La bellezza della contaminazione. Italiani, migranti, per commemorare Florian Mesuti
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Via Crisanzio, a Bari, è una di quelle strade che sembra il destino di tante persone, la cui vita è segnata da momenti alterni, da aspettative, da sogni e delusioni, da momenti di degrado alternati a momenti di bellezza. Inizia nei pressi dell'Università di Giurisprudenza, si affianca ad una piazza, rinata da poco e popolata da giovani che si ritrovano per le lezioni o per il passeggio. Poi si snoda, abbandona il quartiere centrale sino a giungere nel cuore del Libertà, periferia centrale della città. Prima di chiudere il suo percorso nei pressi della Chiesa del Redentore ed aprirsi nuovamente a piazza, la via ha diversi isolati degradati, sembra decadere, si abbruttisce di colpo, in un punto c'è così tanta spazzatura che, nonostante le pulizie, sembra essere lì da sempre.
In uno di questi isolati, il 29 agosto 2014, è finita la vita di Florian Mesuti, immigrato albanese di 24 anni, vittima innocente. Florian è stato ucciso perché è intervenuto per dividere due ragazzi che stavano litigando. Uno di questi sarebbe stato schiaffeggiato da Florian, episodio che probabilmente ne avrebbe sancito la condanna a morte, assassinato per l'affronto ad un ragazzo dalle parentele importanti e pericolose. Il processo si aprirà a giorni e, ovviamente, sarà la giustizia a fare il suo corso e a stabilire i colpevoli. Quel che è certo è che Florian è stato inseguito, braccato, crivellato di colpi di pistola. Florian lavorava per 5 euro all'ora, si dava da fare come poteva per sopravvivere in una periferia, a due passi dal centro, dove in mezzo a tanta brava gente c'è chi si arricchisce con la droga, l'usura, le estorsioni.
Qualche giorno fa, nei pressi di una grata di ferro che andrebbe protetta per evitare, come accade che, inconsapevoli o meno, accompagnatori di cani lascino che i bravi animali facciano i loro servizi nel luogo del martirio, siamo andati a onorare Florian.
Qualche giorno fa, nei pressi di una grata di ferro che andrebbe protetta per evitare, come accade che, inconsapevoli o meno, accompagnatori di cani lascino che i bravi animali facciano i loro servizi nel luogo del martirio, siamo andati a onorare Florian.
Sua madre, che nemmeno parla italiano, ha intonato un canto che è scivolato nella brezza della sera, provocandoci brividi che non si potevano confondere con il vento di un maggio sbagliato e, in quanto tale, freddo. La nenia è salita prima lentamente, poi è divenuta un canto funebre e poi ancora più su. Nessuno di noi, quei 30, forse 40, che eravamo davanti a luogo in cui è stato assassinato con 5 colpi di pistola, Florian Mesuti, immigrato, albanese, che "non si è fatto i fatti suoi", capiva le parole. Io ho colto solo "Flori" e "mami" ma non c'era bisogno di altro. La sua mamma cercava di coinvolgerci nel canto ma nessuno, fra dolore e ignoranza della lingua, ne ha avuto il coraggio.
Eravamo 40 italiani solidali, ma incapaci di arrivare sino in fondo, alla contaminazione tale che avrebbe dovuto trasformarci tutti, per una sera, in migranti albanesi, cittadini esemplari. Se ci fosse stato Salvini, gli sarebbe venuto un colpo. L'esempio è un albanese povero e migrante, che tanti bravi italiani hanno fatto lavorare "in nero", senza mai fargli un contratto, il "mostro" (cito un articolo su Repubblica di Giuliano Foschini), sicuramente italiano, come tanti altri che la sera dell'omicidio, "nessuno ha visto, nessuno ha sentito", anzi no, qualcuno ha parlato, ma era albanese, come Florian. Perché la paura, se conosci il pericolo, è davvero tanta e diventa omertà.
A volte bisogna essere migranti per vedere qualcosa che noi non siamo capaci di vedere, bisogna essere migranti per sentire quello che noi non siamo capaci di sentire, come quella litania che diceva "Flori...mami", come il soffio dello sparo di una pistola. Sua sorella raccontò al giornalista: "Vorremmo seppellirlo in una certa maniera. Perché almeno in morte deve essere come non ha potuto vivere". Che un cimitero d'Albania ti sia lieve, Florian. Meritavi ben altra bellezza.
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