Il barile ai minimi apre spazi per investimenti, che è fondamentale saper indirizzare
Petrolio, l’Italia investa i risparmi in rinnovabili e ricerca per l’industria sostenibile
La proposta del Centro universitario Levi Cases al governo: sufficiente il 10% di quanto ipotizzato da Confindustria
[27 febbraio 2015]
Secondo le stime della Corte dei Conti, appena presentate al Parlamento, le prospettive della finanza pubblica per il 2015, grazie a fattori prevalentemente esogeni, potranno beneficiare per la prima volta da anni di alcuni non trascurabili spazi di manovra. Il calo del prezzo del petrolio, il quantitative easing di Mario Draghi, l’euro debole e – notizia di oggi – uno spread Btp-Bund che ha toccato i minimi dal 2010 arrivando a sotto quota 100, si tradurranno in miliardi di euro di risparmi che è urgente pensare a come impiegare – al netto dei lacci ai conti pubblici imposti dall’Europa e accolti da tempo nel nostro Paese.
Tra i vari fattori di risparmio, quello legato alle dinamiche dei prezzi energetici appare tra i più interessanti per le sue ripercussioni ambientali e industriali. Dopo anni in cui il prezzo del greggio, stabilmente poco sopra i 100 dollari al barile, ha creato scompensi e disagi all’economia italiana, il suo crollo rapido e inatteso a valori attorno ai 40-50 dollari ha ridato un improvviso slancio di ottimismo verso la ripresa economica, e anche adesso che il prezzo del greggio ha recuperato circa un 30% dai minimi di dicembre – anche se alla pompa di benzina i risparmi per i consumatori si sono già quasi azzerati – le prospettive rimangono inaspettatamente (anche se moderatamente) rosee.
L’entità del risparmio per il sistema-paese conseguente al calo del prezzo del petrolio risiede, anche per le difficoltà di stima, all’interno di una forchetta decisamente ampia. In uno slancio d’ottimismo Confindustria ha recentemente supposto in 24 miliardi il risparmio dalla bolletta petrolifera, mentre la più cauta Corte dei Conti l’ha valutato in circa la metà (12,6 miliardi nel corso del 2015): anche nel secondo caso, si tratta comunque dell’1% circa di Pil, non poco.
Che fare di questi miliardi? Ancora una volta, senza pensare a lungo termine non riusciremmo a risolvere neanche i problemi che affliggono oggi la nostra economia. Partendo da questa prospettiva il Centro studi di economia e tecnica dell’energia Levi Cases, un centro interdipartimentale (diretto da Alberto Bertucco) a cui aderiscono otto dipartimenti dell’università degli Studi di Padova, ha elaborato e inviato al ministro Stefania Giannini un’informativa su quanto sarebbe possibile fare. Perché coinvolgere il dicastero dell’Istruzione? È presto detto: il Centro Levi Cases «è dell’opinione che – si legge nel documento di cui greenreport è in possesso – il minore onere per l’importazione di energia fossile rappresenti un’occasione unica per rilanciare in Italia un interesse scientifico e tecnologico verso le uniche alternative agli idrocarburi nel lungo periodo, le fonti rinnovabili».
Secondo il parere degli esperti del settore, ricordano dal Centro, il tempo per dirottare i risparmi dettati dal petrolio ai minimi sugli investimenti in ricerca e sviluppo c’è: a dispetto dei recenti rialzi, infatti, la «congiuntura favorevole per tutti i Paesi carenti di riserve fossili come il nostro sembra destinata a durare per qualche anno, come si è verificato per gli altri 5 andamenti di crollo e ripresa del prezzo del barile a partire dalla prima crisi petrolifera del 1973».
Per questi motivi il Centro Levi Cases «ritiene strategica una scelta immediata, da parte del governo del Paese, a sostegno della ricerca applicata riguardo a queste fonti rinnovabili, nella forma di finanziamenti che vanno dimensionati e finalizzati al raggiungimento di obiettivi precisi e concreti entro le scadenze concordate, attivando procedure di salvaguardia ex-ante ed ex-post nell’assegnazione e nella distribuzione dei finanziamenti stessi». Per quanto riguarda le risorse stanziabili, anche solo il 10% dei risparmi previsti da Confindustria basterebbero per «consentire un salto di qualità decisivo alla ricerca applicata per lo sviluppo definitivo delle rinnovabili in Italia».
I progetti di ricerca su cui il Centro suggerisce di puntare sono molti, con risultati conseguibili sia a breve che a medio termine, e spaziano dal fotovoltaico allo sfruttamento delle biomasse fino alla fotosintesi industriale: «La loro convenienza ambientale è fuori discussione – sottolineano dal Centro – ma non peserà in termini economici fino a che non verrà imposta una carbon tax». E finché gli incentivi alla ricerca e alla creazione di un mercato “sostenibile” non avranno raggiunto in pieno i loro obiettivi.
Come sempre, è su questo punto che si gioca gran parte del nostro futuro industriale (e non “solo” ambientale). Non è un caso se la Germania, che investe circa 100 miliardi di euro all’anno in ricerca, quarto Paese al mondo in questa virtuosa classifica dopo Usa, Cina e Giappone, e ha aumentato questa quota (anziché tagliarla, come in Italia) del 15% i propri stanziamenti durante la crisi, registra costantemente performance economiche migliori delle nostre. L’Italia rimane il secondo Paese industriale in Europa, e ha le carte in regola per risalire la china; ma per invertire la tendenza al declino è indispensabile saper fare scelte oculate.
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