In autunno serve un nuovo soggetto politico che esprima una rappresentanza legittima e democratica degli interessi di parte. La nostra è la parte di quelli che stanno peggio. Massimiliano Smeriglio parla chiaro, di tutto e a ruota libera alla festa di Sel della Garbatella: vogliamo una sinistra che torni a una dimensione terrena, dove la crisi è feroce. Dobbiamo dare risposte e offrire soluzioni, non dire alla gente che sta male. Quello la gente lo sa. E dobbiamo organizzare le passioni dentro una narrazione generale, una lettura del mondo. L’Europa era un sogno ma oggi è una catastrofe, per i migranti e per gli Europei. In Italia Renzi ha fatto il deserto nei territori e ora manda la capitale al macero sotto gli occhi del mondo intero. Ne fa un capro espiatorio per puro calcolo politico. Io non lo so più cos'è il Pd. Anche se al chirurgo preferisco il medico olistico, che ha un’idea complessiva della città, trovo ignobile che la giunta di Roma debba cadere per mano del primo ministro con la scusa di Mafia capitale
di Marco Calabria
A guardarla molto dall’alto, per esempio dal piccolo e irrilevante asteroide di Comune-info, da qualche tempo la sinistra politica europea della sponda nord del Mediterraneo appare in movimento. L’immagine è abbastanza nitida, molto contrastata, però non è lineare. Il movimento s’interrompe per riprendere dopo un breve salto e sembra disegnare qualcosa di simile alla mossa del cavallo nel gioco degli scacchi. In primo piano c’è la tenace e composita Syriza, che soffre e resiste alla guida di un paese stritolato da un’estorsione criminale, assediato dai mercanti e ricattato da istituzioni ipocrite e abiette. Il ritratto di quel che chiamiamo sinistra, in Grecia, andrebbe peraltro ben oltre Syriza. In Spagna, c’è la grande cavalcata di Podemos ma c’è soprattutto l’entusiasmo municipale diMadrid e Barcellona, che solo Podemos non è, ha il respiro lungo e non pare stanco di re-inventarsi. In autunno, forse, ci si accorgerà anche del Portogallo, magari con qualche sorpresa da parte della psicologa Joana Amaral Freitas. C’è infine la Francia socialista, si fa per dire, di François Hollande. Toccato il fondo dell’impopolarità, monsieur le président ha accesso il turbo della fanfara nazionale antiterrorista fino a recuperare ben 21 punti di gradimento (un record) nei sondaggi. Le coalizioni alla sua sinistra hanno spazi ampi e valgono almeno il 10 per cento dei voti. La sola casella della scacchiera euro-mediterranea che resta vuota, quella saltata dalla mossa del cavallo, è dunque quella italiana.
Senza gli Indignados
La situazione è grave ma forse, come annotava Flaiano, non è neppure troppo seria. E non solo perché si tende a parlare troppo e a fare pochissimo, a costruire modesti eventi tenuti in piedi spesso solo dalla strumentale regìa dei media (governativi). Il senso della misura vorrebbe un tenue stormir di foglie per accompagnare le molto meditate e molto annunciate mosse di Landini, Cofferati, Civati e Fassina. Tutte persone per bene, per carità. Eppure i maligni dicono che se non ci fossero, Renzi avrebbe dovuto inventarli. L’esigua serietà della situazione si deve piuttosto al fatto che il sentiero aperto nel secolo scorso dal suicidio del Partito Comunista è ancora lastricato di polvere e povere “Cose”. Resta tuttavia disadorno di idee. Non si tratta di processi facili, sia chiaro. Un conto è incendiare la prateria con una lotta di resistenza, pur epocale, a difesa dell’acqua, un altro è attraversare un riarso deserto politico senza aver avuto gli indignados alle spalle. Eppure, per storia, cultura e condizione sociale, il divario tra la sinistra italiana e le altre sembra eccessivo.
