Incubo a Mosul. La barbarie dell’Isis contro la cultura del popolo iracheno. Miliziani in un museo fanno a pezzi opere d’arte
Sono ancora fresche le memorie dei roghi di Mosul, con cui i miliziani dell’Isis distrussero vagonate di libri, sottratti alla Biblioteca centrale e a una storica libreria cittadina. Un attentato – sul piano fisico e simbolico – contro la storia, la cultura e il libero pensiero del popolo iracheno. Volumi, ma anche santuari, chiese, tombe, palazzi monumentali: offesi o distrutti, come quel tratto delle mura di Ninive, costruite nell’VIII secolo dai Re Assiri, che i fanatici dello Stato Islamico fecero a pezzi, lo scorso gennaio.
Oggi, 26 febbraio, un nuovo blitz dell’orrore. Come documentato da un inquietante video, diffuso in rete in maniera virale, una pattuglia di spietati combattenti è entrata in un museo di Mosul, armata di spranghe e picconi: statue, bassorilievi e manufatti vecchi 3000 anni, sono finiti in pezzi, colpiti dalla furia dei jihadisti. Uno scempio. Fra le opere colpite diverse raffigurazioni di antiche divinità mesopotamiche, simboli della gloriosa storia del popolo assiro-babilonese: agire alla radici della civiltà, per indebolirne l’identità ed il pensiero, si conferma la strategia prediletta dai regimi oscurantisti e totalitari. Da un lato uccidere i corpi, dall’altro anestetizzare le coscienze.
Oggi, 26 febbraio, un nuovo blitz dell’orrore. Come documentato da un inquietante video, diffuso in rete in maniera virale, una pattuglia di spietati combattenti è entrata in un museo di Mosul, armata di spranghe e picconi: statue, bassorilievi e manufatti vecchi 3000 anni, sono finiti in pezzi, colpiti dalla furia dei jihadisti. Uno scempio. Fra le opere colpite diverse raffigurazioni di antiche divinità mesopotamiche, simboli della gloriosa storia del popolo assiro-babilonese: agire alla radici della civiltà, per indebolirne l’identità ed il pensiero, si conferma la strategia prediletta dai regimi oscurantisti e totalitari. Da un lato uccidere i corpi, dall’altro anestetizzare le coscienze.
E c’è, in questa ennesima azione di propaganda – compiuta, documentata e diffusa via Twitter attraverso un account del Califfato – quel compiacimento evidente e silenzioso di chi sa, da perfetto stratega del terrore, quanto e come certe immagini servano a inchiodare il mondo alle sue paure. I fondamentalisti sunniti – teologicamente iconoclasti e dunque contrari alla rappresentazione del divino – continuano dunque nella loro opera di indottrinamento religioso e di sopraffazione politica. In gioco c’è la supremazia sul territorio, il controllo del petrolio ed il trionfo – agli occhi di Oriente ed Occidente – del loro verbo malato.
Il video è girato con lo stesso stile di sempre. Dalla clip con il ragazzino-boia, che tranciava la testa a un prigioniero, a quell’altra che immortalava il pilota giordano arso vivo in una gabbia, l’estetica dell’Isis si definisce, via via, con l’astuzia dei più subdoli manipolatori:scene in slow motion per aumentare il pathos, canti religiosi in lingua araba, scritte che scorrono minacciose, montaggi studiatissimi ed azioni eclatanti, capaci di destabilizzare. Quando il terrore incontra la più stucchevole delle tecniche comunicative, cavalcando l’artificio e raddoppiando lo sdegno. “Il Profeta Maometto ha tirato giù con le sue mani gli idoli quando è andato alla Mecca. Il nostro Profeta ci ha ordinato di distruggere gli idoli e i compagni del Profeta lo hanno fatto quando hanno conquistato dei Paesi. Quando Dio ci ordina di rimuoverli e distruggerli, per noi diventa semplice e non ci interessa che il loro valore sia di milioni di dollari”. Nelle parole di questo miliziano c’è la chiave della loro potenza: l’assenza di paura. Nessun attaccamento alle cose, ai luoghi, ai ricordi, alle persone. Alla propria stessa vita. Avere sconfitto la paura della morte: lo scarto da cui generare, con una furia cieca, gli incubi degli altri.
Helga Marsala
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