di Alain Goussot*
Si sente dire oggi che i docenti devono accettare di farsi giudicare, espressione infelice che denota la scarsa conoscenza e preparazione di chi governa in materia di valutazione e autovalutazione. Che la valutazione a scuola e altrove (anche la valutazione dell'operato dei politici per esempio, oppure di chi governa...) sia materia delicata e complessa lo sappiamo da sempre, che spesso non piace essere valutato è anche altrettanto vero. Questo nonostante che esiste una "scienza", la docimologia, che s'insegna all'Università e che riguarda, appunto la valutazione. La questione tuttavia non è la valutazione in sé e per sé ma come si valuta, con quali strumenti e quali finalità.
È anche curioso che la parola valutazione abbia assunta un significato negativo quando etimologicamente vuol dire valore, valorizzare. Se tornassimo ai fondamenti del sapere pedagogico, ma è chiedere forse troppo a chi si occupa di riforma della scuola,si potrebbe dire con Célestin Freinet che la valutazione deve essere concepita come parte integrante di qualsiasi processo formativo, anzi che deve essere concepita come apprendimento e in quanto capacità autovalutativa avere un carattere altamente preparatorio dal punto di vista della consapevolezza e dell'autoconsapevolezza rispetto al processo d'insegnamento/apprendimento come processo vivo, complesso e situato.
Si potrebbe anche dire che la valutazione deve essere un processo migliorativo e non punitivo, quindi come affermava don Lorenzo Milani che non bisogna bocciare ma accompagnare la persona nel suo processo di crescita consapevole. Per essere poi ancora più precisi si potrebbe dire che la valutazione non ha nulla a che fare con il giudizio di un tribunale. Ma come valutare, con quali criteri, con quali strumenti e cosa valutare?
Certo gli insegnanti , come gli studenti (e chi ha qualsiasi posto di responsabilità pubblica), deve sapere che il suo agire pedagogico e didattico è un processo valutabile, ma che nella valutazione l'insegnante stesso deve essere soggetto attore e autore della riflessione sul suo modo d'insegnare, e quindi soggetto riflessivo rispetto al come favorire o meno gli apprendimenti dei propri alunni. L'insegnante deve imparare a pensare la propria pratica pedagogica.
Invece di volere creare delle contrapposizioni inutili, e dare il sospetto di un atteggiamento punitivo, il ministero dovrebbe seriamente interrogarsi sul come attivare un processo individuale e collettivo di valutazione e autovalutazione pedagogica dell'insegnamento. Non è certo confondendo i ruoli (con tutti problemi che vi sono oggi, per esempio nelle relazioni tra genitori e famiglie) e trasformando il genitore in operatore valutatore della didattica che si possa effettivamente costruire un serio dispositivo di valutazione e autovalutazione dell'insegnamento: eppure la pedagogia ha prodotto dei sapere e delle esperienze interessanti in questo senso negli ultimi anni con i lavori di Antoine de La Garanderie sull'introspezione pedagogica e quelli di Jean Houssaye sulla gestione del triangolo pedagogico nonché quelli di J-P.Pourtois e Bruno Humbeeck sulla co-educazione. Ci rendiamo conto che è forse chiedere troppo da parte dei funzionari del ministero di essere informati, occorrerebbe anche studiare questa materia pedagogica (e la parola pedagogia è praticamente assente dai documenti ministeriali), ma su una questione così seria e delicata quale è la valutazione degli apprendimenti e dell'insegnamento in particolare occorre più ascolto, attenzione, conoscenza pedagogica e prudenza.
Per questa ragione diciamo che gli insegnanti devono essere valutati ma che devono anche essere i soggetti del processo valutativo che va concepito come processo di crescita e coscienza collettiva del sistema scuola rispetto alla qualità pedagogica della pratica didattica. La scuola non ha bisogno di altre lacerazioni e incomprensioni ma di valorizzazione e preparazione per rispondere alle sfide del futuro che riguardano la democrazia pedagogica.
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mercoledì 27 maggio 2015
i docenti devono farsi giudicare
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