Un caso da studiare nelle scuole di giornalismo: la notizia del trasferimento di una sessantina di migranti nel quartiere di San Lorenzo, a Roma, rimbalzata in questi giorni su alcuni quotidiani e siti, mostra quello che sono oggi i "grandi" media, tra allarmismo, false notizie, semplificazioni strumentali, progetti speculativi sul quartiere e l'immancabile equazione migranti, movida e spaccio. Capita però che il luogo sul quale buttare veleno, in una città sempre più piena di ferite, sia abituato a riconoscere i linguaggi del profitto e del del neorazzismo: la ricostruzione di quanto accaduto, che qui proponiamo, fatta dalla rete Libera Repubblica di San Lorenzo dimostra che non sempre vince chi butta benzina sul fuoco e che la storica apertura popolare di questo pezzo di città, la sua spinta a essere luogo di incontro tra estrazioni e "culture" differenti, è viva e fonte di accoglienza, ribellione e speranza
.
di Libera Repubblica di San Lorenzo
A partire da sabato 23 maggio si sono rincorse diverse notizie, quasi tutte contraddittorie e inattendibili, circa il trasferimento di una sessantina di migranti nel quartiere di San Lorenzo.
Abbiamo faticato a prendere parola immediatamente perché abbiamo dovuto cercare la verità, controllare ogni notizia. Ci sarebbe molto da dire sul ruolo che in questa vicenda hanno giocato alcuni soggetti dell’informazione, e in particolare il quotidiano il Messaggero, costruendo una campagna mirata a creare allarmismo, a scatenare paura e rabbia, anche attraverso notizie false esemplificazioni pericolose e strumentali. A quanto abbiamo potuto appurare, la realtà è decisamente diversa da come è stata raccontata. Diversa e complessa.
Iniziamo quindi a fare chiarezza. A San Lorenzo sarebbero dovute arrivare famiglie di sbaraccati in emergenza abitativa (circa sessanta persone in tutto). Si tratta principalmente di rifugiati politici eritrei e di lavoratori provenienti dall’Ucraina. Queste persone hanno vissuto per anni in abitazioni di fortuna nei pressi di Ponte Mammolo, in una piccola borgata come tante ce n’erano ai tempi di Mamma Roma. Malgrado le difficili condizioni, avevano costruito delle abitazioni precarie ma evidentemente preferite ai centri di accoglienza che il Comune di Roma appalta a mafiosi e speculatori, e si erano integrate nel quartiere, diventato a tutti gli effetti la loro casa.
Per prima cosa, vogliamo denunciare l’operato del Comune di Roma che non ha organizzato alcun tipo di intervento sociale preventivo, mandando avanti le ruspe. Per questo motivo, decine di persone sono state costrette a dormire in strada per settimane, a volte con bambini molto piccoli, sotto la pioggia, senza alcun tipo di aiuto da parte delle istituzioni. Solo i cittadini e le cittadine di Ponte Mammolo, i centri sociali, le associazioni di volontariato e le organizzazioni cattoliche si sono attivati per fronteggiare quest’emergenza umanitaria prodotta dalle istituzioni stesse. A causa di un simile operato e della perenne gestione emergenziale dei fenomeni migratori e di quelli legati alla povertà, la ricollocazione di poche decine di persone ha assunto le dimensioni di un problema (leggi L’odissea dei migranti di Ponte Mammoloma anche Un gesto brutale che lascia dolore e rabbia ndr).
In secondo luogo, ci preme denunciare l’operazione mistificatoria portata avanti dal presidente del secondo municipio Giuseppe Gerace, il quale non ha mai avuto grande interesse per l’opinione e l’operato delle associazioni e delle esperienze di partecipazione attive sul territorio che governa, ma che proprio stavolta ha utilizzato come scudo per venir meno ai propri doveri. Nessuna associazione, a quanto ci risulta, è stata preventivamente consultata dal presidente Gerace sulla questione accoglienza. La responsabilità di aver chiuso le porte del municipio è soltanto sua.