Alla Garbatella
Mentre l’Europa politica spinge nel baratro greco milioni di persone e lascia annegare le speranze e i corpi di chi arriva dall’Africa e dal Medioriente, per capire qualcosa in più di quel che a sinistra potrebbe muoversi qui, siamo andati alla Garbatella. Sì, alla Garbatella, dove una cultura popolare costruita da decenni intorno ai lotti del più bello dei quartieri romani ha radici robuste e non vive di ricordi. Un ottimo punto d’osservazione, dice chi se ne intende. Sebbene, o forse proprio perché, lì è “ancora pieno di comunisti”, come sostiene Salvini. E poi alla festa di Sinistra Ecologia e Libertà, intitolata con qualche ambizione “A sinistra possiamo” (senza punti interrogativi, che nei titoli non ci stanno un granché), parla Massimiliano Smeriglio. Nato e cresciuto politicamente nel quartiere fino a diventare vicepresidente della Regione Lazio, essenziale punto di riferimento romano (e non) per Sel, Smeriglio non è esattamente un cultore delle raffinate arti dell’ermetismo e della diplomazia. Se ha delle cose da dire, soprattutto alla sua gente, le dice. Pane al pane. Per quanto lo consenta, oggi, l’assurdità politica di una capitale dilaniata dalle mafie e paralizzata dalle inchieste e dai commissariamenti. Lo conosciamo da parecchio, Smeriglio. Ci basta poco per capire che quello dell’ultimo sabato di giugno sarà un pomeriggio segnato da pochissimo fumo e da diverse portate di arrosto.
Le leadership collettive
Il merito della concretezza della discussione va anche a Claudio Marotta, giovane assessore alla cultura, che racconta l’esperienza del governo (con il Pd) nel municipio locale invitando ancora una volta tutti a superare i propri recinti. E a Paola Natalicchio, giornalista e coraggiosa prima cittadina di Molfetta. Paola è molto amica di Vendola, molto vicina a Civati e molto legata alla concretezza delle cose. Ci sorprende parecchio, quando sostiene, convinta, che a sinistra c’è “un vuoto di leadership e non di progetto”. Questione di punti di vista, forse, della prospettiva da cui si guarda ogni giorno la realtà. La sua non è certo la nostra, tutto qui. Daniela Preziosi, notista politica del manifesto, chiamata a coordinare la discussione, prova a far notare che nella storia del mondo sono esistite anche rilevanti leadership collettive. L’impressione (speriamo di sbagliarci) è che, di questi tempi, perfino alla Garbatella un’affermazione del genere possa sembrare “ideologica”: roba cult, da guardie rosse della rivoluzione culturale cinese.
Il partito biodegradabile
Quando viene il suo turno, Massimiliano Smeriglio sembra tutt’altro che rilassato, nonostante il week-end lungo appena cominciato e malgrado la platea sia quella di casa, con molti dei compagni di sempre. In fondo fa molto caldo, ci siamo detti guardando il sole che picchiava duro sul palco, ma il relax non è esattamente lo stato d’animo che le cronache romane richiedono. Nel commentare l’impeto con il quale diversi esponenti di rilievo del partito si affrettano a dirsi “generosamente” pronti a sciogliere Sel, Smeriglio chiarisce che l’esito di questa fase non è in discussione: “Noi siamo nati come partito biodegradabile, quello che si metteva a disposizione per una ricostruzione” più ampia. Resta da vedere, però, come sciogliersi e per ricostruire cosa. Mica quisquilie. Questa volta, spiega, non serve l’atteggiamento ecumenico, quello in cui Sel eccelle e che tanto ha caratterizzato il suo passato. C’è bisogno invece di “un carico di soggettività”, altrimenti tanta generosità potrebbe perfino diventare una colpa. Non è il tempo dell’estasi, insomma, ma quello della “ferocia militante”, necessaria a “dire che possiamo, ad aprire una battaglia di idee”. Ferocia militante, altro che relax. E battaglia di idee. Ma quali idee? C’è da difendere, spiega, non un generico orgoglio di partito “che giustamente non c’è mai stato ma il progetto politico e culturale di Sel: dall’alternativa di governo alla centralità dei processi democratici, alle primarie come mezzo per decidere una leadership”. Questione spinosa, quella della leadership. Smeriglio si preoccupa di porla senza reticenze ma in un contesto nobile della politica, sottraendola al gossip e alle volgarità: “Non è né il solo né il principale dei problemi, ma non è neanche vero che non sia un problema”. La crisi della rappresentanza che ha investito anche la sinistra, precisa, va ben oltre la questione della leadership.
