Facciamo un po' di chiarezza
Negli ultimi anni ciclicamente, dopo le
alluvioni che con sempre maggior frequenza colpiscono il nostro
paese, assistiamo al goffo tentativo di addossare quelle che sono le
responsabilità della politica agli ambientalisti.
In particolare i Verdi sono accusati da
alcuni mezzi di “informazione”, sicuramente poco attenti nel
verificare le fonti quando non compiacenti nel cercare di nascondere
le reali colpe, di volere fiumi sporchi e pieni di vegetazione pronta
a formare dighe di detriti sotto al primo ponte incontrato dalla
piena.
Nulla di più falso, ecco perché.
La gestione dei corsi d'acqua è
storicamente una delle esigenze più sentite poiché l'acqua, che
rappresenta una risorsa indispensabile per l'uomo, può trasformarsi
in grave pericolo (dalla salubrità delle zone paludose sino alle
esondazioni passando attraverso i danni causati dall'erosione
meteorica). Occorre pertanto agire, specialmente oggi, in un
territorio reso ulteriormente fragile dalla pesante antropizzazione e
dalla modificazione degli ambienti, legata anche alle evidenti
mutazioni climatiche che stanno intervenendo a livello globale.
Limitare, pertanto, il problema alla
pulizia degli alvei è fuorviante e riduttivo ed ha puramente
valore populistico e di propaganda. Occorre estendere l'analisi delle
problematiche e porre in atto le opportune strategie a livello
dell'intero bacino idrografico, cioè a quell'area in cui ogni
singola goccia di pioggia viene convogliata verso il corso d'acqua
principale. E' qui che sono presenti i maggiori fattori di rischio,
spesso a causa della difficoltà ad operare per la conformazione dei
versanti o perché spesso gli affluenti sono tombati sotto spessi
strati di asfalto.
I fiumi, a partire dal XX secolo
(Genova ne è un chiaro esempio a causa della copertura del Bisagno
realizzata in periodo fascista) sono molto diversi da quelli del
passato; il loro corso, specie in ambito urbano, è spesso
imprigionato tra muri di cemento che impediscono la naturale
espansione nell'alveo di piena, molto più ampio di quello di magra;
ricevono, inoltre, un apporto idrico enormemente maggiore rispetto a
quando il territorio non era ricoperto dal cemento e poteva assorbire
le piogge in eccesso. A tutto ciò si aggiunge drammaticamente
un'edificazione selvaggia che porta a costruire in zone esondabili
con evidente grave rischio per l'incolumità di cose e persone. In
tale senso stigmatizziamo il Regolamento approvato dalla Regione
Liguria nel 2011 e volto a rdurre la minima distanza di edificabilità
da 10 a 3 metri dalle rive dei corsi d'acqua verso il quale sono
pendenti due ricorsi al TAR da parte di Legambiente e Italia Nostra.
Non solo pulizia, quindi, termine che
implica la mera rimozione degli ingombri, ma un piano di gestione del
territorio accurato,peraltro previsto dalla normativa vigente. Tale
piano di gestione deve essere
pluriennale al fine di spalmare
gli interventi sul lungo periodo in modo da ottimizzare le (poche)
risorse disponibili e da rendere realmente efficaci gli interventi
effettuati.
Stagionale in modo da
massimizzare gli effetti degli interventi a ridosso dei periodi in
cui è più probabile il verificarsi di eventi alluvionali ed evitare
problematiche a tutte quelle specie ornitiche che utilizzano i
canneti e la vegetazione ripariale per la nidificazione. Poiché
questo avviene in primavera e per pochi mesi ciò non pregiudica
assolutamente la possibilità di effettuare gli interventi ma solo la
necessità, ancora una volta, di mettere in atto una pianificazione
preventiva che tenga conto di tutti i fattori in gioco.
Ancora riguardo alle risorse occorre
precisare come sarebbe opportuno fare in modo che non si debba
rincorrere sempre l'emergenza ma si possa agire preventivamente, in
modo da privilegiare la cultura della prevenzione rispetto a quella
del recupero dopo i disastri. Si tratta di un approccio che potrebbe
limitare in maniera considerevole i danni materiali, i costi della
ricostruzione e, soprattutto, il tributo di vite umane spesso pagato
durante queste calamità.
Perchè questo non avviene ? Perchè si
preferisce agire dopo ?
Secondo noi per due ordini di motivi :
perchè in Italia manca completamente la cultura della prevenzione e,
fatto questo molto grave e che ha avuto, molte volte nel passato
rilevanza penale in molte occasioni perchè sull'emergenza si può
lucrare (ricordiamo tutti gli “imprenditori” che ridevano nella
tragica notte dell'Aquila). Occorre invertire questa tendenza
Ribadiamo quindi la nostra più ferma
convinzione nella necessità di investire sulla prevenzione e
rilanciamo attraverso le seguenti proposte:
Predisposizione di un piano pluriennale
di bacino che preveda una regolare manutenzione degli alvei mediante
rimozione sia delle piante eradicabili sia del materiale
sopralluvionale erodibile in caso di piena e che consenta il
mantenimento dei requisiti minimi di sicurezza (assenza di ostacoli,
sezione idrologica adeguata al regime di massima piena specialmente
in presenza di ponti o coperture, mantenimento della pendenza ideale
nei vari tratti del corso d'acqua, ecc.)
Manutenzione degli alvei di tutto il
bacino idrografico anche attraverso una politica di governo del
bosco che impedisca la caduta degli alberi morti all'interno dei rii
e la conseguente formazione di pericolose dighe a valle.
Superamento delle attuali normative, in
particolare relativamente alla minima distanza di edificabilità
dalle rive che andrebbe riportata a minimo 10 metri e al divieto di
prelievo e utilizzo delle biomasse presenti nei torrenti, attualmente
proibito dai regolamenti demaniali.
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