mercoledì 29 luglio 2015

scuola della decrescita

Scuola della decrescita. Ripensiamo le città

by JLC
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In questa pagina, due foro dell'ex cavallerizza, spazio sociale di Torino
di Paolo Cacciari*
La decrescita – almeno nel suo significato più immediato e semplice di diminuzione del carico antropico sugli ecosistemi naturali – è orami entrata nell’uso comune (leggi anchePerché usare il termine «decrescita»). La rarefazione delle risorse naturali, da una parte, e la saturazione delle capacità rigenerative dei cicli vitali, dall’altra, impongono alla megamacchina termo-industriale in attività sul pianeta una drastica e rapida inversione di rotta. Fin qui tutti d’accordo. Ma come farlo?
La green economy non basta se i risparmi che si ottengono in termini di energie e di materiali impiegati nei cicli produttivi vengono spesi per consumare di più. È necessario allora cambiare anche stili di vita, comportamenti sociali, sistemi organizzativi, modelli culturali. Le scuole estive della decrescita da una decina d’anni si interrogano su come innescare processi di cambiamento. Quest’anno la scuola si svolgerà a Torino dal 6 al 12 settembre per iniziativa dell’associazione per la decrescita (www.decrescita.it) del social network Decrescita felice, del Movimento della Decrescita Felice e della Cattedra Unesco sulla sostenibilità istituita presso la facoltà di sociologia dell’Università di Torino.
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Il tema scelto non potrebbe essere meno impegnativo: la decrescita in ambito urbano(un archivio da spulciare a proposito di città, ndr). Sappiamo bene quanto grande sia l’impronta ecologica di una città, quanto la vita cittadina sia dipendente da forniture alimentari, energetiche e di materiali vari provenienti da aree geografiche le più disparate. Per non parlare del lavoro umano che si concentra la suo interno. C’è chi pensa che rendere sostenibile una città sia un’impresa impossibile. A Torino (qui l'evento su facebook), invece, ci proveranno. Scienziati e sociologi, economisti ed urbanisti, tra cui Ugo Bardi, Dario Padovan, Mauro Bonaiuti, Carlo Modonesi, Raphael Rossi tenteranno di capire quali nuove forme di sussistenza resiliente siano possibili in ambito urbano.
Dalma Domeneghini, la curatrice della scuola, ci dice: “Ripensare la transizione, partendo dalle forme del vivere urbano, in una città come Torino, è una sfida complicata che richiede uno sforzo collettivo per ritrovare misura, ragionevolezza e un nuovo senso comune”. La scuola prevede anche visite guidate (in bicicletta) a luoghi significativi, tra cui la ex caserma Cavallerizza da qualche mese occupata (foto), e, per contro, le opere inutili delle Olimpiadi del 2006.
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* Paolo Cacciari è autore di articoli e saggi sulla decrescita e sui temi dei beni comuni. Il suo nuovo libro, Vie di fuga (Marotta&Cafiero) – un saggio splendido su crisi, beni comuni, lavoro e democrazia nella prospettiva della decrescita – è leggibile qui nella versione completa pdf (chiediamo un contributo di 1 euro). Questo articolo è stato inviato anche a Left.
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15 LETTURE PER ARRIVARE PREPARATI ALLA SCUOLA:
Nella città decrescente con Baudelaire e Walter Benjamin. Incontro con Serge Latouche
Sempre più persone in molti modi, non privi di inevitabili contraddizioni, si danno da fare in tutto il mondo contro l'ossessione della crescita e in movimenti anti-autoritari. Nuovi movimenti molto solidi alle basi prendono forma in basso
Liberi dall'ossessione del lavoro: la strada è il reddito di cittadinanza
Marco Calabria e Gianluca Carmosino
Nessuno ha il coraggio di dire che, di per sé, il lavoro è una pratica odiosa e annichilente, altro che un diritto da difendere. Ma perché la Costituzione italiana parla di una Repubblica fondata sul lavoro e non sulle persone che lavorano?
Possiamo salvarci se abbandoniamo il mito del dominio e impariamo a lavorare con la natura. Il movimento globale per il clima non dice più “dobbiamo agire” ma "stiamo già agendo". E propone improbabili alleanze: Naomi Klein in Vaticano
Una lettura critica ambientalista e libertaria della nuova enciclica
A proposito delle riflessioni del papa sulla decrescita
Nonostante tutto orti urbani, Gas, fabbriche autogestite si diffondono
La decrescita è una strada da percorrere, un orizzonte di senso. Si tratta di sviluppare resilienza con azioni di ogni giorno, una trasformazione della società che avviene senza prendere il potere, dentro e oltre lo Stato-nazione
La decrescita mette in discussione non solo gli esiti, ma lo spirito stesso del capitalismo. Dieci proposte politiche per rompere l’incantesimo della crescita economica e l’ossessione per l’austerity
È il mondo di tutti, dicono le donne Veronika Bennholdt-Thomsen
Donne, politica della prospettiva di sussistenza, decrescita e cambiamento
Lunghi anni trascorsi a chiedersi quale fosse la via maestra per abbattere il sistema. Poi la delusione e, puntuali, le accuse di tradimento. Peccato che il problema non fossero le persone ma le istituzioni e gli apparati
Abbiamo bisogno di inventare forme di lavoro fuori dalla "società del lavoro". In altre parole non si tratta di inventare nuovi posti di lavoro, ma di ripensare radicalmente l'idea di lavoro e di benessere (o ben vivere) nella nostra testa
Il dominio dell'economia tecnologica sulla vita delle persone, mentre promette l’infinito superamento di ogni limite, costruisce in realtà soltanto relazioni servo-padrone. È la notte che distrugge tutto
“Non è possibile proporre un modello chiavi in mano di una società della decrescita – scrive Serge Latouche -, ma soltanto le grandi linee dei fondamentali di qualsiasi società non produttivista sostenibile. È la stessa conclusione a cui arriva anche Mauro Bonaiutinel libro ‘La grande transizione'”. Il progetto radicale della decrescita non consiste nel sostituire una «buona economia» a una «cattiva economia», una buona crescita o un buon sviluppo a una crescita o a uno sviluppo cattivi, applicandovi una verniciatura di verde, di sociale o di equo, con una dose più o meno forte di regolazione statale o di ibridazione con la logica del dono e della solidarietà. Si tratta invece, né più e né meno, di uscire dall’economia. Questa formula, che Bonaiuti esita a usare, in genere non viene compresa dai nostri concittadini, per i quali è difficile rendersi conto del fatto che l’economia è diventata una religione. Eppure sta proprio qui la differenza tra il progetto di costruzione di una società di abbondanza frugale e le idee di sviluppo sostenibile”

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