Mimì metallurgico e l'evoluzione dei Cinque Stelle
Anche il tema di un equilibrio tra complessità e semplificazione, nella costruzione di un nuovo soggetto politico, torna puntuale. Sel si sta muovendo nel senso auspicato? Smeriglio sembra quasi voler trattenere forse anche un po’ d’irritazione: “Dentro Sel c’è chi tifa per Mimì metallurgico nella funzione di lotta (Landini), chi lo preferisce in quella di governo (Fassina), e c’è chi tifa per il Dolce Stil Novo (Civati). Non possiamo permetterci di diventare lo spettatore di una partita incredibile”. A maggior ragione, aggiunge, se teniamo presente che, malgrado la scarsa visibilità, nei sondaggi Sel raccoglie un sorprendente 4 per cento dei voti. La critica è schietta ma leale: Civati, Fassina e la Coalizione Sociale fanno benissimo a mettersi in moto e a cercare il loro popolo. Lui però, Smeriglio, a prendere i pasticcini con Civati non c’è andato e non ci andrà. Il quadro politico è cambiato tutto e molto in fretta, non c’è tempo per amichevoli conversazioni pacate. Occorre far presto a “capire come traghettare le esperienze in corso dentro un nuovo scenario”. E non c’è spazio nemmeno per i settarismi, che hanno provocato tanti danni in passato. Tanto che Smeriglio vede un’evoluzione interessante anche nei Cinque Stelle: “Sì, aumenta il razzismo ma non è un movimento fermo. Rischia di occupare tutto lo spazio alla sinistra del Pd. Quello è un problema nostro”. Anche per questo non c’è tempo: “Un soggetto, una soggettività, un campo a sinistra” devono nascere entro l’autunno. Il punto è che dovrebbe essere “un processo vero, al quale i supposti leader non devono fare da tappo: tutti elettori, tutti eleggibili in un percorso democratico”. Non con chi ha una tessera, con chi ci sta.
La sinistra di cosa?
“Bisogna lanciare una sfida per l’egemonia”. Addirittura? Sarà perché ha sviluppato una certa passione letteraria, ma Smeriglio non mostra alcuna esitazione nell’utilizzo di certe parole. Nemmeno per quelle più impegnative della cultura di sinistra: “Questa sinistra cos’è? È la sinistra del lavoro, del reddito, dell’ambiente, della partecipazione? Vede quel che accade oltre le frontiere nazionali, oppure no? Si accorge che la partita per la democrazia in questi giorni non si gioca qui ma in Grecia?”. Le domande si fanno pressanti, come a indicare nuovamente che non è tempo di vaghezze e astrazioni, c’è bisogno di sostanza. La sostanza, un classico delle argomentazioni del vicepresidente del Lazio, fin da quando dava vita a rilevanti esperienze di partecipazione e di governo del territorio proprio qui, alla Garbatella. La sostanza e le risposte: quello del dovere etico diuna politica capace di fornire risposte è un argomento centrale nella cultura di Smeriglio: “O la politica costruisce delle risposte contro le grandi oligarchie che oggi governano l’Europa e il mondo, oppure lo spazio si fa strettissimo e vincono i razzismi, i populismi. L’Europa era un sogno ma oggi è una catastrofe per i migranti e per gli Europei”. Un giudizio finalmente severo, per una realtà continentale che è da tempo sotto gli occhi molto annebbiati di tutti. Forse perfino uno stimolo per tornare a guardare altrove, chissà. Intanto, Smeriglio non perde occasione per ricordare che le persone chiedono soluzioni: “Non ci chiedono di raccontar loro quanto stanno male. Quello lo fanno i preti, i sociologi e poi le persone lo sanno da sole che stanno male. Non c’è bisogno che glielo diciamo anche noi. Per questo la nostra discussione deve essere ben incardinata nell’alternativa di governo”. Alternativa, specifica, che non vuol dire affatto andare al governo sempre. Vuol dire avere l’ambizione di un progetto, cercare di trovare soluzioni praticabili. Quelle che “non saranno il socialismo ma possono esprimere idee sul reddito, la conversione ecologica, la democrazia integrale, cioè su alcune delle questioni che possono rimettere in moto il nostro campo. Certo, ci vuole un po’ di coraggio in più, ma non è che poi abbiamo tantissimo da perdere…”.
Come va alla Regione?
Quando Daniela Preziosi chiede se la Regione regge, smentendo la previsione di Francesco Storace (la crisi in aprile), Smeriglio si concede finalmente una battuta: “Storace non ha detto di quale anno”. Poi passa subito all’attacco: a pochi mesi dal suo inizio, per il Giubileo non c’è una legge, non ci sono poteri e non ci sono soldi. È una grave responsabilità del governo Renzi, che “mentre sventola il mantra del fare, manda sotto gli occhi del mondo intero la propria capitale al macero. Ne fa un capro espiatorio per puro calcolo politico”. La Regione ovviamente ne soffre. E ne soffre di certo anche Nicola Zingaretti, che per Smeriglio è molto di più di “un altro Pd”. Perché? Perché “è diverso nelle cose che fa tutti i giorni”, non nei dibattiti. Non sarà mica un caso che nel Lazio 300 mila persone hanno votato Cinque Stelle poi hanno scelto lui. Però il Pd-non Zingaretti si fa sentire in modo pesante anche in regione: il commissario Orfini straripa, fa il commissario a tempo pieno, di tutto. E Smeriglio dice: “Io non lo so più cos’è il Pd”. Lo scenario della partita che si gioca, senza esclusione di colpi, sulla capitale vede in campo Renzi, Marino ma, rileva ancora Smeriglio, non dovremmo dimenticare Mafia Capitale: “Per prima cosa bisogna ricordare che l’ex sindaco Alemanno e un altro esponente politico sono indagati per mafia. Una roba piuttosto impegnativa, la destra dovrebbe tacere. Anche se noi dobbiamo essere garantisti sempre”. Quel che risulta chiaro dalle intercettazioni, dice, è che ci sono dei reati, poi il processo chiarirà se li ha commessi un’associazione o meno. Che alcuni consiglieri si siano stupiti del fatto che fossero reati, poi, è qualcosa che la dice lunga sulla loro percezione, sul principio di realtà. Per valutare la portata politica della vicenda di Roma, tuttavia, secondo Smeriglio va allargato lo sguardo: 27 consiglieri calabresi inquisiti in questi giorni, la Venezia del Mose, l’Expo milanese, la Tav piemontese, altri scandali in diverse regioni. Non è che ci sia solo Roma. Questo mette in chiaro il comportamento del governo: “Non so quanto ne sia cosciente, perché Renzi vive solo deljust in time e guarda i sondaggi. Se ha perso Arezzo, attacca Roma, poi magari muove sulla Kamchatka (Risiko, ndr). Non ha un disegno di prospettiva, dice solo quello serve oggi. Questo produce un vuoto devastante nelle organizzazioni politiche territoriali”. Sembra di essere tornati, attacca ancora Smeriglio, a quando le forze politiche non esistevano e c’erano i notabili locali. Renzi è perfino costretto a fare l’accordo con Emiliano e poi con De Luca, una pagina vergognosa della cronaca politica nazionale, perché c’è il vuoto. Il vuoto è il problema.
Gli interessi di parte
Nella sua degenerazione, così, il modello romano non sarebbe né una parentesi né una cosa vecchia ma un antipasto. Anticiperebbe un vizio presente sempre più spesso nell’organizzazione materiale del partito della nazione. Come uscirne? “Se non rimettiamo le forze politiche sul pianeta terra, anche nella dimensione della rappresentanza legittima e democratica degli interessi di parte (la nostra è la parte di quelli che stanno peggio), non ce la possiamo fare contro una modalità di gestione del potere, quella dell’epoca renziana, in cui c’è un capo che tutto copre e poi il deserto dei tartari nei territori”. In quel deserto, spiega, è evidente che vince il più forte. Chi investe di più si piglia il campo, con o senza primarie. La vera sfida, allora, “non è alzare la bandierina identitaria ma capire come si risponde alla crisi economica, a quella culturale e a quella delle passioni forti, alla crisi della possibilità di un futuro”. Le passioni vanno organizzate per riconnettersi a una dimensione terrena. “Dobbiamo rompere il nostro orticello, quello che potremmo condividere solo con Fassina, Civati, Vendola, e provare a ricostruire materialità, restare per terra dove lo scontro negli anni della crisi è feroce. Però bisogna organizzare questa roba dentro una narrazione generale, dentro un’ideologia – voglio usare in modo provocatorio questa parola antica – dentro una lettura del mondo, insomma. Non dentro la somma delle vertenze, come sembra voler dire Ladini”. Se non si riuscirà a far questo, se si continuerà a inseguire i sondaggi e le ultime mode esterofile, “prima Syriza, poi Podemos e poi i Kurdi…”, per Massimiliano Smeriglio la partita è persa e “rischiamo pure di confonderci un po’”.
Smeriglio con Nessrine Abdallah, comandante delle Ypj, decisive nella vittoria della Resistenza kurda a Kobane contro l'Isis
La Roma del prefetto
Poco prima di concludere e dare spazio al concerto della serata, la discussione della festa torna sul destino della capitale, dove si attende con trepidazione il pronunciamento del prefetto Gabrielli. Ancora una volta, Smeriglio non mostra alcuna propensione per l’attendismo e il gioco di rimessa: “Il prefetto non è estraneo al dibattito, lo ha messo lì il governo. Sta facendo quello che dovrebbe fare un sindaco: va in giro, incontra un sacco di gente, prova a capire, parla con tutti”. Tanto attivismo segnala almeno due possibilità:un prefetto con un ottimo profilo civico o un candidato che prepara la campagna elettorale. Smeriglio si interroga a fondo su questo ma ha un’idea piuttosto precisa sul pronunciamento tanto atteso: “Penso che la sua sarà una relazione dura. Non uno di quei giochi che negli Usa chiamano win-win, quelli in cui vincono tutti. Anzi, potrebbe essere uno di quei giochi in cui tutti, o gran parte dei partecipanti, perdono. È probabile che il prefetto dica che c’è un quadro di compromissione e riconsegni il cerino al governo”. Ma come? Allora perché il governo ha già detto in modo chiarissimo qual è la sua posizione? Gia perché? “Ecco, appunto. Penso che sia abbastanza ignobile che la giunta di Roma debba cadere per mano del primo ministro con la scusa di Mafia capitale. Se il governo di Roma deve proprio cadere dovrebbe essere perché l’infiltrazione mafiosa è arrivata ovunque, perché non c’è più l’agibilità di campo. Utilizzare la giunta capitolina e Mafia capitale per i giochini interni al Partito Democratico mi pare ignobile”. Difficile essere più chiari, no?
Il chirurgo e il medico olistico
Qualcuno si chiede: ma allora Sel come deve comportarsi? “Noi non possiamo che stare addosso a Marino per la cura della città, per i parchi di periferia, le buche… Insomma le piccole opere di una grande politica. Dobbiamo avere, però, una nostra idea di città,perché io al chirurgo preferisco il medico olistico, quello che ha un’idea complessiva del corpo della città e non interviene fissandosi su un solo punto. Roma è una città complessa, enorme, con quattro milioni di abitanti”. E se invece i magistrati, il prefetto, il governo diranno che la giunta deve cadere per Mafia capitale? “Ce ne faremo una ragione. Certo, sarà un punto di non ritorno. Non è che il giorno dopo ci rimettiamo a discutere col Partito Democratico su come si fanno le primarie e come si costruisce la coalizione. Non c’è alcun piano B”. E perché, allora, Sel non ha rotto gli indugi prima? “Abbiamo già il problema di una difficoltà di empatia del sindaco con la città ma il favore di far cadere Marino non lo faremo né alla mafia né a Renzi. È stato buffo quando a un certo punto, improvvisamente, tutti hanno cominciato a guardare alla piccola Sel, perché tenesse in mano il cerino nel momento decisivo assumendosi responsabilità enormi, che non sono certo sue”. Un po’ come dire che Sel fa la festa (magari anche per sciogliersi) ma non se la fa fare.
Zibechi asteroide http://comune-info.net/2014/01/arriba/
Salvini Garbatellahttp://www.leggo.it/NEWS/ROMA/salvini_garbatella/notizie/1273353.shtml
|
giovedì 2 luglio 2015
un nuovo soggetto politico? Ma laico,federato,europeista,civico ed ecologista non la solita minestra riscaldata
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento