mercoledì 25 febbraio 2015

teatro e carcere una realtà in crescita

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Teatro e carcere: verità e metodo dell'Arte

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Ognuno di noi nel momento stesso in cui viene a contatto quotidianamente con letteratura pittura musica teatro cinema scultura danza, ha a che fare con ciò che definiamo Arte.
Noi che realizziamo progetti "artistici" negli istituti penitenziari, anche.
Ciò ci porta a riflettere prima su che cosa è l'Arte, al fine da poter trasmettere davvero "qualcosa" agli "ospiti" del carcere.
Per definire cosa è l'Arte, naturalmente pensiamo a cosa sia l'Arte, ancora oggi. 
Se guardiamo con occhi attenti, credo che sia chiaro come la gran parte della produzione artistica contemporanea sia il frutto di quella che, da Adorno in poi, si può definire l'industria culturale. 
Industria culturale che richiama l'idea di una produzione destinata all'uso e al consumo di "utenti" culturali. 
Un prodotto artistico borghese, per così dire, già destinato (nella destinazione c'è undestino, quindi una Storia, un indicatore di senso, un pro-getto, un gettare-avanti/oltre, verso una destinazione appunto), a consumatori "culturali". 
Il cinema per i più piccoli. Per le famiglie. L'arte per gli studenti. E così via.
Implicitamente, quindi, l'arte, intesa in questo senso, ha già uno scopo, un fine. E, naturalmente, anche un metodo.
Almeno questo tipo di arte.
Il teatro in carcere però ad esempio ha un altro scopo. Educativo, intanto.
E allora se si esce fuori dai circuiti tradizionali di produzione di cultura, c'è davvero la possibilità di una maggiore libertà espressiva.
Voglio dire: un' Arte senza condizionamenti ma con uno scopo ben preciso. 
Dunque, la domanda cosa è l'Arte? è per noi "operatori" culturali", sempre attuale:che cos'è l'Arte? Ha un fine? Una destinazione?
L' Arte dunque ha un valore educativo, innanzitutto. Vediamo in che termini.
Intanto per definire il concetto di Storia (la storia dell' Arte), ci rifacciamo alla filosofia tedesca contemporanea che ha usato due termini diversi per dire Storia. 
Geschichte, intesa come Storia che realmente accade. 
Historie, invece, è la scienza che fa della Storia l'oggetto di una indagine teoretica. 
Heidegger associa Geschichte a Geschehen (accadere) e a Geschick (destino).
Geschichte è la Storia che ha una destinazione, da schicken, inviare, destinare.
Domandarsi quindi cosa sia oggi l'Arte significa porsi la domanda necessariamente di quale sia il destino stesso dell'uomo, e del suo stesso domandarsi.
Fare teatro con i detenuti, in un luogo di esclusione e reclusione significa "ripensare" il suo stesso/di un detenuto, "abitare" la terra.
Già il solo proporre un' Arte che fa riflettere l'uomo, lo destina, per così dire, alla sua stessa Storia, è in dis-accordo, o meglio in netta contrapposizione con il concetto contemporaneo (e borghese) di arte come svago e intrattenimento. A cui la maggior parte degli "ospiti" del penitenziario è educato.
Se la gran parte della produzione letteraria teatrale cinematografica pittorica può essere letta alla luce dell'intrattenimento e dello svago, figurarsi invece la produzione bassa televisiva, ad esempio, di cui la maggior parte degli ospiti, già analfabeti, si nutre.
Si perde, si è già perso, ciò che l'Arte nella Storia dell'uomo ha rappresentato.
Il teatro, come quello che noi stessi proponiamo, sia ben chiaro, vuole rifarsi invece a quel concetto di Arte che ha svelato e svela "qualcosa" dell'uomo stesso. 
Possiamo affermare con certezza subito che abbiamo chiara questa distinzione inequivocabile: o l'arte "svela" qualcosa dell'uomo in quanto uomo, o invece diviene passatempo e svago.
In questo che L'Arte "svela", in questo "svelare" ci vediamo il Metodo, che ci fa da guida in questo percorso. 
Questo"svelare" si richiama di certo al pensiero heideggeriano che ha inteso dis-velare, come dal verbo greco, a-lethein e che è tradotto con Verità nella lettura epistemologica del filosofo tedesco. 
Unverborgenheitdis-velatezza.
Cercare di far nascere la curiosità intorno ad un'Arte che dice qualcosa di più e di vero dell'uomo in quanto uomo è forse il passaggio più difficile, ma anche il più necessario.
Proprio a partire da questa questione, si intuisce la necessità stessa dell'Arte e di un domandarsi sull'Arte stessa in quanto dis-vela qualcosa sull'uomo: se attraverso l' Arte si può giungere ad una "verità" sull'uomo in quanto uomo, questo movimento può accadere anche rispetto ad un uomo-detenuto.
Anzi: maggiormente si avverte in un luogo di reclusione la necessità di una riflessione così profonda. 
In un posto dove tutto è "dato", manca una ulteriore riflessione sull'uomo e sulla Verità. 
L'Arte ci (a noi e agli utenti/detenuti) insegna di nuovo che nonostante tutto non c'è più una Verità già data.
Se una opera d'Arte (uno spettacolo, un testo, un film) è in grado davvero di metterci di fronte a delle questioni che ci dicono, domandandoci, qualcosa in più dell'uomo, in quanto uomo, accade questo che definirei movimento di dis-velamento. L'uomo (detenuto ma non solo) si trova davvero di fronte alla sua stessa essenza. Quando ciò accade, accade l'Arte.
Crediamo che la "verità" di questo modo di intendere l'Arte consista proprio nella necessità di dire qualcosa di più sull'uomo, consista cioè in quella forma di educazione (e rieducazione) a cui l'articolo 27 della Costituzione ci richiama.
D'altra parte quando questo modo di intendere l'Arte non accade, c'è quel pericolo che la filosofia dice: smettere di domandare e domandar-si.
L'epoca nostra contemporanea, l'epoca del senza domande per usare una altra espressione presa dal lessico heideggeriano, dell'arte-come-prodotto-di-consumo, dell'industria culturale, dell'assenza di domande è l'epoca che intende l'Arte solo come svago e intrattenimento, come già detto, e della diffusione del concetto di Arte in questo senso. 
In un luogo, come il carcere, c'è invece la necessità di un'Arte che (ci) dà molto da pensare, e (ci) pone e (ci) fa porre domande. A noi e agli ospiti.
Il tentativo è quello di domandare, tramite l'Arte, dell'essenza più intima dell' uomo.
"Poeticamente abita l'uomo" è solo uno dei testi di Heidegger a cui costantemente facciamo riferimento. Poeticamente, artisticamente.
La poesia è la forma prima dell'Arte. 
Perdere di vista questo concetto di Arte, significa perdere di vista l'idea stessa di uomo. E dare la possibilità che si dia un'altra idea stessa di uomo. 
Semplificando, si può dire che, molto spesso accade, o possiamo dire che accade, chel'uomo-detenuto altro non è che un uomo "comune" che ha commesso un reato e che per motivi altri , oltre che per le sue responsabilità personali, ha dimenticato "di porsi domande", che non vive, cioè, "poeticamente" sulla terra.
Tentare di dare quantomeno un'altra idea di uomo è già uno scopo.
"Wo aber Gefahr is, gib es das Rettende auch", (Lì dove c'è il pericolo, si dà anche ciò che salva) è un verso di una poesia di Hoelderlin, che sembra chiamare, di nuovo, l'uomo alla riscoperta di questo nuovo domandare.
Quel domandare rammemorante filosofico, che tramite l'Arte destina l'uomo alla sua Storia.
Pertanto in contrapposizione a gran parte dell'arte contemporanea, l'Arte portata anche negli istituti di pena, proprio perché appartiene alla sua essenza più intima, può e anzi ha il dovere di tentare quantomeno di ri-chiamare l'uomo alla sua stessa essenza.
Il nostro metodo del teatro, della letteratura, dell'Arte consiste allora in questo tentativo, ultimo e perciò fondamentale, di dire, suggerire, dar da pensare ad una nuova, diversa, alternativa e possibile visione dell'uomo stesso.

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