodi della pedagogia speciale (Aracneeditrice); L’approccio transculturale di Georges Devereux (Aracneeditrice); Bambini «stranieri» con bisogni speciali (Aracneeditrice); Pedagogie dell’uguaglianza (Edizioni del Rosone). Il suo ultimo libro è “La pedagogia di Lev Vygotskij. mediazione e dimensione storico-culturale in educazione” (con Riziero Zucchi), Lemonnier università.

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