di Maria G. Di Rienzo*
Accade a Torino, Italia, a cavallo fra il 2014 e il 2015. Violare per sette mesi una coetanea in un garage, fotografare il tutto con i cellulari, minacciarla di ritorsioni affinché non smetta di “servire” i quindici stupratori coetanei: sono atti che gli altri alunni della scuola media in cui la 13enne studiava definiscono “una cosa normale”. Dicono che lei andava là “liberamente”, che “tutti sapevano” – d’altronde gli stupratori si vantavano della prodezza per l’intero quartiere, che “tutto era ok”.
Al tentativo estenuante della ragazzina di sottrarsi alle richieste dei piccoli farabutti, costoro rispondono alzando il livello di molestie, insulti, violenze e intimidazioni: Se parli divulghiamo le foto, Se non vieni in garage diamo le foto a tua madre. Infine il 20 gennaio scorso, quando il rifiuto della 13enne è chiaro, una sua immagine inequivocabile viene messa nella cassetta delle lettere della sua famiglia e l’intera vicenda salta finalmente fuori agli occhi degli adulti. I quindici sono tutti minorenni, due frequentano la stessa scuola media della loro vittima, solo tre hanno compiuto quattordici anni. Denuncia, indagini in corso. Nel frattempo la ragazzina ha cambiato istituto: i suoi due compagni di scuola no. Ma è logico, spiegano le altre alunne: “Ha dovuto trasferirsi perché è stata violentata”. Sanno già benissimo chi deve pagare per questo, e non sono i violentatori.
La 13enne continua infatti a ricevere le loro minacce e i loro insulti, raccontano le sue amiche, “perché non si doveva sapere del garage”. Alcuni adulti coinvolti sono d’accordo, come la presidente di quartiere: “Non doveva uscire, data la giovanissima età delle persone coinvolte e in considerazione di tutti i passi che il territorio sta cercando di fare. (…) Queste notizie non aiutano. Sono molto dispiaciuta”.
Anche il preside della scuola media in questione, che si dichiara “sconvolto” ha preoccupazioni in merito: “È un fatto gravissimo, che adesso rischia di creare dei pregiudizi verso un quartiere che sta cercando in tutti i modi di uscire dall’isolamento e dal degrado”. E dopo essersi chiesto, come la madre della ragazza, perché mai quest’ultima abbia taciuto per tanto tempo, si chiede pure “Dove abbiamo sbagliato?” E’ comprensibile, ma la domanda più urgente ora sarebbe invece: Dove stiamo ancora sbagliando?
Perché si rimprovera alla vittima il suo silenzio, se si dice pubblicamente che la faccenda “non doveva uscire”? Sono “notizie che non aiutano”, nevvero, rischiano di “creare pregiudizi” su un territorio che sta cercando di progredire. In sintesi, “non si doveva sapere del garage”: proprio quello che sostenevano i quindici violentatori e delle due l’una: o loro sono molto maturi e posati, e non pare, o gli adulti intorno a loro sono dei vigliacchi e degli ipocriti.
Come mai la vergogna e lo stigma sociale stanno ancora sulle spalle della vittima, che ha dovuto trasferirsi perché ha subito violenza? Avrebbero dovuto trasferirsi (o essere buttati fuori di peso) quelli che la violenza l’hanno commessa.
Violare per sette mesi una coetanea, fotografare il tutto con i cellulari, minacciarla di ritorsioni, mettere in atto la minaccia quando il resto non funziona più: tali atti entrano nell’alveo delle cose “possibili” e “normali” a causa della cultura che li ha presentati per tali.Non saltano fuori all’improvviso da scoppi di follia e deliri da febbre alta e logiche aliene, non sono incomprensibili: scrivono meramente nel sangue ciò che troppi/e di noi ascoltiamo, vediamo ed eventualmente ripetiamo ogni giorno in una società che esalta la violenza come l’epitome dell’espressione maschile e l’oggettificazione sessuale come fulcro dell’esistenza femminile. La pressione affinché noi ci si conformi a questi due stereotipi è enorme.
Ma quando ci lamentiamo di questo, quando spieghiamo che non sono “solo parole”, solo giocattoli, solo immagini, solo film, solo pubblicità, solo vestiti, solo bellezza, solo moda, solo libera scelta, solo estetica, solo sano sesso, solo un paio di tette, solo un culo, solo uno scherzo… quando indichiamo come i messaggi ossessivi e coatti del sessismo, della misoginia, dell’oggettificazione sessuale si concretizzino in violenza fisica, quando facciamo notare che le parole diventano proiettili e le identità patriarcali assumono forme che picchiano, stuprano e uccidono… ci si risponde che ce la meniamo con il “politicamente corretto”, che siamo ipersensibili e bacchettone e castratrici e moraliste e invidiose perché nessuno ci vuole. Quando denunciamo la montagna di violenza che investe donne, ragazze e bambine, signori e signore, non stiamo chiedendo salvaguardia per la nostra pruriginosa sensibilità offesa: stiamo cercando di impedire che tale montagna di violenza distrugga delle vite. Altre vite.
Per cui, gli adulti costernati vogliono davvero sapere qual è l’errore fondamentale che ha reso possibile la vicenda del garage e i sette mesi di silenzio? È la loro torpida acquiescenza, che siano uomini o donne, al diktat per cui il corpo di una femmina è un accessorio creato per la soddisfazione maschile. Quando avete valutato una donna politica per la sua scollatura. Quando avete insultato una donna per il suo aspetto fisico. Quando avete usato media e social media per denigrare, disumanizzare e assalire una donna. Quando avete raccontato barzellette sulla violenza sessuale. Quando avete detto troia, puttana, zoccola – e quando avete detto figa, da piombare, gnocca – e quando avete detto frustrata, ce l’hai qualcuno che ti scopa, spero che ti stuprino, se ti stuprano dovresti ringraziare – e quando avete detto suora frigida e fica di legno. Quando vi sta bene se le tette ballano nude in uno show ma vi vengono i brividi se scorgete un pezzo di seno che allatta. Eccetera. Quando avete ridotto una donna a un portapene ambulante e avete accettato che altri lo facessero. Vigliacchi e ipocriti, ripeto. Per voi quella ragazzina non vale niente, non è neppure un essere umano.
E volete vedere un altro esempio dei risultati di questo andazzo? Notizia del 21.2.2015, Palermo. Due giovani (19 e 20 anni) stuprano una minorenne che hanno visto in discoteca. Il giorno dopo, uno dei due violentatori le chiede l’amicizia su Facebook. Che vi dicevo? Quando ti stuprano dovresti SEMPRE ringraziare, ti hanno trovato BELLA, che è l’unico scopo per cui una donna esiste, e ti è sicuramente piaciuto, perché tutte le donne non desiderano altro che essere stuprate dal primo che passa. Attirare l’attenzione degli uomini al fine di farsi utilizzare sessualmente è il loro solo scopo e l’unico motivo per cui si trovano su questo pianeta: a qualsiasi età, ci mancherebbe.
* Giornalista, formatrice e regista teatrale femminista, cura il blog lunanovola, dove è apparso questo articolo (la cui pubblicazione su Comune è autorizzata dall’autrice). |
lunedì 23 febbraio 2015
solo vigliacchi o ipocriti
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