L’Italia chiamòby JLC |
Rifugiati siriani
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di Enrico Euli*
Non passa lo straniero.
È passato anche il 24 maggio. Centesimo anniversario dell'entrata in guerra. Effluvi e profluvi di retorica della pace da parte delle istituzioni. Si celebrano i milioni di caduti per la patria. Intanto si prosegue a preparare nuovi interventi militari. E proseguono le "missioni di pace" in corso.
E continuiamo a fabbricare stranieri da non far passare. Ora sono neri, poveri, disperati. Non sono più i poveri soldati dello spocchioso impero austro-ungarico. Ma l'Europa erge nuovi muri, ben più potenti delle trincee sul Carso. E i nuovi stranieri si accalcano loro addosso, senza tregua.
Intanto, in Iraq e in Siria, invece, passa lo straniero. L'Isis avanza, e fa stragi di militari in fuga e di civili disperati. Noi stiamo a guardare, preoccupati più per le rovine di una città romana, che per i loro attuali abitanti. Quelli che sopravviveranno saranno i profughi che domani batteranno alle nostre porte. E sapremo come accoglierli, statene certi, se non affogheranno nel tragitto.
Intanto, riniziamo a creare stranieri anche nell'Unione. I greci la stanno per lasciare, direi. "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori" resta solo una frase del Padre Nostro. I britannici, per motivi opposti, faranno lo stesso tra qualche tempo. Dopo il referendum sui matrimoni omosessuali in Irlanda, ci sarà - pare - un referendum sulla permanenza nell'Unione in Inghilterra. Ma l'euro rischia di crollare prima. Per quanti mirabolanti artifizi possa ancora inventarsi Mario Draghi il numero di chi - europeo o meno - si sente straniero in casa propria sta crescendo troppo. Ed i conflitti interni al nostro stesso continente - tra ricchi e poveri, tra inclusi ed esclusi, tra vecchie e nuove generazioni - emergono con sempre più forza.
Nuove guerre da piangere e nuovi anniversari da celebrare ci attendono.
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