le unioni civili e l’omofobia religiosa
paolo bonetti
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NELLA FOTO: IL MANIFESTINO DEL FAMILY DAY
Crediamo di vivere in uno di quei paesi dell’Occidente secolarizzato dove ormai certi problemi si risolvono con un sano pragmatismo, tenendo conto delle nuove realtà sociali e culturali bisognose di una qualche regolamentazione giuridica che assegni diritti e doveri, evitando nel contempo situazioni oggettivamente ingiuste e discriminatorie. Crediamo, ma in realtà non è così, perché c’è chi si rifiuta di prendere atto della realtà e si appresta, ancora una volta, a bandire una crociata ideologica in nome della pretesa di imporre a tutti, anche a chi non la condivide, la propria prospettiva morale, l’unica ritenuta “naturale” e quindi tale da dover essere imposta con la forza della legge civile.
Ogni tentativo di ricondurre i nuovi crociati dell’omofobia alla ragionevolezza appare del tutto inutile; non serve a niente spiegare che la proposta di legge sulle unioni civili all’esame del Parlamento (una legge prudente, che non sancisce alcun matrimonio omosessuale, come pure è avvenuto in paesi non meno cristiani e cattolici del nostro) si limita a prendere atto che ci sono innumerevoli situazioni di convivenza fra persone dello stesso che hanno bisogno di un riconoscimento giuridico per evitare (ad esempio in materia testamentaria e altre ancora) differenze inaccettabili, in qualunque stato di diritto, fra cittadini che dovrebbero godere delle medesime garanzie; e neppure serve a niente spiegare che il riconoscimento pubblico di queste diverse forme di convivenza nulla toglie ai diritti della famiglia tradizionale e che, addirittura, significa un rafforzamento dell’istituto familiare e della stabilità sociale. Non c’è nei nuovi crociati nessuna volontà di dialogare su un piano di parità e di reciproca comprensione, pur nella diversità delle differenti concezioni morali. Dopo tanto parlare, anche da parte dell’autorità papale, di laicità e di rispetto delle differenze, siamo alle solite: si negano, in nome del proprio intransigente assolutismo morale, anche quei riconoscimenti minimi dei valori altrui che soli permettono una decente convivenza sociale.
Sarebbe, però, ingiusto attribuire soltanto alla religione cattolica l’incapacità di riuscire veramente a convivere con il diverso da sé, nonostante le continue giaculatorie su un amore che non si capisce bene in che cosa debba consistere, dal momento che si rifiuta di ascoltare i bisogni dell’altro e di prenderne realisticamente atto; le altre religioni monoteiste, ebraismo e islamismo, come si è visto nel family day romano, non sono da meno nell’erigere una insormontabile barriera ideologica nei confronti di chi laicamente si limita a discutere di diritti e doveri in una società moralmente plurale. Non c’è, a questo proposito, sofisma ideologico che non venga tirato in ballo pur di rifiutare agli altri quello che si concede esclusivamente a se stessi. Anche la inesistente teoria del gender (che è semplicemente la constatazione inoppugnabile del carattere in gran parte storico-culturale dell’identità psicologica maschile e femminile, con tutti i relativi pregiudizi) viene agitata come un terribile spauracchio destinato a dissolvere ogni differenza fra maschio e femmina. Da laicisti convinti quali siamo, pensiamo che anche ai bigotti delle varie religioni del libro debba essere riconosciuto il diritto di entrare liberamente nel pubblico dibattito sulla formazione delle leggi; ma, al tempo stesso, vogliamo ricordare ai nostri tentennanti legislatori e governanti che la costituzione della repubblica riconosce alle minoranze e ai singoli individui una libertà ancora più importante, quella di vivere pubblicamente secondo i valori della propria coscienza.
” e quindi tale da dover essere imposta con la forza della legge civile.Ogni tentativo di ricondurre i nuovi crociati dell’omofobia alla ragionevolezza appare del tutto inutile; non serve a niente spiegare che la proposta di legge sulle unioni civili all’esame del Parlamento (una legge prudente, che non sancisce alcun matrimonio omosessuale, come pure è avvenuto in paesi non meno cristiani e cattolici del nostro) si limita a prendere atto che ci sono innumerevoli situazioni di convivenza fra persone dello stesso che hanno bisogno di un riconoscimento giuridico per evitare (ad esempio in materia testamentaria e altre ancora) differenze inaccettabili, in qualunque stato di diritto, fra cittadini che dovrebbero godere delle medesime garanzie; e neppure serve a niente spiegare che il riconoscimento pubblico di queste diverse forme di convivenza nulla toglie ai diritti della famiglia tradizionale e che, addirittura, significa un rafforzamento dell’istituto familiare e della stabilità sociale. Non c’è nei nuovi crociati nessuna volontà di dialogare su un piano di parità e di reciproca comprensione, pur nella diversità delle differenti concezioni morali. Dopo tanto parlare, anche da parte dell’autorità papale, di laicità e di rispetto delle differenze, siamo alle solite: si negano, in nome del proprio intransigente assolutismo morale, anche quei riconoscimenti minimi dei valori altrui che soli permettono una decente convivenza sociale. Sarebbe, però, ingiusto attribuire soltanto alla religione cattolica l’incapacità di riuscire veramente a convivere con il diverso da sé, nonostante le continue giaculatorie su un amore che non si capisce bene in che cosa debba consistere, dal momento che si rifiuta di ascoltare i bisogni dell’altro e di prenderne realisticamente atto; le altre religioni monoteiste, ebraismo e islamismo, come si è visto nel family day romano, non sono da meno nell’erigere una insormontabile barriera ideologica nei confronti di chi laicamente si limita a discutere di diritti e doveri in una società moralmente plurale. Non c’è, a questo proposito, sofisma ideologico che non venga tirato in ballo pur di rifiutare agli altri quello che si concede esclusivamente a se stessi. Anche la inesistente teoria del gender (che è semplicemente la constatazione inoppugnabile del carattere in gran parte storico-culturale dell’identità psicologica maschile e femminile, con tutti i relativi pregiudizi) viene agitata come un terribile spauracchio destinato a dissolvere ogni differenza fra maschio e femmina. Da laicisti convinti quali siamo, pensiamo che anche ai bigotti delle varie religioni del libro debba essere riconosciuto il diritto di entrare liberamente nel pubblico dibattito sulla formazione delle leggi; ma, al tempo stesso, vogliamo ricordare ai nostri tentennanti legislatori e governanti che la costituzione della repubblica riconosce alle minoranze e ai singoli individui una libertà ancora più importante, quella di vivere pubblicamente secondo i valori della propria coscienza.
{ Pubblicato il: 24.06.2015 }
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