É oltretutto molto grave che una figura istituzionale si permetta di fareequazioni tra immigrati, movida e spaccio, dimostrando di voler far leva sui pregiudizi, invece di fare chiarezza sulla realtà di Ponte Mammolo e su chi ci viveva. Il problema di Gerace, in realtà, è un altro: rispondere all’emergenza abitativa di queste persone rischia di essere in contraddizione con i progetti speculativi sul quartiere e con il progetto urbano San Lorenzo, che di sociale non ha traccia. Del resto, abbiamo segnalato più volte l’esistenza di spazi vuoti nel nostro quartiere, così come di gente e progetti senza casa.
Crediamo che l’accoglienza di migranti e rifugiati, così come le politiche sociali che riguardano i poveri di qualsiasi nazionalità, vadano pianificate in modo strutturato, evitando di trasformare le problematiche sociali in questioni di ordine pubblico e di fomentare, attraverso l’incapacità di amministrare di alcuni e la malafede razzista di altri, una guerra tra poveri. Crediamo che queste tematiche debbano essere sempre e comunque prioritarie rispetto alla protezione degli interessi speculativi sui territori.
PENSIAMO ANCHE CHE SIA GIUNTO IL MOMENTO DI ROMPERE IL MURO DI PAURA CHE SI STA COSTRUENDO INTORNO ALL’ACCOGLIENZA DEI RIFUGIATI. SAN LORENZO HA CONOSCIUTO A FONDO LA TRAGEDIA DELLA GUERRA. I PALAZZI BOMBARDATI SONO FERITE CHE NON SI POSSONO CANCELLARE E SU CUI L’IDENTITÀ DI QUESTO QUARTIERE SI È FORMATA: L’IDENTITÀ DI UN QUARTIERE RESISTENTE E SOLIDALE, CHE HA SOFFERTO LA GUERRA E LA FAME E CHE PER QUESTO NON HA PAURA DI CHI DALLA GUERRA E DALLA FAME FUGGE.
La composizione sociale di San Lorenzo si è modificata negli anni, mischiando le radici operaie e popolari con un nuovo tessuto giovanile di studenti e precari. Sulla tradizione ribelle e solidale del quartiere si sono giocati meccanismi di speculazione edilizia e commerciale, producendo spesso tensioni tra la vita diurna e quella notturna. Nonostante le tante contraddizioni e difficoltà, nonostante il sistematico disinvestimento degli enti locali, San Lorenzo ha saputo rinnovare l’antica apertura popolare, la spinta a essere luogo di incontro tra estrazioni e culture differenti, nel segno del rispetto e della solidarietà. Questo è il patrimonio più grande che abbiamo e a cui lavoriamo quotidianamente.
Vogliamo quindi affermare che il trasferimento nel quartiere di alcune famiglie in emergenza abitativa, al di là della loro provenienza geografica, non ci fa paura. Ben conoscendo le lacune degli interventi istituzionali, vogliamo far presente che come tessuto attivo e vivo del quartiere, come esperienze di mutualismo, autogestione, associazionismo e volontariato religioso e laico, siamo da tempo operativi sul terreno dell’accoglienza e dell’integrazione e intendiamo rafforzare questo lavoro costruendo una rete dell’accoglienza dal basso. Vogliamo creare un ponte tra i vecchi e i nuovi residenti del quartiere, senza alcuna posizione ideologica, ma provando a discutere insieme di possibili problemi e di soluzioni efficaci.
Di una cosa siamo consapevoli: solo dal basso è possibile costruire le condizioni per una reciproca conoscenza e per un reciproco rispetto. Tutti insieme possiamo riuscirci. Tutti insieme ci riusciremo. A San Lorenzo nessuno è straniero!
|
giovedì 28 maggio 2015
Roma-S.Lorenzo nessuno si sente straniero
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento