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Franco Fondriest e Luca Lombroso
Esperti di politiche ambientali
Alluvioni, dalla non manutenzione alla deforestazione: i conti della serva dei danni
Proprio alla vigilia della People Climate March a New York e del Climate Summit 2014 alle Nazioni Unite, a cui parteciperà anche Matteo Renzi, un’altra disastrosa alluvione ha colpito l’Emilia. Gli eventi meteoclimatici estremi dovuti anche ai cambiamenti climatici insomma non attendono le decisioni di New York o la greeneconomy.
Ma non attendono nemmeno le opere di manutenzione, promesse e solo in parte e in ritardo iniziate dopo l’alluvione nel Modenese.
Le immagini dell’alluvione del Santerno sono eloquenti: montagne di legname e detriti portate a valle fanno da sbarramento sui ponti. I fiumi, dopo averli lasciati in abbandono per troppo tempo, sono diventati quasi una foresta amazzonica e se questo è bello da un lato, crea problemi dall’altro.
D’altronde, nemmeno radere a zero la vegetazione è la soluzione; lo scorso luglio durante una modesta piena fuori stagione del fiume Secchia, ha destato preoccupazione un franamento della sponda del fiume, guarda caso dove la vegetazione era stata rasa a zero. Attorno al torrente Tiepido, nel Modenese, si sono tagliati selvaggiamente anche alberi ultradecennali (tutti ammalati?), non solo nel fiume ma anche attorno alla ciclabile, perfino a quella che porta a Vignola che con il Tiepido non c’entra nulla.
Tornando al fiume Secchia, da mesi una vera montagna di legname giace, accatastata dopo alcuni lavori, in area golenale; meglio non pensare a cosa sarebbe successo se il violento nubifragio della Romagna si fosse sfogato un po’ più a ovest, nel bacino del fiume Secchia. Cosa si aspetta a intervenire? Una volta di più, ricordiamo che 1 euro investito in prevenzione ne fa risparmiare 7 in ricostruzione e danni. Proviamo dunque a fare qualche “conto della serva”.
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Per l’alluvione di Modena del gennaio 2014 si parla di circa 400 milioni di danni; circa quanto il costo dell’inutile Bretella A22. Un recente stanziamento per il “nevone del febbraio 2012″, di 3 milioni, corrisponde a poco più del costo dei 15 dirigenti della Regione Emilia Romagna. Iltornado del maggio 2013 si stima abbia fattodanni per circa 30 milioni di euro, circa la metà del costo del discutibile progetto del Polo Sant’Agostino a Modena.
Cercando ancora qua e là nel sito dellaProtezione Civile dell’Emilia Romagna, troviamo una lunga sfilza di “eventi eccezionali” con danni o talvolta solo stanziamenti per “interventi urgenti” di svariati milioni di euro (mareggiate, nubifragi, frane…) ed in particolare 26 milioni per maltempo del 2013 e 120 milioni di euro di dannidelle frane dell’inverno 2012/13.
Per non parlare del terremoto: 800 milioni solo per le spese di emergenza (il doppio della Cispadana), ma stime che arrivano a oltre 12 miliardi di danni, un buon pezzo della Tav in Val di Susa.
Tante altre catastrofi dimenticate che gravano sulle nostre tasche. Facciamo due conti, molto approssimativi? Includendo tutti i danni del terremoto, il costo (si noti, solo per catastrofi nella nostra regione) è di 224 a italiano e circa 3000 euro a emiliano romagnolo.
Ma c’è dell’altro: per ognuno di questi eventi, si parla di “evento eccezionale”; effettivamente, il clima si sta estremizzando, ma questo, indubbiamente, si somma alla scarsa cura del territorio. Ricordando che investire un euro in prevenzione ne fa poi risparmiare 7, i danni sopra citati, terremoto incluso, si sarebbero evitati (o quanto meno limitati) investendo circa 2 miliardi di euro, proprio circa quanto i costi di Bretella, cispadana e passante nord.
Del resto porta occupazione e lavoro anche far buona manutenzione, costruire antisismico e in efficienza energetica, investire sul trasporto pubblico anziché su nuove autostrade, incentivare lerinnovabili e penalizzare le trivelle. Appare una volta di più incomprensibile l’ostinazione nelle nuove grandi opere e infrastrutture, sia per il costo, sia perché non riducono, ma al più spostano (e aumentano) il traffico altrove, con il relativo carico di inquinamento e gas serra.
E non si dica che chi è contro queste grandi opere non vuole la crescita e non pensa all’occupazione; semplicemente si propone di spostare gli investimenti da asfalto e cemento ad opere di tutela e riqualificazione del territorio, opere che danno ugualmente lavoro, spesso anche più qualificato e che comunque migliorano la sicurezza e qualità di vita dei cittadini.
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