All’asta le terre pubblicheby benicomuni |
di Giacomo Lepri*
L'80 per cento del patrimonio agricolo finora censito tra i beni del Demanio e degli enti pubblici, è da ora venduto all'asta al migliore offerente, con una base superiore ai 100mila euro. E con un vincolo d'uso di soli venti anni. La svendita del patrimonio agricolo ad opera del governo Renzi è cominciata giovedì 23 ottobre con la pubblicazione di quelli che sono solo i primi avvisi del decreto 'Terrevive' e che riguardano la Lombardia, l'Emilia Romagna, la Toscana, le Marche, la Basilicata, la Puglia e la Sicilia.
Mentre il governo prosegue nell'attuazione delle vendite di patrimonio agricolo pubblico, diverse Regioni e Comuni mettono a bando per l'affitto e sostengono lo sviluppo delle terre pubbliche in favore dei giovani agricoltori senza terra (alcune, come il Lazio, lo dicono, ma non lo fanno ancora). Forse un altro segnale della comunque maggiore capacità di ascoltare movimenti dal basso da parte di governi locali di più piccola scala. Al governo chiediamo allora almeno di informarsi, per essere all'altezza del suo ruolo. All'amministrazione locale chiediamo di far valere anche a livello nazionale la sua voce e le sue decisioni. Perché le terre agricole pubbliche non si vendono, mai.
Cooperative e associazioni che in questi anni, a Roma e nel Lazio, hanno rivendicato la tutela del territorio, il diritto al lavoro qualificato e la fruibilità degli spazi verdi e delle aree agricole, condannano pur con diverse voci e impostazioni, in differenti incontri e manifestazioni la scelta di fare cassa con un bene non riproducibile. Il ministro delle politiche agricole Maurizio Martina, in assonanza con il ministro di Economia e Finanze Padoan, non ha voluto segnare un cambio di passo rispetto ai suoi predecessori, che a più riprese hanno proclamato le imminenti “valorizzazioni” (vendite) del patrimonio agricolo pubblico.
È il caso di chiedere, tutti, due atti di buon senso: recuperare la responsabilità per le future generazioni fermando la vendita delle terre e non strumentalizzare le battaglie dei giovani agricoltori senza terra. In nessun modo il decreto 'Terrevive', infatti, è stato pensato per agevolare i nuovi agricoltori, come invece vantato dal momento del suo lancio da Martina e Roberto Reggi, direttore dell'Agenzia del Demanio, proprio al salone del gusto di Torino organizzato da Slow Food: perfino il diritto di prelazione per i giovani è solo a parità di prezzo offerto. Chi sono i soggetti che dispongono di ingenti somme di denaro tali da comprare il patrimonio pubblico all'asta per il miglior offerente? Diciamolo pure: è questo un possibile assist a criminalità organizzata, mafie e speculatori.
Guardiamo però, come opportuno, i contenuti del testo, nei quali si dovrebbe parlare, in ogni caso, di agricoltura. Si dovrebbe: ma se si legge nel dettaglio la legge, anche senza non utili allarmismi appaiono tra le righe i canali per favorire pratiche che distruggerebbero senza responsabilità beni irriproducibili. I termini utilizzati e i principi sui quali si basa il Decreto del 20.05.2014 lasciano spazio a molti dubbi. Si parla di dismissione di terreni agricoli e di terreni “a vocazione agricola”. Ciò vuol dire che potrebbero essere messi a bando anche terreni che hanno vocazione agricola, ma diversa destinazione urbanistica. E in tal senso il vincolo di destinazione previsto dal Decreto non darebbe nessuna garanzia contro eventuali speculazioni in quanto, se prevede che per (soli) vent’anni non possa essere attribuita una destinazione diversa da quella agricola,non implica che la destinazione debba a prescindere essere agricola, al di là della vocazione.
Inoltre il valore posto a base d’asta è stato calcolato, sempre secondo quanto disposto dal Decreto, sulla base dei Valori Agricoli Medi (Vam) tabellari, senza specificare però se questi siano stati applicati alle coltivazioni realmente in atto o alla qualità catastale,generando così possibili effetti fortemente sperequativi nelle stime. Come se non bastasse, chi non fosse, come noi, contrario alla vendita di patrimonio agricolo pubblico a prescindere, dovrebbe considerare che gli introiti derivanti da queste prime dismissioni non arriverebbero neanche a tre milioni di euro: uno scherzo, una somma che si accaparrerebbe in maniera miserabile per il bilancio di uno stato. Infine, come emerge da una interrogazione parlamentare a firma della senatrice De Petris, si introduce in Terrevive un criterio ulteriore giustificato da “prioritarie esigenze di finanza pubblica”, in aggiunta a quanto già previsto per legge dal 2012, nella normativa approvata dal parlamento: i terreni individuati negli elenchi allegati al presente decreto sono oggi prioritariamente destinati all'alienazione, non sussistendo più la necessità di elaborare alcun elenco di terreni che saranno riservati e offerti esclusivamente in affitto ai giovani imprenditori agricoli. A questo fine rimarranno quindi solo i lotti rimasti eventualmente invenduti.
La logica delle “prioritarie esigenze” e delle situazioni “eccezionali” ancora una volta sembra favorire, come nella storia, decisioni “tiranniche”, spesso cieche, e soprattutto basate su logiche e principi miopi e frettolosi, oltre che poco condivisibili. Non serve forzare l'immaginazione insomma per capire che il ministro Martina sta servendo un piatto ghiotto a coloro che vorranno speculare sulle terre pubbliche. Che il tema dei giovani agricoltori, della disoccupazione, degli squilibri sociali ed economici del paese non sembrano interessare le analisi di questo governo.
Abbiamo richiamato, come Cooperativa Coraggio, Terra!Onlus, Associazione daSud, Equorete, Centro Internazionale Crocevia, gli amministratori di Roma e del Lazio a sottoscrivere il nostro appello per avere più voci a rimproverare i ministeri qui responsabili, se hanno a cuore le loro politiche locali, se vogliono portarle ad esempio di un governo che marcia in altra direzione. E forse questa dissonanza tra nazionale e locale è ancora a dimostrazione che modelli di gestione di risorse di più piccola scala risultano sempre più radicati e sensibili alle esigenze delle persone che vivono, che sperano, che si organizzano.
* cooperativa Agricola Coraggio. L’adesione di Coraggio a “Ribellarsi facendo” è qui.
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